vivaio San Cusmano Augusta
Augusta
Con la fondazione della città di Augusta e la costruzione del relativo castello, nonché della Basilica del Murgo (anche se mai finita), Federico risulta essere profondo conoscitore delle valenze paesaggistiche e delle risorse di questo territorio. Nel medioevo la vasta pianura tra il capo Xiphonio e l'isola di Thapsos era particolarmente lussureggiante, fertile, ricchissima di corsi d'acqua (il Marcellino, il Molinello, il Cantera, il San Cusmano) e, delimitata naturalmente dalle estreme propaggini degli Iblei e dal mar Ionio, doveva apparire una sorta di conca paradisiaca.
E se qui l'imperatore espletò la sua attività ludica preferita, la caccia, allo stesso modo non disdegnò di assegnarle un ruolo particolare anche per la pesca d'acqua dolce. Federico fece tesoro delle tecnologie islamico-normanne (53) riguardanti i sistemi di canalizzazione delle acque per uso agrario e, come ancora una volta ci informano le lettere lodigiane (54), fece realizzare un funzionale sistema di regolamentazione delle acque del territorio magarese (55), con lo scopo di irrigare i campi (56), ma anche di alimentare un vivarìum, quello di Santi Cosme cioè San Cusmano (57), per soddisfare l'attività della pesca. Ma è ovvio che il vivaio federiciano rappresentò una riserva ante litteram, dove le più varie specie non solo ittiche, ma anche ornitologiche, trovarono rifugio
sicuro.
Il vivaio o bacino per l'itticoltura come diremmo oggi, era collegato a gruppi di case spesso munite di sistemi difensivi (torri); nelle lettere lodigiane, infatti si menzionano anche le Case del Cantera. Di questo complesso edilizio rimane soltanto una torre 58.
Da queste informazioni appare logico congetturare che Federico II avesse fatto costruire una vera e propria diga per bloccare le abbondanti acque del fiume San Cusmano formando così il bacino artificiale ricordato dai regesta.
Il bacino artificiale è descritto dal Fazello come esistente ancora ai primi del XVI secolo e da lui attribuito al periodo svevo. Successivamente esso venne più o meno colmato dai detriti alluvionali sino a scomparire completamente a causa dei rivolgimenti di carattere prima agrario e poi industriale.
L'identificazione di questa diga, viene con sicurezza fatta da G. Agnello con i resti di un possente muraglione "che ancora oggi sbarra il vallone di S. Cusmano, nel feudo omonimo. Questo occupa il settore centrale di tutta la pianura megarese e dista sette chilometri da Augusta... Di questi avanzi venerandi nessuno si è mai occupato, anzi i brevi cenni ad essi consacrati da alcuni studiosi moderni hanno contribuito ad accrescere l'equivoco storico che vede nel superstite muraglione i ruderi della famosa kolumbetra di Dedalo, quanto mai, gli avanzi di un'opera romana" (59).
Ai tempi in cui Agnello scrive (anni '30 dello scorso secolo) il muro della diga di contenimento era ancora perfettamente leggibile (ma conteneva ormai un agrumeto lungo il lato che guarda agli Iblei ed un vigneto lungo il lato che guarda allo Ionio) e alla sua descrizione oggi dobbiamo la memoria della struttura. La zona è indicata nelle carte dell'IGM come "Pantano".
Il progetto di un sistema di convogliamento delle acque in epoca sveva fu curato nei minimi particolari e con la massima considerazione dei non facili problemi che il regime delle acque presentava. Ecco perché la fondazione del muro fu saldamente ancorata al piano di roccia e per garantirne la stabilità in caso di inondazioni violente fu realizzato un intricato sistema di cunicoli e saracinesche.
La diga, lunga m 200 con andamento da Sud a Nord, quasi parallela alla linea ferrata, fu riadattata alla fine del XIX secolo costruendovi sopra un muro
probabilmente con funzione di limite interpoderale.
