scavi archeologici Montevergine - Archeologia Siracusa

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Archeologia
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scavi archeologici Montevergine

archeologia Duomo

scavi archeologici monastero chiesa di Montevergine.

vedi anche: Monastero Montevergini - Monasteri Siracusa (antoniorandazzo.it)

 

Il complesso di Montevergine ed Orfanotrofio delle Cinque Piaghe è parallelo alla Chiesa di Santa Lucia alla Badia e relativo convento che prospetta su piazza Duomo, è stato preceduto dal monastero di S. Eustachio, di regola benedettina, fondato ed eret¬to alla metà del sec. XIV. Venute meno le rendite il monastero fu abolito nel 1555 dal vescovo Bologna che lo sostituì, nello stesso anno, con quello di Montevergine dell'ordine cistercense, che ne occupò i fabbricati. La chiesa di Montevergine fu eretta nel 1625, su progetto di Andrea Vermexio, dal cavaliere D. Giovanni Nava di Bondifè, come risulta dall'iscrizione sul cantonale. Nel 1866 chiesa e convento furono aggregati all'Orfanotrofio delle Cinque Piaghe che successivamente sarà trasformato in ospedale.
Le campagne di scavo della Soprintendenza sono state condotte, dal 1986 al 1993, in previsione dei lavori di restauro nell'immobile, di proprietà comunale, sinora avvenuti soltanto nella chiesa, che aveva subito danneggiamenti e distruzioni durante il secondo conflitto mondiale. Anche in questo complesso i livelli superiori sono risultati, comprensibilmente, quelli più sconvolti da interventi post-medievali che hanno alterato le sequenze stratigrafiche, pervenendo sino al piano roccioso, in alcuni casi o impostandosi sulle strutture arcaiche. La continuità, pertanto, dal tardo antico all'età alto-medievale, è testimoniata sostanzialmente da reperti ceramici, provenienti da pozzi o da livelli non sempre omogenei, mantenuti sotto pavimentazioni, in calce e ciottoli ed anche in cotto di età quattro-cinquecentesca ed oltre, conservate nella metà settentrionale del primo cortile e nella contigua chiesa, di cui si dirà, come attestato dai rinvenimenti di ceramiche coeve e monete aragonesi. Le pavimentazioni sono in relazione a strutture murarie in pietrame e blocchetti, anche di una certa dignità e consistenza. Un dato di interesse non secondario, per la storia del luogo e pure per la realtà socio-economica del tempo, è costituito dal ritrovamento, nella zona meridionale del cortile 1, di una quantità di forme da zucchero e di cantarelli in terracotta, riferibili all'attività di lavorazione della canna da zucchero, fiorente nel siracusano, in età spagnola, come attestato da varie fonti documentarie. Forse sono riferibili alla stessa produzione alcuni frammenti di contenitori ed un fornello portatile (fig. 6) con motivi dipinti in chiaro, che, allo stato dello studio, si potrebbe attribuire all'attività conventuale, simile per forma ad uno rinvenuto in mare sulle coste siracusane .
Dalle indagini all'interno della chiesa, da un saggio, condotto in prossimità della cripta centrale, provengono alcuni reperti, pertinenti al periodo oggetto d'esame. Sono stati messi in luce due livelli sovrapposti di pavimenti in calce e ghiaia con massicciata di sottofondo, costituita da un solo filare di pietre. Il primo pavimento è stato intercettato a quota m -0,76, il secondo a m -1,10; tra i due è stato scavato un livello con ceramiche cinquecentesche e frammenti di forme da zucchero. Nel primo pavimento, a quota m -0,76, è stata rinvenuta una moneta aragonese, mentre al di sotto del secondo piano di calpestio è stato esplorato uno strato di livellamento con frammenti di ceramica di età islamica. A quota m -1,45 è stata intercettata la struttura in pietrame di un pozzo, tagliato in sommità dal secondo piano pavimentale, e riempito da materiali databili fino al periodo islamico. Il pozzo ha interrotto e tagliato livelli a datare dall'età ellenistica, sotto cui se ne conservano altri arcaici.
Sempre nella chiesa, nell'area a sud della cripta centrale, sono state messe in luce tre tombe ad inumazione sconvolte, con spallette sconnesse in pietrame; da una deposizione provengono un bronzo di Teofilo (829-842) e pure tre piccioli con aquila grande di Filippo II (1556-1598), attestanti forse il più tardo riutilizzo se non altre vicende. Un'altra moneta, sempre di Teofilo, era stata rinvenuta da Paolo Orsi su uno scheletro "buttato alla rinfusa" nella nuda terra in via Minerva22, come un follis di Michele II e del figlio Teofilo (821-829) è stato restituito dalle indagini in piazza Duomo23. È ipotizzabile, con una certa cautela, che l'estensione originaria dell'area sepolcrale interessasse, più ampiamente, lo spazio a sud del tempio cristiano, che rivestiva un ruolo preminente nella città24 e che le sepolture potessero estendersi anche nella zona meridionale della piazza, poi ricadente nell'ambito di quella che nel Seicento diventerà la chiesa di Montevergine. Altra documentazione proviene dai cortili del complesso, in particolare dal pozzo 5, scavato nel 1989, che ha restituito fra l'altro un interessante bacino (fig. 7)25 a larga tesa. L'invetriatura piombifera incolore sullo strato di ingobbio chiaro presenta una decorazione in verde, con motivi geometrici: punti ed archi sulla tesa, tratti verticali sul fondo che sembrano imitare caratteri cufici.
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