Prazio Emilio
Emilio Prazio: la delicatezza di un fiore che osa trasmutare la durezza della materia....il liberty ed il suo artista....il ferro prende vita tra le mani di Emilio Prazio. Siracusa non dimentichi i suoi illustri artisti del ferro battuto. Le opere di Emilio Prazio ci conducono per mano in un percorso aldilà della crudezza del regime fascista...alla scopertta dell'uomo....
Nota di Maria Vernali su Facebook
Prazio Giovane
LAPIDE COMMEMORATIVA A EMILIO PRAZIO
Testo lapide a Emilio Prazio
Città di Siracusa
ad
EMILIO PRAZIO
Melilli 1-6-1897
SIracusa 10-2-1977
Artista sensibile ai motivi
dello stile liberty, si affermò
in Italia e all'estero per il
suo spirito creativo e per
la sua profonda umanità
in questo quartiere della
antica acradina trascorse
parte della sua vita
La municipalità siracusana
Anno 1999
VAI ALLA PAGINA
http://www.siracusando.it/emilio_prazio.html
LO SCULTORE EMILIO PRAZIO
MAESTRO DEL LIBERTY EUROPEO
L'artista siracusano che scelse il metallo per esprimere le sue opere
Emilio Prazio, scultore del ferro battuto, nasce a Melilli il 1 giugno del 1897. Si forma alla bottega del padre Sebastiano,,valente maestro del ferro battuto, che gli trasmette, fin dalla tenera età, i segreti della lavorazione dei metalli.
Emilio, sebbene giovanissimo, fu incuriosito e coinvolto preferendo agli aspetti tecnici quelli relativi alla modellazione decorativa. Per l'ornato plastico, ottenuto attraverso la fusione o lo sbalzo, spese infatti tutti gli anni del suo apprendistato. Eseguì decori di ogni genere, di varia ispirazione e di diverso stile . E' in questi anni che per l'esercizio tecnico attinge alle grottesche rinascimentali oppure ai fregi delle cattedrali gotiche o ai festoni di gusto barocco. Le sue prove giovanili sono caratterizzate da decori dal fogliame leggero misto a motivi di carattere zoomorfo.
Gli anni della sua formazione coincidono con le manifestazioni artistiche del liberty europeo, stile dal carattere deciso tutto proteso a fare della foglia, del fiore e degli animali sinuosi un nuovo ordine formale ed espressivo.
Alla luce dei risultati della lunga carriera, può dirsi con certezza che furono la sua caparbietà e la sua vocazione scultorea a portare all'interno della bottega paterna quell'elevato senso della plastica ornamentale che per tutta la vita accompagnerà il suo lavoro.
Tra il 1907 e il 1915 la sua collaborazione col padre Sebastiano fu intensissima. Dal fuoco e dalla sua energica mano uscirono balconi fioriti di ferro sinuoso a Melilli, a Siracusa, ad Augusta. Abitazioni private, cappelle cimiteriali e chiese si lasciarono avvolgere dal suo segno gentile, dalle sue forme plastiche avvolgenti e leggere.
All'attività pratica del laboratorio paterno abbinava lo studio rigoroso delle arti visive nella Scuola d'Arte del capoluogo etneo. Poi lasciò l'Isola per recarsi a Torino dove frequentò il Regio Istituto d'Arte diplomandosi nel 1922 con il massimo dei voti.
Nello stesso anno Prazio si stabilisce a Bologna, dove frequenta la Regia Accademia di Belle Arti e dirige dopo la morte di Mingazzi, famoso maestro del ferro, la sua officina. Nel periodo bolognese Emilio Prazio, le cui capacità artistiche e le doti di scultore del ferro battuto furono ben presto note del Centro Nord d' Italia, lavora con un'energia inesauribile ed incontenibile entusiasmo, fattori che ancora oggi traspaiono dai suoi decori, dalle sue sculture che riempiono di vita e di espressione poetica abitazioni private, edifici pubblici, strutture cimiteriali sia a Bologna che nel territorio circostante.
Un elenco formulato dallo stesso artista, sui lavori eseguiti durante il periodo bolognese dal 1922 al 1932, ci dice nella quantità e nella qualità quante opere questo illustre maestro del liberty europeo riuscì a concepire in brevissimo tempo. Sculture di dimensioni diverse, piccole e grandi, miniature cesellate o monumentali strutture dalla forte resa plastica … tutte pervase da un senso di bellezza inviolata, tutte avvolte da una pelle materica palpitante.
