olio alla sorgente - Siracusani

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
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olio alla sorgente

R > Raciti Giovanni
L'Olio alla sorgente
Lasciare gocciolare con appositi stracci imbevuti d'olio alcune gocce sul mare è una vecchissima usanza dei marinai. Già Plinio il Vecchio, nella sua Storia Naturale, parla del carattere miracoloso dell’olio per placare le tempeste. L’olio, quando è versato sul mare agitato, si espande rapidamente in superficie e crea una pellicola che impedisce l’aderenza fra aria e acqua. In tal modo il vento non riesce più a far presa sull’acqua e a formare le onde.
La gita al Ciane non era per il turismo di massa, (per fortuna) ma era per i veri siracusani . Per coloro che per tradizione, ogni tanto, all’inizio della primavera si concedevano una giornata speciale organizzando un gruppetto di famiglia e amici.
La gita impegnava tutto il giorno, si partiva alle 9 dal molo Zanagora e con “u zu Ninu Vella” a remi si attraversava il porto. A quell’ora in primavera il nostro Porto Grande è uno vero spettacolo!
Si collaborava per passare la secca sabbiosa alla foce, scendendo tutti e spingendo, poi iniziava la dolce risalita. Un sogno, una quiete da lasciare senza parole (anni 50). Il fiume era limpido e trasparente, serpentelli rossi venivano su dal fondo al passare del remo. Qualche fronda bassa accarezzava i volti. Il fondo si vedeva, in alcuni tratti poco meno di un metro…alghe ondulate, pettinate nel verso della corrente.
Sotto ai grandi eucaliptus, le chiome smosse dalla brezzolina, un fruscio impercettibile ed eterno, il fiume scorreva lentissimo, quieto, silenzioso, segnato solo dalle foglie galleggianti, portava con se verso il Porto Grande i suoi racconti, il suo mito, per i turisti, dall’altra sponda. Quiete assoluta, immutabile, rassicurante. L’aria, il tepore, i profumi sapevano di Siracusa mia, bella, unica, dolce, seducente.
Remare contro corrente, anche se debole, non era agevole e allora sfruttando la lieve brezza “u zu Ninu” soleva aiutarsi con una piccola vela latina (che non ha niente a che fare con i latini, latina deriva da "alla trina" perchè ha tre punte). Ma risalire a vela e governare al timone in uno spazio così stretto come il corso del Ciane è impossibile. La vela serviva solo per la propulsione. Chi orientava la barca era il piccolo Vella che sfruttando il sentiero parallelo al fiume e che lo seguiva in tutta la sua lunghezza, tirava, dirigendola, la barca spinta dalla vela e governata come si poteva dai remi del padre. Nella cartolina è appunto visibile la cima che esce dalla prua e va verso terra.
Quando si faceva la scampagnata alla Fonte Ciane, a parte la mangiata sotto la frescura degli eucaliptus, il momento tanto atteso e saliente era la sosta sulla sorgente; “a testa a Pisima”.
Qui, proprio perchè la polluzione dell'acqua avveniva dal fondo, la flora sottomarina aveva uno sviluppo particolare. Vuoi per l'acqua sorgiva freddissima, vuoi per la composizione stessa dell'acqua, le alghe che si formavano sul fondo avevano colori, dimensioni e forme inconsueti, fantastici per i nostri occhi. Alla sorgente, la profonfità è di circa 7 metri, l'acqua limpida e trasparente come un blocco di cristallo. Tuttavia la brezza, o il leggero movimento dei remi, increspavano la superficie quel tanto che non permettesse di osservare il fondo. Ovviamente a bordo non c'era "u specchiu" cioè quella grossa latta con un vetro sigillato sul fondo che usano gli "alluciaturi" per prendere i polpi. Quindi tutti gli occupanti dovevano essere messi in condizione di vedere bene il fondo e, in silenzio, lasciandosi trasportare dalla fantasia e dall'emozione, osservare forme e disegni che prendevano nomi vari: "il castello", o la bella "Ciane". Per ottenere questo il barcaiolo tirava fuori la sua bottiglietta con l'olio e ne spandeva alcune gocce sull'acqua.
Era solo fantasia, ma quel momento per grandi e piccoli si copriva di un'aura magica che suscitava una forte emozione. Anche per i più adusi a guardare il fondo del mare delle nostre scogliere, i colori e gli scenari erano talmente diversi ed insoliti che in quel momento nessuno più parlava nell'attesa della "visione"
Si tornava tutti felici col qualche papiro in mano. Ma per questo il papiro non si è mai estinto…altre cause lo hanno fatto soffrire…
“U zu Ninu” da vecchio non faceva più queste traversate perchè la barriera sabbiosa da superare alla foce, malgrado il nostro aiuto, gli creava difficoltà e lui era anziano e stanco. Così stazionava sulla barca tra molo Zanagora e la marina, a remi, e lanciando in acqua un vecchio e leggero ancorotto, sopravviveva recuperando dal fondo del porto grande qualche pezzo di catena, o di cavo. Con una mano remava e con l'altra tastava l'ancorotto per vedere se si era impigliato in qualcosa di buono. Una gamba tesa sul banco (baglio) per via della “vaddara”.
Proprio in questo periodo lui soleva noleggiare la sua barca, ma solo a chi gli dava affidamento. Io diciassettenne, ero uno di questi privilegiati e spesso potevo andare da solo o con gli amici al Ciane, rifacendo quelle gite che ricordavo da bambino con mio padre. Le “caliate” delle scuola erano sempre finalizzate quindi a una gita al fiume con la barca che “u zu Ninu” mi affidava con mille raccomandazioni:
“talia, u ricu a tia ca si u chiù spettu na vacca: quannu torni…e rui, e tri, quannu vuoi, arrivuodditi ca acchiana u libecciu e t’ammuta fora….o casteddu…ti raccumannu voga a vaccuzza terra, terra, vicinu a pilaia, o maceddu accussì u ventu n’ti fa nenti…mi raccumannu a tia, a vaccuzza a tia a staiu rannu…”






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