Cilio Gino
C
Cilio Gino, non si hanno notizie
nella foto con Raimondo Raimondi
Gino B. Cilio. Una vita per l’arte
Conversazione di Lidia Pizzo con l’artista Gino B. Cilio
I Siracusani a Gennaio hanno fatto un bagno fuori stagione. Non al mare! Nel mondo dell’arte. Le luci si sono
accese sull’antologica del maestro Gino B. Cilio, evento
itinerante in diverse città, Noto, Roma, Milano. Percorrendo l’isola di Ortigia, ben tre spazi sono stati impegnati con le opere dell’artista che ha speso la vita per l’arte.
E sarebbe il caso di dire, come nelle favole d’altri tempi e
luoghi: “C’era una volta un bambino che prima di scrivere disegnava e manipolava la terra cretosa vicino ad
una fontanella sotto casa, sfidando le ire della madre che
lo vedeva tornare con i vestiti in condizioni pietose”.
Se dovessimo dare credito a James Hillman, dovremmo
dire che il dàimon che ognuno di noi riceve alla nascita si
è manifestato in lui prepotentemente sin dall’infanzia: la
sua scelta culturale non poteva essere altro che l’Istituto
d’Arte prima e l’Accademia di Belle Arti dopo, nella
“Scuola del vedere” di Salisburgo allora diretta da Oscar
Kokoschka del quale divenne l’allievo prediletto, poiché il
maestro avrebbe visto in lui un ottimo gregario. Ma Cilio era (ed è) troppo individualista per seguire qualcuno,
fosse anche Kokoschka, che non avesse la sua inclinazione, la sua ansia di sperimentazione, che gli permetterà diReviews & Interviews Reviews & Interviews
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percorrere e vivificare alcuni ismi dell’arte contemporanea come la neofigurazione o il neoespressionismo, per
giungere all’Informale vissuto, però, come Abstraction
lirique. (Fig.1)
I materiali che il maestro usa per questo suo approdo
sono svariati: predomina il vetroresina, il sicofoil e ogni
altro prodotto trasparente, che gli permetta di instaurare, alla Caravaggio, una lotta con la luce, per farla scorrere o bloccarla dove ritiene opportuno.
In Gino Cilio il segnismo informale ha perso quella valenza esasperatamente dionisiaca, carica
dell’incontrollata emotività dell’hinc et nunc di Pollock,
in favore di un gesto più meditato, tendente al recupero
dei valori formali nei quali è insito sempre il fatto estetico come insopprimibile pulsione interiore, per cui con
Oscar Wilde potremmo dire: “La Bellezza è l'unica cosa
contro cui la forza del tempo sia vana. Ciò che è bello è
una gioia per tutte le stagioni, ed è un possesso per tutta
l'eternità”. (Fig. 2)
Tuttavia, nel momento in cui la tensione tra realtà oggettiva e realtà soggettiva si fa irresolubile e insopportabile, l’artista arriva al “grido taciuto” di Pavese. “Grido
Fig. 1 – Gino B. Cilio, Pieno-Vuoto, tecnica mista, misure variabili, 1989Reviews & Interviews Reviews & Interviews
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taciuto” che Cilio pone in essere annullando ogni superficie pittorica e realizzando una serie di non- cataloghi per
una non-mostra. (Fig. 4)
Dell’arte non resta nulla, solo un ri-quadro vuoto di superficie e un fuori margine 1+Uno. (Fig. 3)
Raggiunto l’A-Zero dell’opera d’arte, per alcuni anni il
Nostro non produce alcun lavoro.
Si rende conto che la percezione della realtà con i nuovi
media ha subìto una radicale trasformazione e di conseguenza si sono modificati anche i parametri di riferimento di lettura della stessa.
Lidia Pizzo
Fig. 2 – Gino B. Cilio, Vuoto-Pieno, tecnica mista, misure variabili,
1989
Fig. 3 – Gino B. Cilio, 1 + Uno, 2001Reviews & Interviews Reviews & Interviews
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L. P. - Maestro, come mai lei, così competente in quasi
tutte le branche tradizionali dell’arte, ha sentito la necessità di cimentarsi col digitale?