Non trascurò mai l'attività espositiva convinto com'era che le mostre servivano a confrontarsi e a dare divulgazione al proprio lavoro. Stimato da Ugo Oietti, fu capo d'arte nel corso straordinario di ferro battuto della regia Scuola per le Industrie Artistiche di Bologna. Rientrato nel 1933 a Siracusa, fino al 1940 lavorò intensamente per edifici pubblici, per palazzi privati, per banche, per chiese; Non c'è edificio siracusano, realizzato nel ventennio, che non abbia almeno un segno della sua presenza, del suo intervento artistico.
All'Ospedale psichiatrico come in quello Sanatoriale, nelle sedi centrali del Banco di Sicilia come nel Palazzo degli Studi, nel Palazzo dell'Amministrazione Provinciale come nei Saloni della Prefettura lasciò il segno indelebile della sue decorazioni artistiche. Oggi, a distanza di tempo, quelle opere , in una società che ha smarrito le conoscenze della tecnica e l'espressione artistica, sembrano manufatti di un titano invincibile, di un domatore del fuoco che sa sposare l'azione energica del braccio alla creatività del pensiero.
L'umanità nuova, quella fiorita negli anni della stagione post moderna, più di altre ne può apprezzare il valore, forse perché ha chiara la consapevolezza che la parabola creativa di Emilio Prazio è irripetibile.
Le opere realizzate da Prazio negli anni trenta lasciano il campo del liberty e toccano con solidità di linguaggio l'ambito decorativo del decò. Le forme si fanno più plastiche, le strutture più statiche, i volumi più sintetici. L'artista lascia la sinuosità decorativa e si avventura in percorsi del tutto nuovi dove la sua opera acquista maggiore autonomia, staccandosi dal ruolo di arte applicata.
Negli anni della guerra fu costretto a spegnere la sua forgia e a dedicarsi all'insegnamento. Fu così professore nella Regia Scuola d'Arte di Comiso dove diede corpo ad una delle più importanti officine della lavorazione dei metalli della Sicilia.
Rientrò nel capoluogo aretuseo nel 1946. Per lui questi non furono anni facili. Nonostante il lavoro non gli mancasse le difficoltà economiche si facevano sentire. Erano anni di crisi per tutti e certo il disagio economico era ancora più forte per chi aveva fatto dell'arte lo scopo primario della propria esistenza.
Nonostante le preoccupazioni e i disagi lavorò con coraggio e sentimento fino agli ultimi anni della sua vita lasciando in tutte le persone che lo avvicinavano un senso di bontà e di fiducia indimenticabili. Si spense a Siracusa, nel quartiere Acradina, il 10 febbraio del 1977. Del suo lavoro si sono occupati in molti esaminandone lo stile, elencandone le qualità, considerandone gli aspetti tecnici e formali, come dimostrano le critiche di: Ugo Oietti, Giuseppe Arata, Enzo Maganuco, Orazio Nocera, ,Giuseppe Agnello, Enzo Fortuna.
Una ricognizione organica dei suoi lavori, avviata grazie alla sensibilità della figlia Adriana, è stata portata alla conoscenza del vasto pubblico per documentare un periodo della storia locale che è parte fondamentale della storia del Mezzogiorno. Adriana, coinvolgendo studiosi e ricercatori, docenti ed esperti quali: Paolo Giansiracusa , Paola Sega, Ettore Sessa, Alfred Habermann, M.VittoriaFagotto Berlinghieri, ha ricostruito un quadro dei lavori paterni quanto più vicino alla reale consistenza.
Emilio Prazio, da tale ricognizione emerge come uno dei massimi artisti della prima metà del Novecento, autore di un'espressione e di un metodo ingiustamente confinati ai margini dalle arti maggiori.La critica moderna però, in linea con il pensiero dei maggiori intellettuali del Novecento, ha stabilito che il valore dell'opera d'arte non è legato alla sue dimensioni ma alle sue qualità espressive. Pertanto le creazioni in ferro battuto, o quelle ottenute da Emilio Prazio con i metalli cesellati e plasmati, non vanno considerate semplicisticamente come applicazioni decorative di supporto all'architettura, ma come opere capaci di manifestare autonomia espressiva.
