Castello vecchio
venne totalmente distrutta dal terribile sisma dell’ 11 Gennaio 1693
Ai tempi di Cicerone, Netum godeva dei diritti di una città federata romana, foederata civitas, alla pari di Messana e Tauromenium (oggi Messina e Taormina); mentre ai tempi di Plinio, conservava sempre il grado di città latina (civitas latinae conditionis), favore di cui non fruivano allora che tre città della Sicilia.
Tolomeo è l’ultimo scrittore antico che faccia menzione di Netum, la quale fu la sola città che seppe opporre resistenza alle vessazioni e depredazioni di Verre.
Fu città ben munita, sotto il profilo difensivo, tanto che Ruggero il Normanno, dopo avere sottomesso gran parte dell’isola, la occupò per spontanea dedizione, e non per espugnazione.
Dopo Ruggero fu signore di Noto suo figlio Giordano. Nei primi anni del secolo XIV, a causa di un tradimento venne in mano a Carlo d’Angiò. Sotto re Alfonso fu proprietà del fratello Pietro, il quale costruì la torre maggiore detta volgarmente maestra
http://www.siciliafotografica.it/homesic/index.php?option=com_content&task=view&id=182&Itemid=86
Scritto da Diego Barucco
Correva l’anno domini 1358 quando a Giovanni Landolina fu staccata la testa dal corpo, presumibilmente con un colpo di spada. I chiaramontani al comando di Manfredi non concedevano molto margine di salvezza quando si trattava di compiere una rappresaglia, soprattutto in quegl’anni turbolenti che vedevano lo scontro fra le truppe regie del re Federico III e gli Angioini; all’interno di questi s’innescarono i duri conflitti baronali fra le potenti famiglie di parzialità latina capitanati dai Chiaramonte e di parzialità catalana capitanati dagli Alagona. Il saccheggio e la devastazione di Vizzini nel 1358 da parte delle truppe dell’eroico catalano Artale d’Alagona in seguito al suo ennesimo e fallimentare assedio di Lentini, roccaforte chiaramontana, aveva reso furioso Manfredi di Chiaramonte. Pertanto quest’ultimo con il suo esercito mosse alla volta di Noto, quella splendida Noto medievale, all’epoca fra le più importanti città del sud-est, cantata un tempo nei ricordi dei poeti arabi esiliati quali Ibn Hamdis figlio della dominazione saracena. Quella bellissima Noto la quale prima del grande sisma sorgeva sul colle inespugnabile del Monte Alveria, e di cui ora ne rimangono solo grandi rovine.
Quel fatidico anno, quindi, la città di Noto subì il violento assalto vendicativo da parte dei Chiaramonte e nonostante il grande impegno del capitano e governatore Giovanni Landolina nel non cedere la città, essa fu messa a ferro e fuoco e lo stesso governatore fu giustiziato come atto esemplare.
La nostra attenzione però non sarà strettamente dedicata a Noto, bensì focalizzeremo lo sguardo più a nord-ovest in un sito molto ben conosciuto ma scarsamente frequentato, dove ritroveremo le tracce di quel momento storico drammatico ed in particolare, in modo assai indiretto, i fatti di quegl’anni.
Giovanni Landolina, dopo che le truppe di Manfredi avevano assediato Siracusa nel 1356, all’epoca in mano agli Alagona, aveva pensato di premunirsi contro eventuali attacchi alla sua città. Pertanto pensò bene di riutilizzare il sito e gli antichi resti di una fortificazione in rovina, probabilmente di epoca bizantina, posta in un luogo strategico quale il famoso colle di Castelluccio, in modo da poter controllare l’intera valle del fiume Tellaro e gli eventuali movimenti di truppe nemiche provenienti da nord.
Secondo incerte carte documentarie, Giovanni Landolina costruì a proprie spese un castello nel 1356 su quella rocca, un sito che oggi sappiamo essere fra i più importanti degli Iblei nel territorio di Noto, poiché su di esso il grande archeologo Paolo Orsi scopri e scavò l’importante villaggio preistorico dell’antica età del bronzo che diede il nome ad un’intera cultura preistorica: la cultura di Castelluccio; non solo, ma sulla cima insistono ancora i resti, per chi è in grado di leggerli, di un santuario preistorico di quell’epoca, forse unico caso preservato in tutta l’isola, mentre sui fianchi ripidi nella vallecola sottostante, troviamo la splendida necropoli con sepolcri a grotticella artificiale con la celeberrima tomba a pilastri detta: “Tomba del Principe”.
Come se non bastasse, sono svariate anche le testimonianze di una frequentazione in pieno periodo greco che oltre al rinvenimento nel terriccio smosso di frammenti di ceramica attica dipinta in nero, tegole arcaiche e una piccola latomia, troviamo in prossimità della necropoli del villaggio, il poco conosciuto Heroon, un santuario greco ipogeico dov’era sepolto e venerato un eroe o una personalità importante e dove tuttora su un elemento architettonico dell’altare del defunto possiamo leggere alcune lettere greche. Insomma, il colle del Castelluccio con la sua quasi anonima foggia calcarea vi racchiude concentrate delle assolute meraviglie archeologiche molte delle quali ancora poco investigate.