G. C. - Da sempre sono stato uno sperimentatore e la mia
curiositas, nel senso etimologico di cura, capacità di osservazione, mi ha indotto a indagare i vari ismi dell’arte a
me contemporanea. Da alcuni anni a questa parte mi sono reso conto che alla realtà che cade sotto i nostri sensi si
è addizionata una realtà “altra”, data dall’uso degli strumenti digitali, dal computer, alla macchina fotografica,
alla fotocopiatrice ecc… Quindi sono entrato in crisi per
un certo periodo, addirittura azzerando quanto avevo
prodotto in precedenza. A questa operazione ho dato la
denominazione di A-Zero dell’opera d’arte. Successivamente mi sono confrontato con la computerizzazione e
con i suoi risvolti estetici, sociali, psicologici e così via. In
questo contesto l’arte digitale mi ha assorbito totalmente.
(Fig. 5)
Fig. 4 – Gino B. Cilio, Quattro Non-Cataloghi per una Non-Mostra,
2001Reviews & Interviews Reviews & Interviews
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L.P. - Ci sono tantissime forme di arte digitale. Secondo
lei qual è l’idea, la visione di fondo per chi la sperimenta?
G.C. - A mio parere, con il digitale si è avuto un capovolgimento dello sguardo e quindi della percezione. Mi spiego meglio. Prima l’artista guardava la realtà e da essa astraeva un’immagine fantastica o fantasiosa per quanto si
voglia, vedi Cubismo, Futurismo…, l’input, però, era sempre dato dalla realtà che veniva rappresentata in un modo
o nell’altro. Al contrario, oggi, se si guarda ad esempio un
frattale, è l’immagine o le immagini scaturite da questo
che suggeriscono la realtà dell’albero di abete, per esempio, del cristallo di ghiaccio e così via. Ma il problema si
estende anche alle altre figurazioni completamente computerizzate. Per non parlare degli algoritmi genetici. (Fig.
6)
L. P. - Scusi la mia ignoranza, ma in che modo un algoritmo genetico si può applicare all’arte?
Fig. 5 – Gino B. Cilio, Composizione, Digital art, 30x40, 2014Reviews & Interviews Reviews & Interviews
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G.C. - Allo stesso modo di come si fa con una ricerca medica, scientifica e così via. Un algoritmo non è altro che un
programma per un calcolatore che viene utilizzato per risolvere un problema. Tra i vari algoritmi selezionati i più
efficaci vengono usati come modelli di nuovi programmi
mediante “mutazioni casuali”.
In altre parole, il programma di simulazione è a tutti gli
effetti un modello, non una realtà simulata, ma una simulazione di realtà, una realtà parallela, insomma. Infatti, le
tecniche di sintesi numerica di cui si serve la computerizzazione non hanno più nulla a che fare con quanto ci sta
sotto gli occhi, appunto perché viene trasposta una struttura logico-matematica nella dimensione del visibile.
(Fig. 7)
L.P. - A suo parere questo capovolgimento quale impatto
ha sull’uomo?
Fig. 6 – Gino B. Cilio, Cronos 1, Digital art, tecnica mista,
70x70, 2011Reviews & Interviews Reviews & Interviews
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G.C. - Non c’è chi non veda come in questi ultimi anni al
mondo naturale si tenda a sostituire una realtà “simulacrale”, cioè forme di rappresentazione, come si diceva,
prodotte interamente dall’uomo che rinviano le une alle
altre in un percorso infinito e di cui si sono persi gli originali. Tali modelli, a questo punto, possono agire, anzi agiscono lavorando alla trasformazione in senso simulatorio
dell’ambiente sociale e culturale.
L.P. - Maestro, non crede che da che mondo è mondo, dal
fuoco, alla ruota, al computer, sono state sempre le scoperte scientifiche a cambiare il sensorio umano, che poi
l’Umanismo ha interpretato?
G.C. - Credo che lei abbia ragione. Infatti, basti un solo
esempio. Paragoniamo i progressi scientifici e tecnologici
di fine Ottocento inizio Novecento con le interpretazioni
che ne diedero le avanguardie storiche. Queste, contro
Fig. 7 – Gino B. Cilio, Cronos 2, Digital art, tecnica mista, 70x70, 2011Reviews & Interviews Reviews & Interviews
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l’entusiasmo positivistico nei confronti di tali progressi,
stabilirono un rapporto di opposizione attraverso
l’assunzione dei più svariati linguaggi che avessero la
stessa specificità delle scienze, ma che, tuttavia, dovevano
essere semanticamente coerenti, vedi Futurismo, Cubismo ecc… Oggi la situazione è simile, ma molto più fluida,
data l’infinita possibilità semantica che offre la tecnologia,
la quale in brevissimo tempo ha cambiato il sensorium
commune. (Fig. 8) Mi soffermo solo su un particolare:
cosa è diventato lo spazio e il tempo in un computer, in
Internet? Esiste lì il presente, il passato, il futuro? Tali
dimensioni non sono più nell’interiorità dell’uomo, come
un tempo, ma fuori, sulla superficie del video in quanto
tempo, tempo dell’attesa, dell’apparizione, tempo latente
e addirittura ve ne è uno per la scomparsa del tempo che
in qualunque momento può ripresentarsi. Sono temi che
fanno riflettere un artista, perché tutti sappiamo che
quando cambia la percezione del tempo e dello spazio
cambiano i parametri di lettura della realtà.
