De Grandi Marco
Siracusana gens
Tratto da: “I SIRACUSANI” ANNO IV N.19 MAGGIO GIUGNO 1999
Marco De Grandi
Poeta siracusano del XV secolo di:Paolo Coriglione
il testo di Paolo Albani
Chi nell'Ottocento si occupava delle origini del teatro italiano non accennava all'esistenza di attività teatrale in Sicilia nel medioevo, certamente per mancanza di testimonianze; ma ai primi del Novecento, col ritrovamento nella Biblioteca Comunale di Palermo del dramma sacro "Resurrectio Christi", scritto in dialetto siciliano dal poeta siracusano Marco De Grandi fra il 1414 e il 1434, si è fatta chiarezza risultando errato quanto si legge in un articolo della Rassegna Letteraria Italiana del 1881, a firma del D'Ancona, noto per i suoi pregevoli studi sulle sacre rappresentazioni, che affermava fra l'altro: "di dramma sacro non trovansi in Sicilia esempi anteriori al secolo XVI...". Il lavoro teatrale del De Grandi assume una rilevanza storico-culturale perché esso nasce dai contrasti vissuti in un ambiente in cui i dibattimenti sui princìpi di fede erano accesi, infatti l'autore, con la rappresentazione del suo dramma sacro avrebbe avuto lo scopo di persuadere gli abitanti della Giudecca e tutti gli scettici di ogni tempo.
I primi ad occuparsi di Marco De Grandi furono Rosalia Anastasi-Campagna che nel 1913 pubblicò la "Resurrectio Christi" di cui aveva ritrovato il mano¬scritto, ed Enrico Mauceri che scrisse due articoli per la rivista Aretusa in due numeri del 1912. Anche Paolo Rio tentò di arricchire ulteriormente le notizie che si avevano sul De Grandi, ma le sue ricerche non furono soddisfacenti. Se ne sono occupati anche Giorgio Santangelo, Giuseppe Ganci Battaglia, Calogero Di Mino, Guglielmo Lo Curzio e Santi Correnti, ma il paziente lavoro di ricerca condotto da Paolo Albani, grazie alla ricca bibliografia e alla citazione di Atti dei Consigli Civici della Camera Reginale, ha dato indubbiamente risultati più profi¬cui ben evidenti nel suo libro Marco De Grandi e le origini del Dramma Sacro in Sicilia, edito nel 1966, che per dovizia di notizie biografiche ha sottratto definitivamente alle ombre dell'oblio l'illustre poeta siracusano del XV secolo. E dunque (pianto mai opportuno e doveroso conoscere la figura e la vita di questo nostro concittadino, continuatore dell'opera letteraria religiosa di un suo illustre predecessore quale fu il siracusano S. Giuseppe l'Innografo, (epoca bizantina), i cui canti riprendono i vari uffici sacri e le ricorrenze festive della Madonna, in buona parte inseriti nella liturgia della Chiesa greca. Che Marco De Grandi sia nato a Siracusa è facilmen-te riscontrabile in documenti che testimoniano l'esi¬stenza di un'antica famiglia siracusana, cui appartennero uomini illustri distintisi nelle lettere, nelle scienze, nella Magistratura e nella vita della Chiesa. Di un Luca De Grandi si ha notizia che nel 1306 ebbe il governo e la difesa della fortezza di Siracusa.
Di un Bartolomeo si sa che fu poeta e storico, autore di De Siciliae situ e che nel 1444 fu eletto Arcivescovo di Siracusa. Un Girolamo De Grandi, giureconsulto e storico scrisse una Cronaca siciliana. Un Giacomo De Grandi, nel Seicento, diede incarico all'architetto Giovanni Vermexio per l'esecuzione di lavori nella chiesa di San Benedetto mentre la di lui moglie Maergherita, rimasta vedova, il 18 maggio 1650 donò tutti i suoi beni per la fondazione della Congre¬gazione di San Filippo Neri alla Mastrarua, la cui chiesa fu affidata alle Orsoline.
Oltre alle notizie sulla sua famiglia ha oltremodo importante valenza storica lo stemma gentilizio sottratto in occasione della demolizione della casa di Marco De Grandi per la costruzione, ai primi del Novecento, del palazzo Bordone, all'angolo fra via Minerva e via Roma. Questo stemma di marmo, con banda trasversale e leone rampante con la scritta IACOB' MARCI GRADIS, si conserva al Museo Nazionale di Palazzo Bellomo.
Molti frammenti architettonici appartenenti all'antica casa De Grandi si trovavano, al momento della stampa del libro di Paolo Albani nel 1966, nel magazzino delle Scuole Elementari di viale Teocrito. Nella pianta di Siracusa eseguita da G. Costa nel 1763, risultano segnate diverse case appartenenti alla famiglia De Grandi.
