Catacombe Manomozza - provincia di Siracusa

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Sicilia
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Catacombe Manomozza

Priolo Gargallo

tratto da: http://www.cecap.it/catacombe.html - che a sua volta, è stato tratto dal libro " Priolo non solo ciminiere
(Commento inviato da Roberto Capozio)






L'intero territorio di Priolo Gargallo abbonda di ipogei sepolcrali risalenti agli albori del cristianesimo. Alcuni sono sparsi tra le campagne in terreni privati, altri alle falde dei Monti Climiti, altri ancora intrappolati dagli insediamenti petrolchimici. Parecchi ipogei, per la loro scomoda posizione, sono in genere frequentati da coraggiosi escursionisti e tralasciati dal turista di tipo tradizionale. Qui vengono elencati i siti più abbordabili e che attualmente possono essere visitati senza tanti patemi d'animo. Si tratta di due gruppi di catacombe: uno posto a sud di Priolo nei pressi del Centro residenziale di San Focà, che fa capo alla Catacomba di Manomozza e alla vicina basilica di San Fòca, l'altro a nord della cittadina, in contrada Riuzzo, oggi sede di uno stabilimento petrolchimico. Si tratta di catacombe di piccola estensione, tutte violate e manomesse, ma realizzate, in origine, con inedite e sfiziose forme costruttive. Le catacombe inglobate nel polo petrolchimico, ovvero Riuzzo I e II, possono essere visitate previa autorizzazione da parte della direzione dello stabilimento. Da qualche tempo a questa parte attorno alla catacomba di Manomozza si è registrato un ritrovato impegno anche da parte del PIAC, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, il quale ha organizzato i sopralluoghi alle catacombe siracusane di Vigna Cassia, S. Giovanni, S. Lucia e all'ipogeo di Manomozza a Priolo. Queste catacombe priolesi, pur nella loro modica estensione, sono caratterizzate da una complessa rete di gallerie strette, basse e di diverse dimensioni,chiamate ambulacri, generalmente interrotte da camere sepolcrali più o meno ampie (cubicoli), destinate ad ospitare le tombe di una famiglia o di associazioni; gli ambienti più vasti, le cripte (da crypto=nascondo), contenevano solitamente le tombe di personaggi di riguardo o di un martire sopra le quali, a volte, si celebravano cerimonie religiose. Le prese d'aria e luce in questi luoghi bui e spesso umidi, erano garantite dai lucernari, aperture a forma di imbuto che giungono fino in superficie, praticate in corrispondenza di incroci di gallerie e nei cubicoli più importanti. Inizialmente servivano per l'estrazione del materiale e il passaggio degli addetti agli scavi ( i fossores) man mano che si procedeva, in profondità, nei lavori; alla fine le aperture si trasformavano in lucernari. Agli albori del cristianesimo, quando cioè la religione cristiana non era tollerata dagli imperatori romani, in queste catacombe vi si accedeva attraverso scomodissime scale ripide e strette, intagliate nella roccia; nel IV secolo tali accessi vennero sostituiti con altri più ampi e comodi. Lungo le pareti delle gallerie e dei cubicoli sono scavate, in diversi ordini, le sepolture (loculi) di dimensioni sufficienti per contenere uno o più defunti. Il riconoscimento della sepoltura era reso possibile generalmente non dalle iscrizioni o dagli epitaffi dipinti, ma da semplici segni convenzionali o da oggetti personali del defunto (monili, giocattoli, vetri, monete, ecc.), fissati nella calce che debordava dalle lastre di chiusura. Rispetto al semplice loculo di forma rettangolare, il tipo di sepoltura più monumentale ed importante era quello sormontato dall'arcosolio, una nicchia semicircolare (che caratterizza tutte le catacombe priolesi), che accoglieva sovente i corpi di personaggi di riguardo o martiri. Generalmente le sepolture dei martiri però erano contrassegnate con la dicitura Martyr (martire), incisa sulla pietra tombale o più semplicemente con la lettera M. La complessa ed articolata attività edilizia sotterranea generalmente non seguiva uno schema prestabilito, essendo strettamente collegata alle caratteristiche geologiche delle varie zone e all'osservanza della proprietà terriera soprastante: i confini dell'area esterna, infatti, limitavano l'estensione delle gallerie sottostanti. I terreni, in genere, appartenevano a grandi famiglie del patriziato, convertite alla nuova fede e, quando la natura del sottosuolo lo permetteva, venivano autorizzati scavi anche a due o tre piani di gallerie, fino a raggiungere anche venti metri di profondità.

