toponimi Siracusa
G
ACQUEDOTTO GALERMO In vernacolo saja Lemmi E' un acquedotto dalla portata media di 700 litri al sec. che, captando le acque del ruscello Guciuno sotto Sortino e del ruscello Bottigliera sotto Pantalica, dopo un percorso di circa 30 km, portava e porta acque fresche e limpide fino a Siracusa. L'opera è costituita, in massima parte, da gallerie scavate nella roccia e ricoperte da grosse lastre di pietra. Si può accedere alle gallerie, che sono percorribili dall'uomo onde effettuare la normale manutenzione, attraverso dei pozzetti quadrati posti ad intervalli e conservati fino ai nostri giorni. L'acquedotto fu costruito per volontà di Gelone, utilizzando in buona parte la manodopera degli schiavi, vinti nella battaglia contro i Cartaginesi. «E Gelone, re cittadino, perchè i lavori celermente si eseguissero, venia di sua presenza animando i fabbri, sollecitando gli architetti.. Inoltre a non lasciar mai in ozio i Siracusani, ne conducea sovente, come in guerra, una moltitudine a tagliar e disboscar le selve e ridurle a campi coltivabili, e irrigui, ed egli stesso dava l'esempio trattando con le proprie mani agresti strumenti ed arando la terra» (76). Ultimati i lavori, i Siracusani si poterono vantare di possedere un acquedotto che per lunghezza e magnificenza rivaleggiava con quello della madrepatria Corinto. Non conosciamo il nome che tale acquedotto portava nel periodo greco. Secondo il Causabono doveva chiamarsi Timbri (77) o acquedotto del Timbride. Infatti nelle sue lezioni su Teocrito «sono quell'acque, le quali nelle falde del monte Climiti per acquidocci, cavati nella viva pietra si derivano nell'antica Siracusa, scendendo da Tica ed irrigando Neapolis, quali acque si godono fino al presente (fine XVII sec.) e terminano nel porto Maggiore». Circa l'origine dell'attuale nome Galermo, scrisse il Fazello (Deche pag. 252) «A tal vertice del teatro, dal lato di Tica, in un antro artificiale e per ampie docce e conduttori di acque sotto quella rupe e per lughissimo tratto scavati, emana una fonte, che del tutto lasciato l'antico greco nome, dicesi oggi dal saracenico Galerme, che suona appo noi forame d'acqua, corrottamente Galermo». Il Li Greci, nelle osservazioni «intorno al Timbri di Teocrito» crede piuttosto che Galermo derivi dal greco garalma traducibile fons saliens. Sia la città di Siracusa che le campagne del circondario hanno tratto sempre nei secoli i dovuti vantaggi dalla funzionalità di quest'acquedotto. Ai normali usi che si facevano delle acque se ne aggiunsero altri in seguito all'alluvione delI'Anapo avvenuta nel 1558. Dal 1576 in poi l'acouedotto servì ad alimentare i mulini ad acqua che sorsero in vicinanza di Siracusa (78). Come si era accennato sopra, le piene distrussero o resero inagibili i mulini ad acqua esistenti lungo il basso corso dell'Anapo. A causa di ciò si rese urgente ed indispensabile costruire in città i centimoli (79). Ma questi mulini, purtroppo, non riuscivano a macinare frumento per tutta la popolazione anche perchè sopravvenne in quegli anni la peste e molti centimoli rimasero chiusi per la morte dei proprietari o per debiti rimasti insoluti. Intervenne allora in aiuto il barone di Sortino e Cassaro don Pietro Gaetani il quale da proprietario dell'acquedotto di Galermo e quindi unico interlocutore con la municipalità, si impegnò a ricostruire tutte quelle parti della «saja» andate in rovina nel tempo sia per incuria dell'uomo che degli agenti atmosferici. Poiché uno spesso strato di fanghiglie e di residui vegetali si era depositato nel tempo lungo il decorso con conseguente innalzamento del livello delle acque e proporzionale abbassamento della pendenza, tanto da far fuoruscire in più tratti l'acqua dal suo alveo (80), il barone provvide a sue spese alle pulizie generali e si impegnò inoltre a costruire i primi mulini. In cambio egli richiese per sè e per i suoi eredi il diritto di possesso di lucro sul macinato. Tanto fu stabilito fra le autorità cittadine ed il barone Gaetani con atto pubblico redatto in data 19 novembre 1576. Ma ciò che in principio potè sembrare un vantaggio per la cittadinanza ben presto si presentò come una lama a doppio taglio. Spesso i Siracusani, nei secoli successivi, si lamentarono e chiesero agli organi competenti l'abolizione di quella tassa ritenuta iniqua. Il Gargallo, nelle «Memorie Patrie» (81) si scagliò contro tali prepotenze e dimostrò che quell'atto era da ritenersi nullo in quanto quell'acqua non poteva appartenere ad un privato e perchè non vi fu alcuna reciprocità nei patti stipulati con il Comune. In seguito alla campagna contraria aperta dal Gargallo il demanio rivendicò a sè le acque delle fonti e dei fiumi, divenendo con grande vantaggio per l'agricoltura, proprietario del famoso acquedotto. Circa il nome di questa famosa «saja » si deve precisare che essa fino al secolo scorso veniva chiamata «della bella femmina » mentre il nome Galermi è stato dato in data recente, forse facendo un po' di confusione con l'acquedotto del ninfeo detto pure di Galermi. Infatti nelle tavole di topografia archeologica di Siracusa dei professori Cavallari si può notare che l'acquedotto del ninfeo o di Galermi si diparte dal Pozze De Franchis sito alla traversa Pizzuta e dopo 1385 metri di percorrenza sbocca a quota 37 sul mare al di sopra del Teatro Greco (82). I baroni di Sortino, allo scopo di creare i necessari adattamenti al loro acquedotto onde impiantarvi i cinque mulini scaglionati sulla terrazza del Teatro Greco dovettero portare le acque a quota cinquanta «citra fontem Galermi». Dopo di che è immaginabile la confusione che si venne a creare. (76) S. PRIVITERA, Op. cit., pag. 43 (77) Si rifa a Teocrito Idill. I. Quei versi furono interpretati in vario modo. A. Divo: «Valete Aretuso. e voi o fiumi che diffondete la bella acqua nel Timbride». Sec. A. Salvini: «Addio Fonte Aretusa, e fiumi addio, che sgorgate da Timbri in le belle acque». Sec. Cluverio: «Vale Aretusa, e voi pure o fiumi, che scorrete verso la bell'onda del Timbride». (78) Nel 1800 i mulini che macinavano con le acque dell'acquedotto di Galermo arrivarono ad 8. L'ultimo mulino ad acqua, funzionante fino agli anni trenta del nostro secolo ed ubicato vicino al teatro greco fu gestito dalla famiglia Battista. (79) Erano mulini a macina girati Ha asini o da giumente. (80) Una situazione del genere perdurò tanto a lungo in vicinanza dell'attuale villaggio Epipoli che quella zona meritò la denominazione in quei tempi di Saja Rotta. Saia in italiano canale irrigatorio. TI vocabolo siciliano deriva dall'arabo Sàqìah. (81) Tomo primo pag. 49 e seg. (82) Queste acque finn ai primi anni del nostro secolo venivano immesse nella condotta comunale. Il Li Greci rilevò che già nel 1440 queste acque furono portate a S. Antonio (in vicinanza del Pozzo Ingegnere).