Il nome di Marco De Grandi si incontra spesso nel Libro dei privilegi di Siracusa in molti Atti a sua firma del Consiglio Reginale di Siracusa del quale egli fu segretario. Dice Paolo Albani: "Nella sua funzione di segretario del Consiglio Reginale il De Grandi, pur rispettando la tradizione linguistica burocratica di quel tempo non mancò di far sentire la sua impronta per una forma ed una espressione più moderna, che a Siracusa si presentava mista a voci siciliane, latine, toscane, ecc., una lingua variamente influenzata ed elaborata, talvolta smorzata nel suo spontaneo processo formativo". Leggendo i fogli degli Atti dei Consigli Civici si scopre che Marco De Grandi dovette certamente avere cultura umanistica e giuridica molto apprezzata, perché coprì diverse cariche pubbliche e per lungo tempo quella di segretario della Camera Reginale di Siracusa nei cui Atti appare una mente aperta a pro-blemi giuridici, sociali e politici. Marco De Grandi sarebbe nato verso la fine del Trecento. Nulla si molto dei suoi studi, ma è facile supporre che abbia attentamente studiato la Bibbia ed abbia avuto una buona conoscenza della fdosofia dei Santi Padri della Chiesa, di San Agostino e di San Tommaso d'Aquino.
Nel 1418, eletto alla carica di giurato, si recò con Artale Sardella presso il re Alfonso d'Aragona e ottenne il riconoscimento di tutti i privilegi di Siracusa. Nel 1425 fu rieletto giurato del Comune e nel 1437 è già segretario della Camera Reginale, cari¬ca in cui rimase fino al 1465, quando gli subentrò il figlio lacobo. In un atto a sua firma del 1496, cosa incredibile se ciò non fosse documentato nel foglio 197 del Libro dei privilegi, si può capire che all'età di (juasi un secolo Marco De Grandi possedeva anco¬ra delle facoltà intellettive eccezionali.
La cultura siracusana dei primi anni '70 ha registra¬to un avvenimento al quale la stampa dell'epoca non ha dato il risalto dovuto sia per la realizzazione e sia per la grande importanza del testo: la messinscena, ad opera della Compagnia del Teatro di Sicilia, diretta da Aldo Formosa, della satira rappresentazio¬ne Resurrectio Christi del siracusano Marco De Grandi.
Gli studiosi sono certi che si tratta del primo testo ascrivibile alla storia della produzione teatrale moderna, oltre che capostipite della produzione sacra che ne sarebbe derivata in seguito. Marco De Grandi infatti è unanimemente riconosciuto come un caposcuola non solo per avere avuto l'intuizione di mettere in scena la resurrezione di Cristo, ma anche per averlo fatto secondo schemi a quel tempo innovativi.
Dunque va ascritto al merito del Teatro di Sicilia di aver messo in scena - per primo dopo un sonno di secoli — un testo sconosciuto ai più, facendo opera di divulgazione culturale finalizzata anche alla maggiore conoscenza di un autore siracusano. Aldo Formosa ha raccontato di essere stato indotto a intraprendere una iniziativa così importante dalla segnalazione di Paolo Albani, che aveva pubblicato il testo originale in un volumetto del quale oggi esistono labili tracce, e che aveva dedicato all'opera una studio certosino.
Figura di educatore che ignorava l'alterigia e che aveva il pudore del proprio valore, il preside Paolo Albani rimane come una personalità ben definita nel panorama culturale siracusano di questo secolo. Poeta e saggista, aveva il culto del bello e il gusto della ricerca che lo portavano a una produzione letteraria certamente degna di essere riproposta, ricca di spontaneità e di appassionata dedizione. I particolari della messinscena ci vengono raccontati proprio da regista: "Accostarsi al testo di De Grandi costituisce un autentico tuffo nel passato. 11 linguag¬gio è ovviamente datato, la tecnica rudimentale, l'impostazione elementare. Si tratta di una passerella di personaggi biblici, una serie di monologhi in cui viene tratteggiata la figura di Cristo, e dunque la rappresentazione è prevalentemente statica e perciò — per quello che è il gusto moderno - monotona. Ma rimane, ben oltre la valenza teatrale, il valore storico del testo che oggi pretende una recitazione faticosa e una impostazione registica ricca di inventiva". La rappresentazione, nel suggestivo teatro di via Gargallo 61 che per più di un decennio ha costituito un punto di riferimento molto frequentato e di intensa attività teatrale, fu vivacizzata da un gruppo nu¬meroso di giovani attori guidati da Formosa, e accol¬ta favorevolmente da un pubblico che con viva atten¬zione ne seguì le varie fasi, dopo avere ascoltato una prefazione illustrativa in palcoscenico dello stesso Paolo Albani, visibilmente commosso dall'evento. Fu il successo di una manifestazione che è giusto evi¬denziare (anche se tardivamente) della storia cultu¬rale della nostra città.