Carlentini storia - provincia di Siracusa

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Sicilia
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Carlentini storia

Carlentini provincia di Siracusa
Testi a cura di Antonio Macchetti
Le Fortificazioni, la Cinta Muraria ed i Torrioni della città che fù di Carlo V° ;

“Sul colle che gli antichi chiamarono Meta si adagia, aperta e ridente, la cesarea ed inespugnabile città Carleontina. Ad est ha in fondo il mare, i cui azzurri sembrano confinare col cielo. A nord guarda l’Etna maestoso e minaccevole ad un tempo, pieno di mirifiche attrattive, con appiè Catania, baciata dal mare, e la immensa pianura, varia per colture, che si slarga fino a Lentini ed all’Erculeo Lago, il cui specchio d’acqua tranquilla è interrotto dalle giuncaie e dalle minuscole barche dei pescatori. Ad ovest ha di fronte l’estesa catena delle montagne, che in semicerchio soprastanno a Scordia, Militello e Francofonte, sotto cui magnifica e sontuosa mareggia, come in un’isola elisia negli orti di Alcinoo, l’immensa fascia verdissima dei ricchi e rigogliosi boschi di aranci, che formano una conca d’oro fino a Lentini. Quadri questi grandiosi che, nell’incanto sovrano del paesaggio opulente, rivelano il godimento del cuore umano innanzi alle stupende scene della natura...”.
Quale migliore pagina per gustare, ancor meglio, l’incantevole panorama che si scorge dalla sommità del colle Meta”; quale migliore pagina per accostarsi all’interessante, seppur giovane, storia di Carlentini. La fondazione della città, la “Lentini di Carlo“, si deve far risalire all’anno 1551 e va inquadrata nel contesto di una operazione di strategia militare, cioè di un più complessivo progetto di difesa dell’Isola dalle incursioni barbaresche. Sulla Sicilia, infatti, imperversavano le guerre tra Carlo V, re di Francia, e Solimano, imperatore di Costantinopoli.
Il Viceré del tempo, Giovanni De Vega, succeduto al Gonzaga, fu impegnato a completare la fortificazioni militare avviate dal predecessore, avendo ricevuto per questi scopi dal Parlamento la somma di centomila scudi. La città di Lentini, che nel frattempo era stata distrutta dal terremoto del 1542, era in una posizione più a rischio per le incessanti scorrerie dei Turchi ed il De Vega ritenne assolutamente inopportuno procedere alla ristrutturazione delle fortezze sul colle Tirone e scelse, senza indugi, il colle Meta, dove avviò appunto la realizzazione di forti muraglie che fossero luogo “assai vantaggioso per riconcentramento di truppe di rinforzo alle marine di Catania, di Augusta e di Siracusa”. Carlentini, dunque, nasce come città-fortezza su progetto dell’ingegnere militare Pietro di Prato.
E’ il giugno del 1551 quando accade un fatto che spinge il De Vega ad accelerare la realizzazione, iniziata appena qualche mese prima, delle fortificazioni sul colle Meta: il temibile Sinan Bassà, al comando di 150 galee della flotta ottomana, durante la notte assale la città di Augusta, saccheggia tutte le case e mette in fuga gli abitanti. Era in altri termini, il chiaro segnale che occorreva al più presto “rendere i1 presidio forte abbastanza da resistere agli assalti del nemico, impedire l’escursioni all’interno dell’isola, ed in pari tempo mettere i lentinesi alla portata d’un vicino e sicuro riparo”.
La lungimiranza del De Vega si manifesta nella necessità di popolare quel sito che altrimenti, passato il pericolo delle incursioni dei barbari, avrebbe finito con l’essere definitivamente abbandonato. Perché Carleontina, cioè fondata da Carlo con privilegio di città e con epiteto d’inespugnabile, fosse abitata, il De Vega fa larghe concessioni di suolo, di privilegi e di esenzioni ai “cittadini di Lentini come di qualsiasi altra parte”: come descritto dal diploma datato in Messina, 31 agosto 1551.
Nei primi anni della sua esistenza la città di Carlentini fu abitata, quindi, da quanti volevano beneficiare delle esenzioni e delle concessioni di suolo accordate con il decreto del 31 agosto del 1551. Vi presero dimora, allo stesso modo, numerosi operai provenienti dalle città vicine, che furono impegnati nella costruzione delle fortificazioni. La “fuga” dalle rispettive città verso Carlentini di quanti erano soffocati dai debiti non poté che provocare la reazione dei creditori che si lagnarono con il Viceré De Vega, il quale con una lettera datata in Messina 12 dicembre 1551 diede conferma dei privilegi.
