chiesa madre - provincia di Siracusa

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Sicilia
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Melilli



Architetti, artisti, mastri e arredi della Chiesa Madre di San Nicol\'f2 in Melilli dal 1693 (docomentazione pdf)


Le origini della Chiesa Madre e il terremoto del 1693
Sin dal 1140 il toponimo “Melilli” (“in terminis Melilli”) appare in un documento in cui “Adelicia, nipote del re Ruggiero, dona alla chiesa di Cefalù i casali di Girepizi Cardinale, Agulia e Mattile ed una casa in Siracusa”1, ma non vi è traccia della Chiesa Madre sotto il titolo di San Nicolò, vescovo di Mira, antica città della Lìcia in Asia Minore. Del resto, anche se la Matrice fosse stata già edificata durante il periodo arabo, probabilmente furono i Normanni, scesi in Sicilia dalla Puglia verso il 1100 per scacciare i musulmani, ad imporre al tèmpio il nome del Santo. San Nicolò si venerava già a Bari dove il corpo era stato portato da alcuni mercanti che lo avevano rapito nel 1087. La Chiesa Madre di Melilli, “Curie terre Mililli”, è citata per la prima volta in un mandato del 1270-1271 relativo alle decime delle terre e degli orti di proprietà della Matrice, dedicati ai Santi Cosma e Damiano (“decimis terrarum et ortorum SS. Cosme et Damiani, proventuum Curie terre Melilli”)2, nonché negli elenchi delle decime del 1308-1310 (“apud Milillum, Chiesa di S. Nicolò”)3 e del 1313 (“apud Milillum, ecclesia S. Nicolai”)4. Nessuna descrizione esiste però dell’antica chiesa antecedente al terremoto del 1693. è solo ipotizzabile, da una pianta relativa alla città di Melilli riferibile alla fine del ‘500, il cui originale è conservato presso l’Archivio Generale Agostiniano di Roma5, che fosse ad una sola navata con copertura a falde (fig. 1). Ciò perché nel prospetto principale, rivolto verso levante, insiste una sola porta centrale. Nella pianta sono visibili la porta di mezzogiórno, che dà su un’ampia piazza ornata da una palma, e la torre campanaria quadrilatera. Ora come allora, la Matrice, la chiesa più antica del paese, eretta in territorio dell’ex feudo Mezza Montagna, in contrada Santa Caterina, si trova quasi al centro dell’abitato (fig. 2), nel quartiere omonimo6, in una stupenda zona panoramica delle colline iblee, con vista sulla degradante pianura e sul mare Ionio.
Ha il prospetto, come l’antico, rivolto verso levante, ma, a differenza del passato, la chiesa oggi ha tre navate, un’ampia àbside, quattro cappelle, quattordici altari, una cupola rotonda e un transètto, che, attraverso tre finestre per ciascun lato, irradia luce alle cappelle laterali che delimitano il presbitèrio, illuminato da due aperture (fig. 3). Magistrale la sapiente regìa di luci, imperniata sui raggi del sole che filtrano dalle finestre.
Ciò conferisce un’intensa luminosità alla pietra bianca miocenica, estratta dalla cava7 o “pirrera di S. Antonio” (detta anche della “Barriera” o della “Catena”), la più importante e grande di Melilli, ubicata in contrada “Pianazzo”, attiva già nel VII secolo8 e chiusa nel 1959.
L’abilità degli scalpellini locali, abbinata alla duttilità della pietra, consegnò ai posteri l’attuale Chiesa Madre, splendido capolavoro lapìdeo, soffuso all’interno da un tenue stile tardo barocco.
Per secoli e fino al 1956 la Matrice è stata l’unica parrocchia del paese, nonché la chiesa sacramentale ove si festeggiava il patròno della città San Nicolò, sostituito nel 1697 da San Sebastiano9.
L’impulso per ricostruire dapprima la Chiesa Madre, che, a causa dei terremoti10 del 9 e 11 gennaio 1693, “si rovinò dell’intutto non essendo rimasta pietra su pietra”11, lo diede il vescovo di Siracusa monsignore Francesco Fortezza, il quale, con provvedimento del 18 marzo 1693, ordinò ai vicari foranei di vietare “di rifabbricarsi in nessun luogo, città o terra della nostra Diocesi, chiesa alcuna se prima non sia fabbricata o restaurata la Chiesa Matrice”12. Per i primi soccorsi, l’accertamento dei danni e l’avvio della ricostruzione delle abitazioni private, l’iniziativa partì, invece, da Ferdinando Moncada e Moncada, barone di Melilli, principe di Paternò e duca di Montalto13, che, un mese dopo il sisma, inviò in paese don Antonio Morillo e Aronica, cui concesse poteri decisionali, e don Pietro Mancuso. Intanto, caddero ben presto le incertezze e le perplessità iniziali sulla località ove ricostruire il nuovo paese.




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