Fig. 8 – Gino B. Cilio, Seriale, Digital art, tecnica mista, 70x100,
2011Reviews & Interviews Reviews & Interviews
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L.P. - Mi pare che in tempi non sospetti con grande lungimiranza riferendosi alla radio e al telefono lo stesso
Heidegger aveva affrontato il problema.
G.C. - È vero, il filosofo aveva sostenuto con terrore che le
cose ci appaiono “senza distanza”. A maggior ragione il
fenomeno si accentua con le nuove tecnologie della virtualità. Le immagini digitali, infatti, non sono statiche ma
si qualificano come flusso, come un panta rei costante.
Quindi il “senza distanza” è un flusso spazio-temporale
globale, continuo, non fisico e quindi invisibile. Alle due
dimensioni canoniche, dunque, dello spazio e del tempo,
a mio modestissimo parere, adesso bisogna aggiungere
questa dimensione del flusso del senza distanza. (Fig. 9)
L.P. - Mi scusi, ma se prendiamo per buono il concetto di
“flusso del senza distanza” a questo punto dovrebbe
scomparire il concetto di centro e di periferia.
Fig. 9 – Gino B. Cilio, Interfaccia, Digital art, 30x40, 2014Reviews & Interviews Reviews & Interviews
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G.C. - Ha centrato il problema. Con le nuove tecnologie
tutto è centro e tutto è periferia, basti citare i social
network.
L.P. - Tenuto per fermo quanto sopra, in che modo i concetti espressi hanno influito sulla sua decisione di realizzare figurazioni digitali e digitalizzate?
G.C. - Ho sempre pensato che un artista deve essere
l’interprete del proprio tempo e per farlo deve interessarsi
al cambiamento del sensorium commune. Quindi, prima
di ogni cosa sono diventato un flâneur delle autostrade
telematiche. A questo punto mi sono reso conto che esistono in rete almeno quattro indirizzi artistici.
Un primo arroccato su linguaggi ampiamente sperimentati e pubblicizzati anche in rete, che sfrutta la tradizione
concettuale delle avanguardie storiche e delle neoavanguardie con installazione, arte ambientale, ecc… Un secondo indirizzo, magari in continuità con il precedente
che si serve di strutture elettroniche che si intrufolano in
situazioni quotidiane e stanno a dimostrare la pervasività
della tecnologia e della telematica. Un terzo rappresentato
da un’arte realizzata da ipersoggetti telematici che usano
la commistione delle arti e della tecnologia (ipermedium)
in cui sfuma il concetto di autorialità in favore di un ipersoggetto. Ed infine un quarto indirizzo artistico, sicuramente il più praticato, che mantiene il concetto di autorialità nel realizzare dei lavori attraverso diverse strumentazioni tecnologiche, che in fondo è quello che ho praticato io in quest’ultima mostra.
L.P. - Le tipologie di arte digitale da lei praticate sono
almeno quattro. Come mai non si è attenuto ad un unico
stile?
G.C. - Per coerenza. (Fig. 10)
L.P. - Per coerenza? Trattandosi di antologica noto cheReviews & Interviews Reviews & Interviews
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sono coerenti le altre immagini, diciamo le pittoriche o le
tridimensionali in relazione allo stile prescelto, ma queste proprio no!
G.C. - Vedo che non la convinco. Ho precisato che sono
diventato un flâneur della rete per cui sono stato letteSulla mia retina si sono scaricate le immagini in modo caotico, confuso, sovrapposte le une alle altre: fotografia,
still da video, ologrammi, diagrammi e chi più ne ha, più
ne metta. Non mi è rimasto altro che fare una selezione,
intervenire anche manualmente su molte immagini, seguire una serie di altri passaggi digitali fino ad arrivare
alla forma che soddisfaceva il mio concetto di bellezza.
L.P. - Ma, caro maestro, oggi la bellezza in arte mi sembra un optional!
