Archimede statua opera di Villa Ignazio - Siracusani

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
siracusani ieri oggi
Vai ai contenuti

Archimede statua opera di Villa Ignazio

A > ARCHIMEDE

Ignazio Villa (19 secolo) è stato uno scultore italiano di scene mitologiche e sacre. Era un lombardo e residente a Milano. Ha dipinto a grandezza naturale secondo il tableaux storico o mitologico. Per esempio, ha dipinto un gruppo di 3/4 dimensioni che rappresenta Diomede che precipita Pantasilea nello Scamandro. Tra le altre opere sono la Toilette di Venere e la statua raffigurante Archimede che brucia le navi di Marcello con con lo specchio ustorio esposti nel 1872 a Milano, insieme a La sera che indica ai popoli il riposo, il silenzio e la calma. Nel 1884 a Torino, espone un gruppo equestre, la Lotta ed una statua di marmo: La scoperta di Archimede. Altre opere di Villa sono: L'Aurora che sveglia i popoli dal sonno; Hagar guarisce Samuel, e le altre statue di temi biblici e mitologici. Fu fatto cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia e Accademico di Merito da molte accademie e istituti d'arte in casa Italy. Mario Sironi, (1885-1961) era suo nipote.

Archimede, statua opera di Ignazio Villa

statua di Archimede opera di Gerhard Thieme (1978)-Treptower Park di Berlino
La figura bronzea di Archimede fu fusa senza zoccolo e posta su un basso piedistallo. La base è costituita da due lastre di granito che poggiano sulla base rettangolare a forma di tavolo con bordo sporgente. Archimede, barbuto con i capelli corti e avvolto in una toga, siede sul pavimento con le gambe piegate e il piede destro eretto. La parte superiore del corpo è rivolta a sinistra, si sostiene con il braccio sinistro, nella mano destra tiene uno stilo. Sta per disegnare qualcosa nel terreno, possibilmente una forma circolare. La figura è modellata in modo naturalistico, la superficie è formulata in modo impressionisticamente commovente e la composizione è piena di tensione (Susanne Kähler).
Archimede, nella sua qualità di importante matematico, fisico e ingegnere dell'antichità, ha trovato il posto che gli spetta sul terreno dell'osservatorio. La raffigurazione dell'"uomo che disegna un cerchio" potrebbe essere un'allusione al calcolo approssimativo del numero pi greco scoperto da Archimede, forse anche alle ultime parole di Archimede, secondo la leggenda, "Non disturbare i miei cerchi!", che si dice abbia detto a un legionario nella città di Siracusa occupata dai romani prima che il legionario lo uccidesse. L'Archimede è stato esposto per la prima volta nel 1969 nella mostra d'arte distrettuale "Architecture and Fine Arts" alla Neue Berliner Galerie (Olbrich, Harald: New Paths, Subjects and Formats. Sulla mostra del distretto di Berlino "Belle Arti – Architettura" (III), in: Berliner Zeitung, 24.06.1969, p. 12). Due anni dopo, nel 1971, fu presentato alla mostra "Scultura e fiori a Treptower Park". L'Osservatorio di Archenhold acquistò la statua nello stesso anno, e la statua fu probabilmente eretta nel novembre 1972. Sono noti altri tre calchi: uno Archimede è stato eretto nel 1978 in occasione del 750° anniversario della città sulla piazza del mercato di Güstrow di fronte alla chiesa di Santa Maria, un altro è stato donato al Politecnico Otto von Guericke di Magdeburgo nel 1978 e ora si trova nel campus universitario di Pfälzer Straße. Un terzo cast si trova di fronte alla scuola regolare di Ellrich (Harz meridionale), aperta nel 1978. Inoltre, c'è una riduzione delle dimensioni della statuetta, che viene venduta ancora oggi dalla fonderia Lauchhammer (Susanne Kähler, Nicola Vösgen).



statua di Archimede opera di Simon Louis Boquet
Simon-Louis Boquet, detto Boquet Saint-Simon, nato a Parigi il 14 settembre 1743 e morto nella stessa città il 20 settembre 1833, è uno scultore francese.