Il piccolo castello trecentesco è impostato su una precedente fortezza bizantina, tuttora anonima, il cui accesso avveniva attraverso una singolare carraia scavata nella roccia dove in alcuni tratti, lungo l’asse centrale, appaiono dei solchi perpendicolari che permettevano agli zoccoli dei cavalli di avere maggior presa, soprattutto quando la superficie era bagnata dalla pioggia. Seguendo la carraia, giungiamo ad una strettoia spianata del colle che ricorda un rozzo fossato in cui dall’altra parte ci fronteggia una parete anticamente modellata e rivestita parzialmente di mattoni calcarei che con tutta probabilità doveva fornire la base per una massiccia torre quadrangolare, la quale aveva la funzione di proteggere questo punto nevralgico. La carraia continuava alla sinistra di questo bastione, lì dov’era l’ingresso al castello, caratterizzato da un’entrata con un grosso architrave naturale in pietra, oggi rotto in più punti ed in parte crollato, dal quale ci s’immetteva ad una rampa ascendente scavata nella roccia. Ai lati di questa osserviamo ancora le basi dei muri di pareti sovrastanti che sorreggevano le strutture difensive tra cui una possibile seconda torre quadrangolare a sinistra dell’ingresso, il cui accesso era consentito dalla rampa per mezzo di due gradini ricavati dalla roccia e tuttora perfettamente conservati.
Superata la rampa, accediamo al pianoro sovrastante, dove sparsi, intravvediamo cumuli di mattoni calcarei e desolazione, poco è rimasto delle aree interne del castello e tutto sembra ritornato allo stato selvaggio, tuttavia inoltrandoci in quello che doveva essere un chiostro all’aperto, troviamo disseminate le antiche tracce dei castellani.
Delle canalette scavate nella roccia ben lavorate con una risega interna, segno di una copertura delle stesse tramite piccole tegole, ci guidano lì dov’era una delle due antiche cisterne per la raccolta delle acque, cisterne probabilmente antecedenti al castello così come si evince da ulteriori canalette molto più vecchie al di sopra di rozzi ipogei.
Proseguendo sempre più all’interno del colle giungiamo ad una delle strutture meglio conservate: una muraglia alta quasi un metro e mezzo e spessa circa uno che corre lungo il margine dello sperone seguendo le irregolarità del profilo. Serie di scalini posti con continuità permettevano di salire al disopra della muraglia consentendo le ronde delle sentinelle.
Nel 1358 anche il castello fu espugnato probabilmente prima dell’attacco diretto alla città di Noto, poiché i chiaramontani, in tal modo, avrebbero evitato di essere sorpresi alle spalle dalle truppe insediate in questa rocca. Alcune fonti sostengono che Giovanni Landolina durante quegli eventi vi si trovasse al suo interno come castellano e per impedire l’avanzata del nemico verso Noto, dopo la caduta del fortilizio, fu ucciso tramite decapitazione, ma se è vero che egli era il governatore e il capitano delle truppe della città, è più logico sostenere che egli si trovasse a Noto nel tentativo di organizzare il proprio esercito per la difesa.
Soffermarsi sui dettagli impreziosisce quel poco che di questo remoto castello è rimasto: i blocchi regolari di un singolo muro, gli antichi graffiti sulle pareti ruvide segnate da colpi di scalpello, le canalette per il drenaggio delle acque, la carraia, alcuni colpi d’ascia e così via. E’ come se questi piccoli intervalli nella natura selvaggia, contengano le voci e le ansie di quell’epoca, emerse per raccontare quel momento storico in pieno passaggio fra la dominazione Angioina e quella Aragonese; echi di preziosa memoria e pietre miliari di eventi storici che hanno reso ricca di gloria la nostra regione in quei tempi d’incerte dominazioni.
Tra Noto e Modica, lungo la valle del Tellaro, Castelluccio è qualcosa di più che una contrada del territorio di Noto, 4000 anni di storia e non li dimostra.
Castelluccio ci racconta di essere un sito abitato fin dalla preistoria a partire dalla prima età del bronzo (2200-1450 a.C.), i corredi rinvenuti nelle circa duecento tombe della necropoli della Valle della Signora hanno permesso di definire i caratteri di quella che viene definita cultura del Castellucio, il cui emblema sono i portelli tombali decorati con motivi spiraliformi simbolo di fertilità oggi al Museo archeologico regionale Paolo Orsi di Siracusa, tra le tombe spicca quella con il prospetto decorato da quattro colonnine.
La Grotta dei Santi, oratorio rupestre le cui pareti sono decorate con immagini di Santi della tradizione bizantina, ci richiama alla memoria la devozione popolare delle comunità che vivevano nell'area all'epoca della Sicilia normanna e sveva (XII e XIII secolo).
Ai tempi delle lotte tra "parzialità" angioina e aragonese risale il Castello, fatto costruire nel 1356 sull'altura che domina l'area da Giovanni Landolina, anche come difesa di Noto dalle mire dei conti di Modica.
Proprio nel Castello. nei 1358, fu decapitato dai Chiaramontani il Landolina strenuo combattente fedelissimo degli Aragona e della sua città.
Feudo tra i più prestigiosi appartenne ad illustri personaggi come Nicolo e Pietro Speciale, rispettivamente Vicerè di Sicilia e Pretore (sindaco) di Palermo, nella metà del Quattrocento.
Nell'Ottocento la baronia fu elevata a marchesato (1803), la famiglia Di Lorenzo del Castelluccio
Del castello sono scarsi i ruderi visibili. Accedendo da un'antica mulattiera scavata nella roccia, nei pressi del santuario preistorico, si giunge ad un breve fossato diverso da una prima torre riconoscibile in parte dal rivestimento parziale di blocchi calcarei della parete di roccia lavorata. Da qui si prosegue lateralmente fino all'ingresso del castello costituito da un arco in pietra pericolante ed una rampa scavata nella roccia che conduce lateralmente ad una seconda torre a diversa dell'ingresso.
Degli ambienti interni nulla rimane ad eccezione di un ampio spianamento su cui furono impostate dei canali di drenaggio che conducevano a tre cisterne per la raccolta delle acque.