G.C. - Se in arte manca la dimensione poetica, la dimensione della bellezza, allora ci troviamo di fronte alla prosa Fig. 10 – Gino B. Cilio, Riflessione, Digital art, 30x40, 2014Reviews & Interviews Reviews & Interviews
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della vita e non è necessaria l’arte.
L.P. - Quindi a suo parere il rapporto arte-bellezza va
risemantizzato in modo da restituire all’arte la sua funzione anche come valore antropologico?
G.C. - Ovviamente sto parlando della bellezza non nostalgicamente o polemicamente intesa rispetto al passato ma,
al modo di Baudelaire, come valore storico in movimento.
Una bellezza in grado di cogliere il bello in quanto pluralità di sensi e che quindi può comprendere anche il brutto,
come già i Romantici avevano intuito, sostenendo che la
bellezza conteneva delle contraddizioni, delle aporie.
Non sono un “duchampiano” che ritiene chiuso il rapporto con la bellezza, ma certamente essa va risemantizzata e
adattata alla contemporaneità. Ma come? Certamente osservandone l’evoluzione storica e rivedendo il tutto alla
luce dello Zeitgeist, dello spirito del tempo contemporaneo, come del resto è sempre stato, da che mondo è mondo. Basta dare uno sguardo al mondo classico. Già gli
stessi Greci avevano intuito che il concetto di bellezza aveva una sua ambiguità se nel tempio di Apollo a Delfi,
sul frontone orientale, era anche raffigurato Dioniso, dio
del caos. Pertanto sin d’allora la Bellezza è al tempo stesso
uno schermo che cerca di cancellare, di sopprimere la
presenza di una Bellezza selvaggia, conturbante, che non
si esprime nelle forme apparenti, ma al di là delle apparenze. Faccio un esempio banalissimo. Tutti conosciamo
la poesia A Silvia di Leopardi. Si parla di morte di una
giovane vita, di amarezza, di angoscia, ma quanta bellezza
c’è nel dolore della perdita! Ecco questa è l’eternità della
bellezza. (Fig. 11)
L.P. - Lei ritiene, allora, che anche l’arte digitale debba
obbedire a valori estetici?
G.C. - Anche l’arte digitale, secondo me, non si può sot-Reviews & Interviews Reviews & Interviews
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trarre a questo imperativo categorico e se sbirciamo qua e
là in rete reperiamo tante opere, magari poco frequentate
dagli addetti ai lavori, che percorrono altre e più redditizie strade, davvero straordinarie dal punto di vista estetico. Esorto i lettori a fare un “viaggio” in rete e tra le cose
da scartare ce ne sono altre che sono dei veri e propri
gioielli, ne ho trovati diversi anche relativamente alla video arte.
L. P. - E lo spettatore?
G.C. - A mio avviso non deve fare altro che percorrere
le molteplici vie della riflessione sulla componente visiva,
ideologica, concettuale, iconica dell’arte digitale, perché è
inconfutabile che la differenza tra un artista e l’altro
nell’ordito delle forme espressive consiste nella qualità
dei quesiti che pone al riguardante.
Infatti, so per certo che è la scienza che comporta
l’evoluzione dell’uomo, ma è l’arte, nell’accezione più vasta del termine che ne determina il progresso.
Fig. 11 – Gino B. Cilio, Veduta, Digital art, 30x40, 2014Reviews & Interviews Reviews & Interviews
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GINO B. CILIO – Diplomato presso l’Istituto d’Arte di Palermo,
ha poi frequentato l’Accademia Internazionale di Salisburgo, come
allievo di Oskar Kokoschka per la pittura e di Slavij Soucek per la grafica. Direttore dell’Accademia Internazionale del Circolo Romano di
Cultura, ha poi lavorato presso lo studio Fornasetti di Milano e all’IRI
di Roma. Dopo un ciclo pittorico dedicato alla Neofigurazione e
all’Espressionismo perviene al Minimalismo e al Concettuale, sino a
teorizzare l’“A-Zero dell’opera d’arte”. In seguito ad un periodo di
riflessione approda alla Digital Art. Ha realizzato varie mostre personali in Italia e in Europa, recentemente anche a Miami e New York.
LIDIA PIZZO – Dopo gli studi classici, consegue la laurea in Lettere con specializzazione in Storia dell’arte. Espone in varie città italiane ed estere e aderisce al movimento “Neocostruttivismo” delle
Segrete di Bocca di Milano. È stata responsabile del Museo Civico di
Arte Contemporanea del Comune di Floridia e da molti anni scrive di
arte e di critica d’arte