statua di Archimede opera di Antonio D'este

IL SIMULACRO DI ARCHIMEDE,
OPERA IN PLASTICA DEL CAV. ANTONIO D'ESTE,
Legato deW artista itila città di Siractua.
Opera gentile di altissima mente e d'animo nobilissimo offresi al pubblico il simulacro d'Archimede nella sala municipale di Siracusa. Di esso lo scultore cav. Antonio d'Este primogenito della scuola di Canova, degno d'eseguire il disegno della deposizione della Croce lasciato dal suo immortale maestro, facea dono al Siracusano municipio. Era suo intendimento condurre in marmo questo capolavoro, ma la morte, che alla gloria delle arti lo rapì, non gli fece compire il disegno generoso.
Correva il novembre del 1840, quando giungea in Siracusa alle autorità municipali da Roma una lettera dei 20 settembre a nome del cav. Giuseppe d'Este, in cui manifestandosi egli interprete ed esecutore dell'ultima volontà paterna, offeriva a questo Siracusano municipio il Simulacro d'Archimede. Ottenuto con real rescritto del 17 marzo 1841 il sovrano consentimento per l'accettazione del dono, il 2 aprile deliberava la Decuria sui mezzi di trasporto, e in maggio un legno nostro solcava le acque del Tevere per accogliere e condurre in Siracusa il simulacro desiderato. A dì 8 giugno, compiuto l'imbarco, la nave scioglieva le vele, e con propizio vento, in 5 giorni giungeva nel porto di Siracusa, ove, nel palazzo dell'unversità, aprivasi la cassa, ed esponevasi agli sguardi de Siracusani la statua stupenda. Di grandezza maggiore dèli'ordinaria ergesi la figura sul plinto. Il gran Siracusano mostrasi in età matura si, ma tuttora vigorosa e nel l'apogeo delle forze fisiche ed intellettuali.
Breve la barba e la capellatura: il suo vestito consiste in una lunga tunica zonata, e un manto, che cadendo dall'omero destro vien dalla destra mano raccolto sul femore; e il manco braccio fuori uscendo libero dal colobio va a posarsi sopra un torso di colonna, in cui l'artista indicò le geometriche figure che furono scolpite su la tomba del divino matematico, e che due sècoli dì por furòn segno al grande Arpinate per discoprire l'avello su cui posavano le ossa di colui che avea creato la geometria dei sòlidi regolari. Largo e spazioso rileva innanzi il petto, ed ampie sono le spalle; con la destra mano sporgente dai viluppi del manto sostiene il compasso e lo stile; la faccia piegasi alquanto a destra, e su la destra gàmba riposa la persona ; calzati di leggiero sandalo sporgono i piedi dalla tunica.
"Nel modellare questa statua, il valoroso artista ebbe in mente Archimede nel momento, che animato dal sentimento del proprio genio per la difesa nazionale osserva i movimenti dall'armata nemica, e inedita que'divini trovati che valsero a tenere in sospeso tre anni la gloria della potenza e della strategia romana. Vediamo come questo sublime concetto siasi espresso nelle singole parti e nell'insieme dell'opera che esaminiamo.
Nella faccia si riflette più che altrove l'anima dell'artista. Essa come tutte le greche fisonomie è più ovata che rotonda: sensibilmente risentilo è il profilo nasale dell'angolo facciale di Camper ; e la vena temporale ri­gonfia per la postura in isbieco del colio. Il lavorio intanto è tale che quel volto ti presenta a prima visla un ingegno e un cuore in cui gli altissimi pensieri ed affetti sono l'ordinaria condizione del genio.
 
Vi fu chi avvisossi voler trovare in Archimede la sola espressione della mente senza quella del cuore; dal perchè i pensieri del calcolo non sono sociabili co'moti del sentimento, ma ignoravano costoro, che la scienza nei genj è ima febbre ardente, e quella ma­niera di frenesia, che invasò il nostro Archimede quando, secondo Vetruvio, sciolse il problema della Corona ne! bagno, correndo ignudo e gridando, inveni, inveni, appalesa di qual potente passione era infiammata quell'a­nima. Che se il grande Urbinate, rappresentando il som­mo Siracusano nel famoso affresco della scuola d'Alene nel Vaticano, nel momento che spiegava su l'arena gl'ingegnosi suoi trovati, sottrasse nello scorcio della faccia i più bei trovati visuali, presentandoci invéce un cranio spazioso e ben conformalo, ciò fece perchè volle presentarci nelle matematiche la potenza della dimo­strazione, lo sviluppo del trovato, non il ritrovamento stesso ch'è il concetto dell'egregio nostro scultore.
 
