acropoli e palazzo dei tiranni-Polacco-Mirisola - Archeologia Siracusa

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Archeologia
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acropoli e palazzo dei tiranni-Polacco-Mirisola

L'Acropoli e il palazzo dei tiranni nell'antica Siracusa
Storia e topografia a cura di Luigi Polacco e Roberto Mirisola
Estratto dagli Atti dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti-tomo CLVII (1998-1999) - Classe di scienze morali, lettere ed arti
Nota presentata nell'adunanza ordinarla del 27 marzo 1999 - 30124 Venezia



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Ortigia
Quella parte della attuale città di Siracusa, che un ampio e profondo canale separa dalla terraferma, ha oggi il nome di Ortigia così nei documenti amministrativi come in tutti gli atti ufficiali e nel linguaggio corrente.
In antico, cioè presso i Greci e poi i Romani, era detta Nesos (in dialetto ionico) oppure Nasos (in dialetto dorico) ovvero nel corrispettivo latino Insula, che significano appunto isola.
Con questi nomi appare identificata in tutti i più antichi testi storici.
Intendo quanti sono a noi pervenuti:
Tucidide, Platone {Epistole), Polibio, Cicerone (in Verrem), Diodoro Siculo, Tito Livio, Plutarco (Vite), e qualche altro minore.
Il nome Ortygia, riferito all'odierna isola, si incontra solo nei testi poetici più antichi come epiteto, largamente diffuso nel mondo greco, di Artemide, di cui sede, nel caso specifico, è vista appunto l'isola siracusana.
Cosi Pindaro, (Pyth. II, 5-6 (a Gerone): εΰάρματος Ίέρων έν § κρατέων | τελαυγέσιν άνέδησεν Όρχυγίαν στεφάνοις, | ποταμίας εδος Αρτέμιδος άς οϋκ άτερ | κείνας άγα- ναΐσιν έν χερσί ποικιλανίους έδάμασσε πώλους. "Gerone dal bel cocchio, vincitore con esso, cinse di fulgenti corone l'Ortigia, sede di Artemide fluvia, non senza il cui aiuto con morbide mani domò le puledre dalle variopinte redini".
Ancora Pindaro, Nem. I, 13: "Αμπνευμα σεμνόν Άλφεοϋ Ικλειναν Συρακοσσαν -θόλος Όρτυγία, | δέμνιον Αρτέμιδος."Venerando respiro di Alfeo, germoglio dell'inclita Siracusa, Ortigia, giaciglio di Artemide". Qui Alfeo si dice aver tratto respiro, dopo aver inseguito Artemide-Aretusa, la quale a sua volta aveva trovato giaciglio là dove poi sarebbe nata la grande Siracusa.
Infine Pindaro, Ol. VT, 92: είπόν δέ μεμνασθαι Συρακοσσαν τε και Όρτυγίας | τάν Ίέρων κα"ίϊαρώ σκάπτφ διέπων. "Dì che ricordino Siracusa e Ortigia che Gerone tiene con scettro incorrotto".
Ma la più antica menzione di Ortigia è in un frammento di Esiodo (Hes. Pap. Oxyr. 1358 fr. 2 col. 1 = fr. 150, 26 Merkelbach- West): "Ατλαντος τ'δρος] α'ιπύ κ[αί Αϊτν]ην παιπαλόεσσαν | Ό]ρτυγίην Λαιστ[ρ]ν[γον]ίην τε γενέΰλην,“L'aguzzo monte di Atlante e l'Etna scoscesa, Ortigia e la stirpe Lestrigonia”, dove però è tutt'altro che certo il riferimento all'Ortigia di Sicilia, in quanto Ortigia sono denominate anche altre sedi del culto di Artemide.
Solo in età ellenistica e soprattutto poi romana l'epiteto "Ortigia" assume esplicito riferimento toponomastico. A parte sempre le frequenti testimonianze poetiche, di particolare importanza sono i seguenti due passi. Uno è di Strabone (VI, 2,4 C 270): (Augusto) "(Augusto) ritenne che la parte abitata volta all'isola Ortigia fosse la migliore per essere colonizzata, avendo il perimetro di considerevole città".
Si tratta dei quartieri di Acradina, Neapolis e Tyche, lasciata fuori l'Epipole.
Esplicito nel considerare Ortigia niente altro che un epiteto di Nesos è l'altro passo, di Diodoro, V, 3,5: (μυθολογοϋσι)... την δέ "Αρτεμιν την έν ταΐς Συρακούσαις νησον λαβείν παρά των θεών την άπ' έκείνης Όρτυγίαν ύπό τε των χρησμών και των άνθρώπων όνομασθεϊσαν."(Secondo il mito) Artemide ricevette dagli dei l'isola nelle Siracuse che da lei così negli oracoli come presso gli uomini fu denominata Ortigia".
Ma è da ricordare ancora che, secondo Plutarco (MorAm. Narr., 773 B), ές τήν κατά Συρακούσας, κα λουμένην δέ Όρτυγίαν, Archia, il corinzio fondatore delle Siracuse, diede alle sue due figlie ivi nate i nomi di Ortigia e Siracusa; e, secondo Pausania V, 7, 2-3, Aretusa, sfuggendo alle nozze, passò "nell'isola di contro alle Siracuse chiamata Ortigia", Όρτυγίη τις κείται εν ήεροειδεΐ πόντω | Θρινακίης καθύπερθεν, e ad Archia l'oracolo delfico annunciò: ΐν "Αλφειού στόμα βλΰζειΙ μισγόμενον πηγαΐσιν εύρρείτης Άρε·θούσης, "in fosco mare giace una Ortigia, al di sopra della Trinachia, dove gorgoglia la foce dell'Alfeo nel mescolarsi alle sorgenti di Aretusa dalla bella corrente".
È lo stesso mito a cui si riferisce ancora Pausania, VII, 54, 3, "attraversato anche questo mare grande e violento, appare Alfeo, in Aretusa mescolando l'acqua".
Se dunque il nome di Ortigia appare nel racconto mitico |e nelle trasfigurazioni poetiche, quello ufficiale del racconto storico e nella lingua del luogo per lungo tempo resta però solo incontestabilmente Nesos-Nasos-Insula, "Isola" per antonomasia.
