Leone Luigi Cuella avvocato, politico e benefattore
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Leone Luigi Cuella, un grande siacusano dimenticato.
Luigi Leone, di Antonino e di Francesca Cuella, nacque il 5 Novembe 1860, a Siracusa, (Ortigia), via Mastrarua, civico sconosciuto, ma potrebbe anche essere, come dice qualcuno, nella casa detta, "liuni", che potrebbe essere "o Liuneddu", attuale hotel di Maria delle suore Orsoline da una famiglia ricca e benestante.
il suo atto di nascità
morì a Siracusa, il 18 Ottobre 1938, povero e indigente, presso l'Ospedale civile
atto di morte
Era coniugato con Abela Marianna deceduta a Siracusa il 14 Settembre 1943
atto di morte
A 18 anni era un giovane dotato di una cultura straordinaria che continuò sempre ad ampliare ed approfondire.
Trascorse la giovinezza tra Siracusa, Napoli, Roma e Firenze inserendosi nella vita letteraria del tempo.
Studiò legge a Napoli e nel 1880 pubblicò odi e poesie fondando a Siracusa la rivista letteraria L'Alba.
Tratto dal testo di Piero Fillioley, A fil di lapis, edito da Ediprint
Fra gli antichi libertari c'era una volta Luigi Leone, a Siracusa. Si può iniziare così, come una favola, il bozzetto di questo personaggio della storia patria. Esige però avvolgersi nella sua utopia. Questo disegno è cavato dalla mia memoria. Non si rintraccia una fotografia di lui come accade per gli esseri umbratili, che resistono alla vanità della propria immagine. La memoria collettiva, perciò, non ha altro che il toponimo dato a una piazza della città, perdipiù, quell'aggiunta del cognome Cuella fa pensare agli ignari che Luigi Leone fosse il doppio nome di battesimo. Invece, Cuella era il cognome della madre: Luigi Leone si serviva per distinguersi dai tanti omonimi di quel tempo.
Egli, nasce in una famiglia ricca il 5 novembre 1860: alba dell'annessione della Sicilia all'Italia. L'anagrafe sembra già il segno di un destino. Luigi Leone varcherà, infatti, i confini dello Stretto con la personalità propria di sognatore politico e di umanista. Giovinetto, aveva attinto il classicismo da un altro grande uomo di cultura e patriota siracusano, Emanuele Giaracà. Poi, Leone studia giurisprudenza a Napoli con docenti illustri come Bonghi, Bovio, Imbriani; diventa avvocato egregio e anche pubblicista. Scrive nelle pagine culturali di tanti giornali; ne fonda uno e lo dirige, «11 Convivio», che avrà la collaborazione di insigni letterati. Si lega di amicizia con Vincenzo Morello, grande giornalista, anima ribelle, divenuto famoso nel mondo con lo pseudo¬nimo «Rastignac». Le liriche di Luigi Leone ebbero recensioni lusinghiere di Pitrè, di Arturo Graf e perfino di Fogazzaro. Purtroppo, manca una raccolta, salvo quella esigua che riuscì a comporre Mario Tommaso Gargallo nel 1901.
Luigi Leone aveva vissuto le vicende del socialismo primogenito e le conseguenze giudiziarie e persecutorie insieme a Barbato: costretto a emigrare a Malta per sfuggire alla cattura, le liriche più struggenti di Leone sono appunto quelle dell'esilio, intitolate «Le Maltesi». L'attività politica di lui continuò a fianco del tribuno catanese Giuseppe De Felice e del concittadino Eduardo Di Giovanni. Ma l'azione umanitaria famosa resta la donazione che Leone fece di un suo fondo agricolo alla città per creare spazi, strade e case che dessero respiro alla gente, tutta ristretta allora dentro Ortigia.
Così nacque la borgata Santa Lucia. Leone volle in essa una strada intitolata alla Libertà. L'unico tradimento della vita, Leone lo consumò contro la propria ricchezza. Vi rinunziò con la voluttà dell'asceta. Poteva dirsi folle, Luigi Leone che tanto somigliava nell'agire a frate Francesco d'Assisi?
Io, ragazzo, ricordo l'abbraccio di Leone alla nonna mia materna, in lacrime, all'annunzio dell'uccisione di Giacomo Matteotti: un lutto che stremava insieme l'intellettuale e l'operaia. Poi, quando mi accingevo agli studi di giurisprudenza, Leone, già vecchio e malandato, mi disse: «Se farai il penalista, ricorda che non prevalga il denaro sul dovere». Un giorno, nel viale alberato della «casina» dove il fratello di mia madre (che era stato suo allievo) lo ospitava, Leone recitò Pascoli: «Uomini, pace! Fate che le braccia non sappiano la lotta e la minaccia».
Spuntavano all'orizzonte del Paese le nuvole bellicose nazifasciste. Forse ho detto molto di me in questo ricordo di Luigi Leone. Ma da lui ho avuto emozioni intense, quali non si possono oggi immaginare: il rigore morale, la felicità del poeta, la vita nell'utopia. Leone morì indigente in un letto dell'ospedale. Era il 1938. Il destino risparmiò al vecchio socialista l'angoscia della guerra presagita.
la lapide al cimitero tra i siracusani degni
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Leone Luigi Cuella, disegno di Piero Fillioley