Fermo e determinato è lo sguardo, leggiermente ar­cuate le sopraciglia, e un po ingrottali gli occhi i quali sembran fissi sull'armata Romana. Tramandano essi un lampo di quel pensiero, che manifesta un ritrovato, che nelle sue mani eguaglierà la potenza delle armate e delle macchine, e vedesi alla sicurezza di vincere la formidata nazioue che aspira al conquisto del mondo associata la luce eterea della virtù cittadina, e il senti­mento che ci fà amare Iddio nella creatura. Ecco il con­cetto che viene mirabilmente espresso da quegli occhi.
 
Tutto questo è sostenuto dall'arte con franchezza e disinvoltura, senza grottesco ed esagerato, senza tanto scendere a quella servilità di natura che inaridisce il ge­nio, e senza sformarla per non perdersi nel falso e nel bizzarro. In somma è la verità che l'arte sublima e rende più amabile, dando quel grado di dignità onde le cose acquistino più grazia e novità. Le pinne nasali un pò aperte e risentite esprimono l'ira generosa, quell'ira, che la speranza d'una reparazione rende mite, sublime nel magnanimo scopo; quindi si manifesta con franchi colpi senza convellere il profilo nasale, imbruschire la pacatezza delle gote e il riposo della persona. Un tratto ancora, una linea di più a quell'e­spressione, e lanista sarebbe fuorviato dal concetto ico­nico e dalle regole dell'arie: tant'è che la perfetta espressione di alti concetti dipende spesso da cagioni mi­nutissime, alle quali non giunge il calcolo, ma la po­tenza sola del genio.
 Se dal volto scendiamo al collo vediamo la vena jugolare e il muscolo sterno-masloideo espressi con quell'arte onde il Canova diceva « Doversi sapere l'anotomia ma non farla troppo conoscere; perchè la natura, di cui l'arte è imitatrice, la ricuopre d'un ingegnoso velo di polpe, e pelle, non presentando agli occhi che una dolce superfi­cie, la quale soavemente si modula, si abbassa, s'incurva, senza risalto"
Nella nostra statua noi troviamo un collo abbondante, un petto ampio e ben larghe spalle ma non quelle dell'Ercole taurino che son espressione della forza materiale, sibbene quelle che fan fede della sede dun'anima grande e potentissima, che natura per ordi­nario racchiude in un corpo ben conformato. Con ciò l'artista ci fa vedere quella corripondenza tra l' idea e la natura senza trascorrere a voli troppo arditi, che se ammiransi nei sommi artisti, son perigliosi ne mediocri, i quali mancando di lena cadono nell'ammanierato e nel ridevole.
Gli abiti consistono come dicemmo in una tunica e un manto, i quali al pregio della libertà, in cui lasciano le membra, uniscono l'altro di non nascondere le naturali proporzioni. È noto che il magistero delle pieghe è il martello degli artisti; quindi ammirerole è il modo come il caliere d'Este, senta perdersi in pomposi svolazzi, panneggiò gli abiti del suo Archimede con la maggior semplicità; mentre quelle vesti sono ad un tempo ampie, disciolte, cadenti, quelle insomma onde il Cicognara levava a cielo il Ganganelli del Canova. La maestà e la franchezza onde Archimede le sostiene ben concorda al concettodel genio immerso in una contemplazione grande e sublime. Ad alcuni parve in certe parti aderir troppo la tunica alla persona. Ma l'aderenza dei panni vuole attribuirsi non a difetto, bensì a squisitezza d'arte: la camicia della Niobe aderisca alla persona come fosse bagnata, ed è tanto lodala dagli artisti; quella dell'Aristide Ércolanese che poco cela le membra, non è meno meravigliosa e lodata.
In somma la movenza della-persona, l'espressione del viso, la nobiltà delle forme, la franchezza dell'esecuzione, la facilità e l'unità del concetto sono i pregi dell'opera che ammiriamo; nella quale se i schifiltosi vorranno notare alcune mende, facciamo loro osservare che molta perfezione avrebbero aggiunta al lavoro la raspa e la lima, se fosse stato tradotto in marmo.
Or rammentate Archimede che per tre anni col solo suo genio resistette alla potenza di Roma, che tanto fè progredire le matematiche e le meccaniche scienze, che gratificò la patria e l'umanità con le opere del suo genio; aggiungete che moriva quando l'aquila di Roma conculcava la potenza Greco-sicula, e una potentissima nazione tramutavasi in Provincia romana; che ammirato e compianto dallo stesso nemico era onorato di splendida tomba, ed eccovi nel concettodel cav. d'Esle il pensiero più sublime dun'epopea. A queste memorie altissime aggiungete come il generoso artista fe' dono spontaneo del suo lavoro alla patria del Sofo glorioso, e voi direte essere nella Sala dell'Università Siracusana un monumento che attesta alle età future come nel secolo XIX palpitò un affetto magnanimo e benefico.
S. Chindemi
statua di Archimede opera di Vincenzo Spicuglia, fusione in bronzo conservata a palazzo vermexio