Paolo Giansiracusa
lettera della figlia Adriana
domenica 10 febbraio 2008
LETTERA A MIO PADRE
Caro papà
In genere quando viene a mancare una persona cara si suol dire che ci ha lasciato per sempre.
Per me invece papà, da quel triste dieci febbraio 1977, non passa giorno che tu non sia più vicino e più vivo che mai, nel mio cuore e nella mia mente.
Come potrei dimenticare la tua dolcezza, la tua bontà, la tua infinita pazienza, la tua mitezza, la tua riservatezza, la tua malinconia, la tua umiltà, la tua generosità, la tua tristezza, la tua gentilezza per non parlare del tuo altruismo e del tuo grande amore per la tua famiglia.
Mio grande papà, io non ti ho mai chiesto se hai amato più noi o la tua arte e prometto che non te lo chiederò mai . So di certo, e mi fa piacere pensare, che" per te" noi figlie siamo state l’espressione più alta della tua creatività.
Per comodità preferisco dividere i miei primi trent’anni, dolcemente vissuti con te, in tre decenni.
Primi dieci anni.
Ricordo questi miei primi dieci anni con molta tenerezza. Solitamente mi accompagnavi e venivi a prendermi a scuola. Sai conservo ancora i disegni raffiguranti animali e fiori che tappezzavano la nostra cucina e così distraendoci finivamo tutte le nostre pappe piacevolmente. Per non parlare degli alberi di Natale alti sino al tetto, che puntualmente addobbavi in una sola notte, con tuoi disegni, pupazzi e decori tutti ideati da te e che hanno reso indimenticabile il risveglio di quei giorni di festa.
A proposito di risvegli ricordo, che anche negli anni successivi, quando al mattino facevo fatica ad alzarmi per andare a scuola, tu riuscivi a svegliarmi dolcemente col fischio del motivo della "Carmen di Bizet". Sicuramente è da lì che cominciò il mio amore per il così detto "bel canto " e la musica in genere. Persino il mio nome è frutto della passione tua e della mamma per la musica lirica ed in modo particolare per l"Adriana Lecouvrer"..
Sai bene papà, che la mamma era cagionevole di salute e tu che nutrivi per lei un grandissimo amore, eri sempre disponibile ad aiutarla e coccolarla. Quando stava male, per risparmiarla ti alzavi prima del solito, ci preparavi la colazione, ci lucidavi le scarpette ecc. ecc.
Ricordo molto bene caro papà, che quando camminavamo per strada, naturalmente mi tenevi per mano e spesso me la stringevi con delicatezza . Anche se non parlavamo molto, per me quelle strette mi facevano sentire al sicuro, protetta e tanto amata da te. Eppure non ci siamo detti il classico "ti voglio bene". Le tue attenzioni per noi tutte, erano più loquaci di qualsiasi parola.
Pur essendo una bambina molto vivace, non ricordo che tu mi abbia mai rimproverata, non ti ho mai sentito alzare la voce o rivolgerti a noi con tono minaccioso, sgarbato o arrogante.
Eri sempre dolce, comprensivo, persuasivo, riservato e con un grande rispetto per le nostre scelte, le nostre idee, i nostri amici, orgoglioso di averci come figlie.
Ci hai amato moltissimo.
Caro papà un altro ricordo che spesso mi torna in mente, risale a quando avevo circa dieci anni.
Sai bene che a casa non navigavamo nell’oro. La precaria situazione finanziaria così incerta ti rendeva, (soprattutto per noi bambine) molto triste, ma non per questo veniva offuscato il tuo grande amore per l’arte ed il tuo spirito creativo.
Eri bravissimo a rassicurarci, in fondo eravamo felici lo stesso e sicure che sarebbero arrivati tempi migliori.
Un bel mattino, geniale ed unico papà, per dissipare in me ogni preoccupazione, ed è ancora viva in me la grande sorpresa che ebbi, grazie a te, al mio risveglio, nel ritrovarmi ricoperta con quei grandi biglietti da diecimila lire. Indescrivibile l’immensa gioia che mi regalasti. A quel punto credetti subito che i famosi "tempi migliori" erano arrivati. Finalmente non avremmo più avuto problemi finanziari e per un po’ pensai che quel momento non sarebbe mai finito.
Dieci – Venti anni
In quel periodo papà hai la possibilità di lavorare moltissimo. Realizzi per il Pantheon la lampada votiva per i caduti, per non parlare dei numerosi lavori per un vero amatore d’arte, tuo carissimo amico che purtroppo muore dopo alcuni anni lasciando in te un vuoto incolmabile ed un grande dolore che ti accompagnerà per tutta la vita.
