Pancali Emanuele
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Emanuele Francica barone di Pancali
Emanuele Francica nasce a Siracusa nel 1782; sin da giovane si distingue nella lotta contro i Borboni tanto da essere nel 1837, sindaco della città e capo del movimento di ribellione cittadino. Impossibile non citarlo tra i siracusani che hanno fatto la storia e che hanno lasciato traccia indelebile nel presente della nostra città. Scopriamo perchè.
Attorno alla sua casa si riunirono tutti i patrioti siracusani, tra cui Mario Adorno, Salvatore Chindemi, Raffaele Lanza, Carmelo Campisi e Vincenzo Cassia. Costoro decisero di redigere un documento, firmato dallo stesso Emanuele Francica, nel quale accusavano i Borboni della grave epidemia che colpì la Sicilia nel 1837. L’intento era evidente: strumentalizzare la grave crisi che colpiva tutto il territorio per spingere i cittadini ad una forte reazione contro i Borboni.
Quando venne inviato in Sicilia l’alto Commissario Del Carretto per reprimere le rivolte, molti dei sovversivi siciliani vennero giustiziati; per il Francica venne ordinato il domicilio coatto per 10 anni. Inoltre Siracusa, a causa della sua ostentata ostilità ai Borboni, perse il ruolo di capoluogo che venne trasferito alla vicina città di Noto, meritevole di non essersi mai piegata alla rivolta. Una grande prova di forza, che rese e rende Pancali mito ed orgoglio della città di Siracusa.
Nel 1848 abbiamo notizia del suo soggiorno a Palermo presso il Comitato Generale, organo supremo della rivoluzione, che portò alla caduta del Regno delle due Sicilie e alla proclamazione del cosiddetto Stato di Sicilia.
Tuttavia le fortune del nuovo stato durarono ben poco, infatti nel Maggio del 1849 la Sicilia era stata nuovamente conquistata dall’ esercito borbonico. Molti degli artefici della rivolta furono, per volontà del sovrano risparmiati, ma in 43 vennero condannati a morte. Nella lista era presente anche il nostro concittadino Emanuele Francica barone di Pancali, che per sfuggire alla morte si rifugiò a Malta dove visse fino al 1868, anno della sua morte.
Di lui scrisse Arturo Messina
EMANUELE FRANCICA BARONE DI PANCALI CARBONARO COSPIRATORE E PROSCRITTO
Chi non conosce, oggi, Piazza Pancali a Siracusa, all’inizio dello scoglio di Ortigia, appena superato il Ponte Umbertino, chiamato così perché dedicato a Umberto I di Savoia , secondo re d’Italia, dopo Vittorio Emanuele Secondo, dopo che egli fu assassinato per mano di un anarchico?
Ma chi conosce perché si chiama piazza Pancali?
Essa è dedicata ad uno dei più nobili figli del territorio aretuseo, Emanuele Francica, barone di Pancali, nato a Siracusa il 13 Marzo del 1783.
La sua formazione culturale e patriottica la deduciamo da quanto narrò lo stesso Salvatore Chindemi in “ Memoria sopra Emmanuele Francica Barone di Pancali” in cui, fra l’atro, scrisse che era“ …intraprendente, operoso, di ferrei propositi, d’indole ardente, scaltrito nel foro e nelle sette, storia vivente del suo tempo, attraeva , affascinava i giovani, ne esaltava l’entusiasmo, ne accendeva le passioni..”.
Nella stessa opera, in un’altra pagina scrisse che egli, trasferitosi con la sua famiglia a Palermo da Siracusa, che in quel periodo, ridotta ad appena 14.000 abitanti, versava in una situazione veramente penosa sotto l’aspetto economico ( per la carestia) politico, sociale religioso e naturale “… non appena tredicenne, educato agli studi di Palermo, quando la scuola dei liberi pensatori penetrava tra noi, al 1795 si era adoperato a recar di notte segreti alimenti
ai complici dell’avvocato Di Blasi, latitanti in remote soffitte….”
Da questa testimonianza si evince che Emanuele era stato educato alla causa della libertà nella sua più profonda convinzione dal padre, che , nel 1786, era Senatore Patrizio a Siracusa ma che poi si era trasferito a Palermo. Erano tantissimi, infatti, che aveva abbandonato la città aretusea nella più profonda crisi, tanto che furono delegate le due figure più rappresentative della città ( il conte poeta Tommaso Gargallo e Nunzio Burgio) in missione al Sovrano per perorare la causa della città ed ottenerne sollievo soprattutto con la diminuzione degli esosi tributi che era divenuto assolutamente impossibile pagare, se tanti mancavano persino dello stretto necessario.