Archimede affresco opera di scuola di Athene Raffaello Sanzio      a destra particolare-Archimede spiega le sue ricerche
 

Archimede quadro opera di Giuseppe Nogari

Giuseppe Nogari (Venezia, 1699 – Venezia, 3 giugno 1763[1]) è stato un pittore italiano esponente del Rococò.
Fu allievo di Antonio Balestra, ma più probabilmente di Giovanni Battista Piazzetta o perlomeno ne subì l'influenza.
A partire dal 1726 fece parte della Corporazione veneziana dei pittori.
Ebbe commissioni dal Marchese Ottavio Casnedi, che per primo, notandone le capacità, iniziò a richiedergli dipinti di mezze figure.
Già nelle opere della fase iniziale della sua vita artistica (vedi le Quattro teste, antecedenti al 1736, dipinte su commissione del conte Carl Gustaf Tessin, mecenate e collezionista) è evidente che Nogari si ispirò ai ritratti di Rosalba Carriera e Rembrandt, che l'artista conosceva dai disegni della collezione di Zaccaria Sagredo.
Dalla fine del 1730, divenuto ormai noto, vari collezionisti tedeschi acquisirono parecchie sue opere soprattutto di tema religioso, andate perdute[6]. Tra il 1736 e il 1739 Johann Matthias von der Schulenburg, suo mecenate e protettore, inviò in Germania almeno quattordici Teste, anch'esse perdute.
Dal 1739 al 1742, Nogari lavorò per la Casa Savoia a Torino dipingendo quattro Teste e realizzando la decorazione del Palazzo Reale di Torino con allegorie celebranti la gloria dei committenti, ora in parte poste nel padiglione di caccia di Stupinigi. Da queste traspare l'influenza di Jacopo Amigoni.
Ritornato a Venezia nel 1743, lavorò per Francesco Algarotti e successivamente per Federico Augusto II, elettore di Sassonia, dipingendo tre Teste e due Filosofi e per il console britannico a Venezia, Joseph Smith (due Teste e sette Ritratti di Artisti). Per i collezionisti tedeschi eseguì due Allegorie, entrambe antecedenti al 1749.
Negli anni '50, Nogari dipinse parecchie pale d'altare per le chiese venete, in particolare Cristo che consegna le chiavi a San Pietro nella cattedrale di Bassano, dove sembra voler concilare gli stili del Balestra e del Piazzetta e Il miracolo di San Giuseppe di Copertino ai Frari a Venezia. In questo periodo continuò a lavorare per il mercato tedesco, in particolare per Sigismund Streit, altro suo mecenate[6] per cui eseguì sei dipinti, di cui restano quattro Allegorie.
Nel 1756 divenne membro dell'Accademia di belle arti di Venezia.
Furono suoi allievi Alessandro Longhi e Johann Gottlieb Prestel o Johann Gottlieb Pressler.
Giuseppe Nogari è noto soprattutto per i suoi ritratti sia a mezzo busto che a figura intera, rappresentanti soggetti di natura religiosa e storica, caratterizzati da buona espressività, dipinti a tinte tenui su fondo scuro. Spesso i personaggi rappresentati sono donne anziane o persone vestite miseramente.

morte di Archimede mosaico presso domus Pompei


Archimede opera di Giovanni Migliara


Archimede opera di Gaetano Sarocchi-Roma al Pincio-1860-



Cicerone scopre la tomba del siracusano (B. West, Yale University Art Gallery)
Archimede statua opere di Villa
Torna ai contenuti