le Lampare - Siracusani

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
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le Lampare

R > Raciti Giovanni
La Lampare

Sotto casa mia “a scala i cimentu”  nelle calde notti d’estate,  col mare calmo e la luna piena, godendo di un punto d’ osservazione privilegiato,  seguivo dall’alto, per ore intere la pesca dei polpi.
La barca, la classica “due pizzi siracusana”, che doveva non essere pontata e quindi   il medesimo tipo che di giorno facevano servizio allo sbarcadero,  arrivava sotto casa mia verso la mezzanotte.
Io avevo un potente binocolo che appoggiavo comodamente sulla ringhiera del mio balconcino e così era come se stessi a bordo con i due pescatori. Mentre i miei dormivano io pescavo…col binocolo. Quando il mare era calmo, argentato dai riflessi della luna, il silenzio a quell’ora era totale. A quei tempi  così belli, non c’era nulla che potesse disturbare una notte quieta. Niente schiamazzi o musica ad alto volume. I televisori erano pochi e le trasmissioni finivano presto. Soprattutto la gente, per quanto povera potesse essere, era tranquilla. Non sentivo nemmeno i cani isterici che mi disturbano oggi. Nessuno si agitava più del dovuto e la santa notte era per il  sonno.
Quando in qualche casa cominciò ad arrivare il primo televisore, nelle  sere d’estate, nella mia “via Arsenale”  (Riv. D.il Grande), in qualche abitazione le persone mettevano le seggioline basse, fuori sul marciapiedi occupandolo sino al ciglio perché la stanzetta era troppo piccola e afosa per la platea di parenti e amici che vi si radunava. Tornando a piedi, bisognava scendere continuamente dal marciapiedi, ma si tollerava tutto. Posso osare dire che forse ci si voleva più bene?
Ma torniamo al mare, il mio mare…
A bordo erano  in due. Li vedevo arrivare da lontano, dalla parte degli “scogli lunghi” e mi posizionavo col mio binocolo per…salire a bordo quando erano più vicini.
I pescatori erano silenziosi, non dicevano mai una parola. La loro intesa era tale che i movimenti dell’uno erano il segnale per avere in risposta gli attesi movimenti dell’altro. Tutto in perfetto silenzio. Remare per “alluciare” è un remare speciale (che io a forza di osservare imparai bene). Il rematore, quasi sempre in piedi, per essere più pronto e vedere meglio, remava con i remi tenuti sotto il pelo dell’acqua, cioè senza mai tirarli fuori, sempre immersi.  In questo modo, ruotandoli opportunamente, si voga senza far rumore, non si fanno spruzzi  e la barca magicamente risponde muovendosi . La remata dell’ alluciatore è particolare: “a siata” non serve per fare strada, è una remata di stazionamento, è come se sull’auto si facesse continuamente manovra di parcheggio senza parcheggiare mai. La barca, sospesa sul cristallo dell’acqua, doveva “contornare” tutte le insenature degli scogli, entrare, uscire, doveva mettere l’uomo di prua in condizione di perlustrare ogni angolo. Chi stava allo “specchio”, da un lato della prua, ammucchiato sul petto, non dava nessuna voce al rematore, ma col movimento dello “specchio” verso il basso, o verso un lato gli faceva capire dove intendeva curiosare meglio. Il rematore attento,  rispondeva a dovere. Un affiatamento perfetto. Coppie inseparabili per un lavoro antico e raffinato.  Sulla barca, per traverso, erano appoggiate almeno tre fiocine di diversa lunghezza. La più lunga sino a cinque metri.
Quando l’uomo a prua avvistava il polpo, senza alzare la testa  dallo “specchio” per non perderlo di vista, allungava una mano e, tastando dietro prendeva la fiocina giusta. Nello stesso tempo il vogatore , sempre con i remi immersi, fermava la barca perché non andasse oltre. Anche l’immersione di una fiocina così lunga, col lungo legno che tendeva a galleggiare, non era per niente facile. L’effetto della rifrazione dell’acqua, il lieve movimento della massa d’acqua che il vogatore aveva smosso per fermare la barca, tutto contribuiva affinchè la lunga pertica andasse da un’altra parte. Il polpo era “alluciato” dalla potente lampara e stava fermo, ma certo non stava lì ad aspettare un secondo tentativo.
Vi assicuro che non è un lavoro semplice. Nulla di più facile che perdere la mira sul polpo perché la barca si muove durante l’immersione della lunga fiocina, fatta  con una sola mano perché con l’altra si teneva lo “specchio” e considerando soprattutto che chi sta ai remi non vede il bersaglio. In quel caso ad un dilettante sarebbe scappato il  commento: “chiù n’arreri…araciu…araciu…femmiti… uora…accussì!!”. Ma sotto al mio balcone…silenzio assoluto. In tanti anni non ho mai sentito parlare i due pescatori. Neanche per esultare quando  veniva a bordo un polpo enorme. I pescatori lavorano in perfetta intesa. Il silenzio è la loro preghiera del mare.
Sentivo solo lo sciacquettio della fiocina col polpo infilzato che veniva su spargendo il suo ormai inutile nero dovunque. Sotto la lampara potente che mi faceva vedere il mare verde e trasparente sino al fondo, tra un luccichio e il brillare di gocce d’acqua vedevo deporre i polpi che, messi a bordo cercavano la via del mare infilando i tentacoli dentro a quei fori di scolo che ci sono nelle nostre barchette. Quei fori dipinti come ciglia. Ogni tanto l’uomo a prua capovolgeva lo “specchio” per liberarlo da un po’ d’acqua che entrava dal vetro.
Così procedevano i miei pescatori… accompagnati solo dalla luce calda e dal “soffio” della lampara. E andavano avanti in questo modo, piano piano  sino alla “Grotta delle ciavole” e ancora sino a doppiare “Punta dello spuntone” per arrivare dopo i “due frati” sino a “Santa Panagia”.
Nelle barche che facevano altro tipo di pesca, disponendo di una dinamo attaccata al motore, le lampare, a quei tempi, erano fatte con grosse lampadone di vetro, ma nel nostro caso la lampara “soffiava” perché era a carburo.
Anche io qualche volta andavo ad “alluciare” sugli scogli ed avevo la mia piccola lampada a carburo che era il terrore di mio padre. Infatti funziona con una  pietra di carburo sulla quale grazie ad un semplice meccanismo regolabile, avviene un gocciolamento regolare e cadenzato di gocce d’acqua. Al contatto con l’acqua il carburo sprigiona il gas che bruciando produce una luce calda e intensa. Più gocce, uguale più gas, uguale più luce. Se la piccola lamparetta che tenevo in mano mi fosse caduta bagnandosi, ci sarebbe stata un produzione di gas con “effetto valanga” che l’avrebbe fatta esplodere.
NOTA: il Carburo di Calcio reagisce a contatto con l’acqua generando rapidamente Acetilene e Idrossido di Calcio. Non si trova in natura ma si produce a 3000 gradi. Brevettato in Inghilterra nel 1894.
Giovanni Raciti







opere di Cacciatore Francesco (ciccio): Cacciatore Francesco - 900 siracusano (antoniorandazzo.it)



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