Anche il padre di Emanuele, dunque, Don Giacinto, aveva portato la sua famiglia a Palermo e lì si trovò quando Francesco Paolo Di Blasi organizzò la rivolta per “liberare la Sicilia – citiamo ancora il Chindemi- dal giogo barbarico dei vescovi, dei baroni e del re”, alla quale parteciparono anche alcuni giovanissimi, come appunto era allora Emanuele Francica. Emanuele Francica si iscrisse alla Massoneria e poi alla Carboneria
I suoi alti sentimenti patrii e l’amore della libertà lo indussero a iscriversi presto nelle file della Massoneria e quindi alla Carboneria che, per alcuni, altro non era che la Massoneria riformata e con maggiori intendimenti patriottici., tanto che vi troviamo iscritti anche degli uomini di chiesa, come i sacerdoti Felice Campisi e Vincenzo Cassia e lo stesso don Emilio Bufardeci. Egli divenne amico del barone Gaetano Abela, fondatore e capo di una delle vendite Carbonare a Siracusa, che era stato arrestato nel 1818 e liberato poi dai patrioti che si erano ribellati a Napoli, dove egli era stato condotto in carcere , dopo di che si era trasferito a Palermo.
Fu per questo che il Movimento lo inviò a Siracusa per incitare i concittadini ad unirsi alla rivolta che poco dopo sarebbe scoppiata nella capitale siciliana.
Ma “ nemo propheta in patria”! A Siracusa il Pancali trovò viva incomprensione tra gli stessi Carbonari aretusei; fu ostacolato soprattutto da parte di Mario Adorno, che si dimostrò suo aperto rivale e ne chiese addirittura la condanna a morte, per cui dovette tempestivamente sottrarsi con la fuga.
Ciò perché a Siracusa - contrariamente che a Palermo - il movimento carbonaro era per la costituzione e non contro i Borboni, così come avveniva a Napoli, dove i Carbonari gridavano “ Viva il Re! Viva la costituzione!” per i moti del 1820., che però vennero soffocati nel sangue.
Dieci anni dopo, nel 1830, quando in Francia scoppiò la seconda rivoluzione e tutta l’Europa apparve scossa dal tifone della sommossa, ripresero le vecchie speranze anche un po’ dovunque; ma i tempi non erano maturi e la rivolta, anche a Palermo, fu sedata.
Ma non cessarono di cospirare, anche se vi furono crudeli condanne e per Gaetano Abela vi fu l’esecuzione capitale Il Francica andò profugo per un certo tempo, ma dopo che finirono le furie inquisitorie potè tornare a Palermo.
Molti emissari percorsero l’isola per preparare la riscossa e il Pancali da Palermo venne a Siracusa dove trovò in gran fermento molti giovani; tra essi: Salvatore Chindemi, che era da tutti ritenuto il capo spirituale, Giuseppe Ortis, Nunzio Stella, Raffaele Lanza, Carmelo Campisi, Gaetano Cassia… Salvatore Chindemi era il meno esposto, giacchè a quei tempi viveva esclusivamente di lezioni private e non appariva che a poche manifestazioni pubbliche. In effetti era quello che più incideva, con la sua dottrina e la sua personalità, sulla formazione dei giovani.
Emanuele Francica Pancali Sindaco a Siracusa nel 1837
Tornato a Siracusa il Pancali fu accolto da tutti con grande entusiasmo perché tutti conoscevano le sue doti, la sua grande cultura, la straordinaria capacità organizzativa e la sua intensa attività patriottica, nonché i pericoli e le persecuzioni cui era andato incontro per la libertà.
Egli divenne veramente il polo catalizzatore che seppe attirare e unire i vecchi liberali con i giovani, mentre segretamente ma con molta astuzia, incrementava i rapporti con i liberali delle altre città senza destare sospetti alla polizia borbonica.
L’anno 1837 fu l’anno più memorabile per i numerosi e luttuosi episodi che accaddero: fu l’anno del colera, di cui morirono 2 mila persone; fu l’anno della rivolta che ne seguì a Siracusa, dove si credette che il morbo mortale venisse diffuso dagli untori comandati dai sostenitori del Governo per punire i sudditi.