Da lì a poco hai la fortuna di incontrare l’ing. Luciano Fontana che ti permetterà di realizzare "L’annunciazione" l’opera che forse hai sofferto ed amato di più.
Non molto tempo dopo creerai la porticina per tabernacolo, in argento, per la Chiesa Madre di Melilli. Purtroppo in quegli anni, le tue vicende personali diventano sempre più insostenibili. Il tuo abbattimento morale a volte sembra che abbia il sopravvento.
Le preoccupazioni salgono alle stelle, soprattutto quando ti ritrovi ,(come si suol dire), in mezzo ad una strada. Ti pregavo di non amareggiarti: "i nemici non prevarranno" continuavo a ripeterti.
Comunque non hanno soffocato il tuo genio artistico. Anche tu papà come i più grandi hai dovuto sopportare i tuoi detrattori, ma come si sa, in ogni caso hanno contribuito anch’essi e per questo li ringrazio pubblicamente ad accrescere la tua fama.
Come per un Grande Uomo del nostro tempo, anche tu per me sei stato, oltre ad un artista del ferro battuto, un maestro del soffrire e che mi ha fatto scoprire la fecondità del dolore.
In quei giorni di grande dolore, ti sentivo perduto, quando all’improvviso " un Angelo" venuto a conoscenza della tua disperata situazione (il Signor Vittorio Burgio e che Dio lo abbia in gloria) che per te è stato come un figlio, sicuramente indignato e commosso per quanto successoti, (ma anche molto onorato ) ti ospitò nella sua officina che si trovava in Viale Ermocrate, abbastanza distante dalla nostra abitazione.
Avevi allora quasi settanta anni e non c’erano mezzi pubblici, da casa nostra, che ti portassero in quel posto di lavoro. Anche in questo caso il gentilissimo Signor Vittorio ti aiutò tantissimo, infatti veniva a prenderti e riaccompagnati: un vero angelo per te.
Purtroppo lo spazio in quell’officina era pochissimo e per giunta essendoti sistemato all’ingresso del locale, d’inverno il freddo si faceva sentire e nonostante lavoravi coperto con cappotto, sciarpa e cappello spesso ti ammalavi .
Anche questa opportunità per te durò poco, perché quell’officina, per motivi finanziari, fu costretta a chiudere ed anche questa volta sei costretto a fare i "bagattelli" come li chiamavi tu.
Fortunatamente e generosamente, ricevi ospitalità in un’altra officina. Nel frattempo grazie all’aiuto della zia Titì e con grandi sacrifici, noi potemmo completare gli studi ed iniziare una vita lavorativa.
Finalmente per te si prospettava una vita più serena, dal momento che eravamo, economicamente parlando, indipendenti.
Miei Venti – Trent’anni con te
Da lì a qualche anno sostenuto ed incoraggiato da noi, hai la possibilità di potere affittare un locale, tutto per te, in via Pescara.
Nonostante tu avessi quasi settantaquattro anni l’energia, l’entusiasmo e la creatività sono più vivi che mai. E’ di quel periodo la lavorazione dell’opera "Lotta gallo col serpente" e ricordo
che in quell’occasione mi chiedesti: chi pensi vincerà dopo questa lotta? Sicuramente il gallo
risposi! perché indicare il serpente sarebbe stato troppo scontato. Tu mi spiegasti che il gallo riusciva a spuntarla perché con una beccata, accecava il serpente rendendolo inoffensivo.
Oggi, posso dedurre, che quest’opera é un po’ la storia della tua vita e sono sicura, che questa fantasiosa mia versione, ti farà sorridere, ma sono altresì certa che l’accetterai – ascolta:
Sarebbe anche il caso di dire che questo non è altro che il trionfo della giustizia.
Mio dolce papà con il tuo importante messaggio, per il tuo rigoroso impegno morale verso te stesso, verso l’arte e verso l’umanità, con la tua pazienza, con la tua bontà, amore e fedeltà hai arricchito il mondo dell’arte e della cultura. Goditi adesso la tua meritata fama e gloria e stai certo che vivrai per sempre nel cuore e nella mente di tutti coloro che ti amarono e stimarono in vita.
Ciao papà
La tua Adriana.