Tratto da:http://hermes-sicily.blogspot.it/2010/11/priolo-paleocristiana-2-la-catacomba.html


Un monumento tornato nell'oblio


Tra gli ipogei funerari della zona di Priolo Gargallo, il più celebre è sicuramente la catacomba chiamata della Manomozza, ubicata a breve distanza dall'ingresso sud del paese. Prima ancora di parlare di questo ipogeo di epoca paleocristiana, molto vi sarebbe da dire sulle sue condizioni di conservazione e fruibilità. Allo stato attuale, la catacomba della Manomozza risulta chiusa al pubblico e del tutto priva di cartellonistica che ne indichi la posizione. Non risultano inoltre, a breve termine, progetti per la sua apertura anche parziale. Dispiace registrare questo, in netta controtendenza con il notevole interesse che invece il comune di Priolo Gargallo ha mostrato per il recupero e la fruizione di Thapsos, sito anch'esso ricadente nel comprensorio comunale. Quanti si avventurano alla ricerca della catacomba della Manomozza trovano invece cumuli di rifiuti (tutta la parte antistante è tristemente ridotta a discarica abusiva), un cancello arrugginito, sigillato da un lucchetto ancor più arrugginito, ed una recinzione di ferro e cemento che difficilmente si potrebbe definire di buon gusto. Le foto che accompagnano questo articoletto sono testimonianza di quanto si presenta oggi agli occhi del curioso visitatore o turista. (una galleria fotografica completa è disponibile su Siracusareport.tk) Eppure, la catacomba della Manomozza fu tra i primi monumenti archeologici della zona ad essere restaurato. Questo già alla fine degli anni Sessanta, con il contributo della SINCAT che voleva dimostrare come l'area industriale potesse sostenere e dare fondi anche per lo sviluppo culturale. Il monumento venne studiato già agli inizi del Novecento dall'archeologo Paolo Orsi e, in seguito ebbe ancora l'interessamento di studiosi di grande fama come Bernabò-Brea e Agnello. E' ubicato a breve distanza da quell'importante monumento paleocristiano priolese che è la basilica di San Focà. Una ingresso rettangolare ed una breve scalinata immettono all'interno della catacomba. Esplorando l'ipogeo si sono trovate tracce di una sorta di pozzo che poteva essere un ingresso più nascosto allo stesso, realizzato in epoca anteriore all'editto di tolleranza. Oltre alle sepolture monosome e polisome, uno dei cubicoli della Manomozza è caratterizzato da due sepolture a baldacchino. Si tratta dell'area di maggior pregio del sepolcreto. Paolo Orsi esplorò con cura la Manomozza che però risultava già violata in antico e pertanto restituì pochi reperti. Si trattava di un piccolo cimitero rurale e, pertanto, privo di grandi e lussuose decorazioni. Ciò nonostante, l'archeologo, registrò i resti di ben 13 iscrizioni. L'Orsi identificò due fasi costruttive nella Manomozza, una precostantiniana e l'altra del IV sec. d.C. (l'esplorazione della campagna circostante restituì una moneta bronzea dell'imperatore Costanzo).

Pianta della Manomozza disegnata da R.Carta


La catacomba della Manomozza ha avuto alterne fortune per quando concerne la sua fruibilità. Restaurata negli anni Sessanta, l'impianto elettrico ed idrico vennero in seguito distrutti. Nel 2000, grazie all'interessamento del Lions club venne nuovamente resa fruibile e, in passato, è stata anche utilizzata come suggestivo scenario per un presepe vivente natalizio. Oggi, bisogna con rammarico registrare che tale monumento è nuovamente caduto nell'oblio. A completamento di questo breve post un interessante filmato "scovato" sulla rete. Si tratta di un documentario,  di oltre 20 minuti, dedicato alla catacomba e realizzato nel 1990 da Salvo Maccarrone per un'emittente televisiva locale. Un lodevole tentativo per divulgare e valorizzare al grande pubblico anche il patrimonio archeologico minore.





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