Se i capi liberali, promotori della rivolta, decisero di incontrarsi proprio a Siracusa per stendere il loro programma di azione, certamente lo fecero per lo straordinario ascendente di cui godeva, fra tutti, Emanuele nessuno voleva accettare la gravissima responsabilità di primo cittadino, egli “… per amor della Patria, così vivo in lui, e per le preghiere degli amici, accettò la difficile carica” Il Chindemi scrisse che la sua elezione “ fu circondata di tal prestigio universale che fu raro, anzi unico esempio nella storia delle autorità municipali sotto i Borboni..”
Egli, soprattutto in quella circostanza, apparve veramente come l’ago della bilancia , nel più perfetto equilibrio tra le parti diametralmente opposte, tra il popolo e il Governo, tra le ansie dei liberali e le urgenze del colera, tra la credenza e la superstizione del popolo e la responsabilità ferma e decisa di chi deve dominare l’ardua situazione.
Fu in quella circostanza che dimostrò come un animo veramente nobile non può tenere rancori con alcuno: e per il bene della cittadinanza si rappacificò con quel Mario Adorno che gli era stato sempre avverso.
L’episodio più drammatico: la fucilazione degli Adorno
E proprio per non contraddire il suo ex accanito avversario il Pancali si decise a firmare, dopo viva esitazione, il famoso manifesto di Mario Adorno in cui si diceva che il Cosmorama Giuseppe Schrwentzer aveva confessato durante il processo di essere… untore, esecutore della volontà altrui, forse anche dei rappresentanti del Governo o di una setta segreta.
Chissà quanto ebbe a costar cara quella firma, ad una persona prudente e corretta come lui! Addolorato, stanco e ammalato, si ritirò in una sua villa.
Quando l’alto Commissario Del Carretto, mandato a sedare la rivolta, come alter ego dal Re. volle da lui conto e ragione di quella firma, il Pancali con la massima franchezza ebbe a rispondere di esserne stato obbligato dalle minacce del popolo, così come Ferdinando I era stato obbligato nel 1820 a concedere la Costituzione!
Quella franchezza e quell’azzeccatissimo riferimento salvarono il barone Francica dalla fucilazione. Mario Adorno e il figlio Carmelo, invece, furono fucilati , assieme ad un certo Concetto Lanza in piazza duomo, malgrado il Pancali avesse fatto di tutto per salvare sia loro che tanti altri patrioti, tra cui il Chindemi, che fu costretto all’esilio.
E all’esilio dovette andare anche lui, per 10 anni, dal 1837 al 1847, condannato al domicilio coatto a Napoli. La condanna lo prostrò talmente, che divenne una larva di se stesso; lo stesso Re Ferdinando, rendendosi conto che il Francica rischiava di morire in esilio, gli concesse di tornare a Palermo, poi a Lentini, dove aveva una proprietà, ma non a Siracusa.
Però quando la fiamma della rivoluzione si diffuse in tutta Europa e scoppiò anche in Sicilia, il 12 gennaio del 1858, il Pancali fu ancora una volta il capo dei patrioti a Siracusa, dove il giorno prima vi era stato un tremendo terremoto.
Egli venne eletto Presidente del Comitato Segreto di Agitazione, ma l’insurrezione a Siracusa non avvenne. Quando a Palermo vennero eletti i Deputati del Governo Provvisorio, il Pancali fu uno di essi. Ma le aspettative ancora una volta andarono deluse per l’infelice esito della I guerra d’Indipendenza.
Tra i ben 43 proscritti vi erano anche Francica e Chindemi, che riuscirono a salvarsi con la fuga, a Malta. Nella sua casa di Malta accolse tanti esuli, cui dava sostegno economico e morale, divenendo anche membro del Comitato mazziniano degli esuli nell’isola. Dopo altri 10 anni di
esilio, venne l’ora della riscossa, la vittoriosa II guerra d’Indipendenza e le gloriose giornate dell’impresa garibaldina che liberò la Sicilia.
Egli moriva all’età di 86 anni, il 10 maggio del 1868.
Già da parecchi anni, comunque, si era ritirato a vita privata nella sua tenuta di campagna, amareggiato anche dalle preoccupazioni che gli venivano dalla varie cause civili che era costretto ad affrontare ad età così avanzata personalmente, non avendo avuto figli che potessero
badare alla sua assistenza.