Nella parte mediana della diga un'apertura facilitava il deflusso dell'acqua del San Cusmano. L'opera muraria si avvaleva di grossi blocchi calcarei che all'epoca
di Agnello si elevavano per un massimo di m 6. Dei due originari contrafforti ne rimaneva uno soltanto. Tra di essi era aperta una porta quasi totalmente
interrata, della quale si leggeva l'archivolto, che era in relazione al sistema di cunicoli di emissione delle acque. Dal lato mare la diga presentava un
andamento a scarpa e i conci rivelavano una fattura più rifinita, forse perché questa era la parte a vista emergente al di sopra della superficie della pescaia. I
tecnici federiciani utilizzarono materiali a forte resistenza idraulica come malta e pozzolana che creavano un'impermeabilizzazione perfetta. Dalla sezione del
muro si ricavava uno spessore che va da m 6,50 alla base sino a restringersi a m 3 nella parte terminale.
L'interno del muro era realizzato con la tecnica del riempimento che ritroviamo in tutte le strutture federiciane ma che qui, per i sopraindicati motivi di
impermeabilità, risultava in particolare coesione per l'impiego di calce e pozzolana.
Un cunicolo di scarico a gomito della lunghezza di m 7,60 con una larghezza variabile dai m 0,55 a 0,35 per un'altezza di m 4,25 presentava le tracce di
scorrimento delle saracinesche.
Duole qui sottolineare la mancata campagna di scavi sollecitata da G. Agnello, le cui acutissime osservazioni, qui sopra riassunte, sono l'unica testimonianza della strutturazione di una parte del complesso del vivaio di San Cusmano.
Scavi che non furono neppure effettuati più di un quarantennio fa in vista delle radicali trasformazioni che il territorio avrebbe subito per l'impianto delle
industrie chimiche e di raffinazione del petrolio 60.
Nonostante gli enormi sconvolgimenti causati dagli attuali impianti industriali, ho voluto tentare una ricerca sul terreno al fine di i individuare eventuali strutture residue della diga federiciana, nella persuasione che un limite deve pur esserci alla inevitabile distruzione che delle preesistenze i nuovi insediamenti industriali comportano.
Il tentativo, reso possibile dalla cortese disponibilità della Dirigenza dell’Enichem che mi ha consentito l'accesso all'area industriale, è stato positivo. Seguendo le indicazioni contenute nell'opera di G. Agnello, in una zona marginale degli impianti, prossima alla linea ferroviaria, ho individuato pochi resti del muro della
diga, estesi non più di m.10, ma integri nella loro altezza originaria e ancora sovrastati dal muro postumo interpoderale.
Ben visibili le caratteristiche della struttura descritta da Agnello: il lato interno, formato da conci di media dimensione, è tagliato a scarpa; quello esterno,
invece, si compone di conci piccoli ed ha assetto perfettamente verticale.
Il sistema del San Cusmano si avvaleva anche di un serbatoio alla sorgente del fiume che fu, secondo Agnello, da Federico (e non dai greci di Megara) protetta
con un perimetro di possenti blocchi calcarei. L'interno doveva essere impermeabilizzato da materiali come la pozzolana o con una composizione di
calce, sabbia, malta, frammenti di mattoni e di pietrame triturato. Lo studioso ipotizza che il serbatoio avesse oltre che la funzione di proteggere e delimitare la sorgente, anche quella di depurarne le acque che venivano poi convogliate nel bacino più a valle.
"Nel centro del serbatoio si osservano ancora, a fior di terra, le basi di una più piccola costruzione quadrata, segnata dal netto rilievo dei conci che disegnano la loro sagoma sotto la limpida vena delle acque.... A me sembra di poter additare nel quadratino centrale una delle tappe iniziali da cui dovette essere contraddistinta la storia della sorgente nel piano della progressiva e sempre più ampia utilizzazione". L'elemento di raccordo tra il serbatoio e il vivarium consisteva, ovviamente in un acquedotto che, per similitudine con i moderni sistemi di irrigazione, era a canale libero, ma poteva essere anche integrato con parti in muratura.