Il 12 dicembre del 1551 (ma la decisione finale, a seguito del ricorso presentato dai lentinesi, è del 10 aprile 1553) la fiera che si svolgeva tradizionalmente nella piazza di Lentini dal 15 al 30 del mese di aprile fu trasferita in Carlentini, dove il fitto delle logge fu impiegato per la costruzione della Chiesa Madre. Solo nel 1559 Lentini riesce ad ottenere il ritorno nella propria piazza della Fiera di aprile, grazie soprattutto al pagamento di 450 scudi per la costruzione della Chiesa Madre, alla concessione del fitto di dodici logge per i medesimi lavori ed alla realizzazione, sempre nei giorni della fiera, di altri loggioni a vantaggio dei cittadini carlentinesi.
Sarà, nello stesso anno, il Viceré Giovanni della Cerda, duca di Medinaceli, succeduto al De Vega, ad accogliere la richiesta di istituire una fiera di bestiame, intitolata a San Matteo, da “piantare nello piano della Matrice Ecclesia”, nel mese di settembre a partire dal 21 e per trenta giorni. Diritti e privilegi delle piazzeforti demaniali vengono concessi a Carlentini il 17 settembre del 1559 dal Viceré Giovanni della Cerda che accorda, in pratica, alla città la vita amministrativa autonoma, benché senza territorio, che arriverà solo più tardi.
Nel 1561 la città viene distrutta da un terribile incendio. Molti degli abitanti che avevano perduto le case nelle fiamme minacciano di andare via, ma la Regia Corte è tempestiva nel fare concessione gratuita di case e nell’assegnare duecento onze per la prosecuzione dei lavori di costruzione della chiesa, senza la quale i cadaveri avrebbero dovuto essere seppelliti all’aperto. In realtà l’incendio, che provocò danni ingenti, costituì occasione di riscatto e miglioramenti sociali.
E’ il 15 ottobre del 1630 quando viene stipulato dal Viceré Francesco Fernandez de la Cueva, duca di Alburquerque, l'atto di vendita della città, acquistata per 12.425 onze da Nicolò Placido Branciforte Lanza, conte di Raccuia e principe di Leonforte, il quale si impegnò a completare le fortezze entro dieci anni e prese possesso della città, pur senza mai recarsi personalmente a Carlentini, senza incontrare alcuna resistenza da parte degli abitanti.
Il Branciforte inviò in città come amministratore Orazio Strozzi che giunse accompagnato da 24 soldati a cavallo. Il regno, infatti, attraversava un momento storico turbolento, segnato da una profonda crisi economica, per far fronte alla quale Filippo IV di Spagna e III di Sicilia aveva dovuto vendere città e fortezze ai Signori che offrivano di più.
Appena tre anni dopo, nel 1633, il dottor Pietro Guastella, che all'atto dell’acquisto della città era stato nominato procuratore dallo stesso Branciforte, fu il primo a proporre il riscatto con un memoriale presentato al Viceré Ferdinando Afan de Ribera duca di Alcalà. L'abile operazione politica riuscì, anche grazie al beneplacito dello stesso Governo, il 27 gennaio del 1634 quando fu versato lo stesso capitale di 12.425 onze da assegnare al Branciforte per il riscatto della città. Fu Alfonzo I Longosserano a prendere possesso della città, per conto del Re, con una solenne cerimonia che si svolse il 16 febbraio del 1634, anno in cui “erano in Carlentini uomini ricchi, arredati e si mantenevano con molto decoro”.
E il 1693, l’anno del disastroso terremoto del 9 e 11 gennaio che né "lo spatio di un miserere" distrusse il Val di Noto "anche Carlentini rovinò, benché un po’ meno di Lentini". Furono abbattute le chiese, l'orologio la casa di città, le carceri, le torri e le abitazioni di quanti avevano dimora in città. Il vicario generale per la ricostruzione, Giuseppe Lanza duca di Camastra, relazionando al Viceré sui danni riportati dalle città visitate, scriveva il 14 giugno 1693 che Carlentini era stata “toda arruinada".
Secondo il Pirro e altri storici i morti furono cento, per il Privitera addirittura 1000. In realtà quanti persero la vita sotto le macerie furono molti di meno: in tutto l’anno 1693 nei registri della parrocchia sono annotati 91 morti, ma quelli a causa del terremoto appena 24. La città viene ricostruita rispettando il preesistente impianto ortogonale e nel 1714 conta 900 case e 3331 abitanti.
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