L'isola e la terraferma.
Il caso vuole che quest'”isola” tale non fosse affatto o per lo meno tale, morfologicamente parlando, divenisse solo molto più tardi.
È esplicito a questo proposito un passo di Tucidide, VI, 3,2, secondo cui Siracusa si compone di due città, una interna, e una esterna, cioè Nesos e la restante città.
Può sembrare strano aver considerata interna un'”isola”, che si immagina aperta sul mare, ed invece esterna l'altra città, che si immagina parte della più estesa terraferma.
Ma le Siracuse erano caratterizzate da un grande impianto portuale diviso in due (un porto maggiore e uno minore) dall'”Isola” che in mezzo ad esso si protendeva.
È dunque rispetto ai porti che Nesos è intesa interna e di conseguenza esterna ad essi l'altra città.
Ma infatti il passo di Tucidide è, da un punto di vista storico e topografico, importante anche per quello che dice oltre:(της Νήσου) έν η νυν ούκέχι περικλυζομένη ή πόλις ή ένχός έστιν, "(l'isola), nella quale è la città interna, oggi non più battuta intorno dai flutti", cioè in altre parole non più isola.
Tucidide compone la sua storia negli ultimi decenni del V secolo a.C. Ma già Ibico, poeta di Reggio, vissuto nella I metà del VI secolo, scriveva (secondo Strabone, I, 3, 18, 59) che era congiunta alla terraferma da un argine di pietra grezza, cioè raccogliticcia.
Questo doveva sussistere ancora al tempo di Tucidide, ma già prima al tempo di Archia, perché ancora più basso era allora il livello marino e inoltre la presenza dei due fiumi, uno proveniente dalle basi dell'Epipole poco a W del Temenite e sfociante nel Porto Grande, l'altro da una sorgente a NW della chiesa di S. Giovanni Battista e sfociante nel Porto Piccolo portava ad un accumularsi di detriti proprio lungo le sponde del promontorio separante i due porti e soprattutto alla testa di esso, di fronte a quella che chiamiamo Ortigia.
In età preellenica e preistorica per le alterne vicende del livello marino e del bradisismo l’ “isola” con ogni probabilità era effettivamente tale e dovette poi continuare ad essere così denominata; ma anche ragioni di difesa e di opportunità ambientale la fecero in età greca circondare di mura e cosi "isolare", tanto più che, come apprendiamo dal passo di Tucidide sopra considerato, poco dopo anche l'altra parte, per così dire di terraferma, ebbe una sua specifica cinta di mura.
Il maggior problema in realtà è un altro.
Vista l'isola" collegata alla terraferma, dove va collocato il punto di sutura (o di distinzione) tra esse? in testa o alla base di quello che oggi per la presenza del canale della Darsena a noi appare un promontorio ma in realtà era un istmo? Proprio il fatto che nelle fonti ripetutamente ricorra l'espressione (o in latino - Cicerone citato — quae appellatur Insula), "la cosi detta isola", ciò fa pensare che, contrariamente allo stato odierno, almeno nei primi secoli dell'età greca la lingua di terra intermedia fosse considerata più un appendice della città interna (cioè quella tra i due porti) che della città esterna (la Acradina).
La situazione invece si capovolgerà nelle età successive in seguito al taglio del canale tra i due porti per ritornare in un certo modo solo in età spagnuola (XVI sec. d.C.) allo stato unitario primitivo.
Per quanto tempo la città interna comprese anche l'attuale promontorio? in altre parole: quando fu tagliato il canale in capo a questo?
Cicerone (Verr. II, IV, 117) ci dà la prima testimonianza della esistenza di un ponte (e quindi di un canale trasversale): Eorum coniunctione pars oppidi, qtiae appellatur Insula, mari disiuncta angusto, ponte rursus adiungitur et continetur. "Nel punto, dove i due porti si congiungono, quella parte della città fortificata che si chiama Isola e che una stretta lingua di mare separa dal resto, di nuovo mediante un ponte gli si ricongiunge e ne viene tenuta insieme" ".
La separazione netta dell'attuale Ortigia dall'istmo può essere stata dovuta a tre circostanze: una di maggior difesa, ma soprattutto una seconda di maggior profitto, derivante dal congiungimento diretto dei due porti nel punto più adatto e infine anche di un progressivo innalzamento del livello marino (e dell'altro fenomeno geologico detto bradisismo) che in età ellenistica e romana dovette forse rendere meno agevole il transito, donde in ogni caso la necessità di un passaggio sopraelevato.
Quanto all'epoca della trasformazione, dato il totale silenzio delle fonti in argomento (il passo citato di Cicerone resta solo un terminuspost quem), si può osservare che il taglio del canale, per il suo carattere eminentemente funzionale ai due porti, potrebbe essere stato dovuto a qualcuna delle sistemazioni urbanistiche a cui via via, a partire da Dionigi I, quei luoghi strategici furono sottoposti.
Va comunque tenuto presente che ponte e canale non sono due opere strettamente connesse, ma possono essersi sfasate nel tempo per successivi approfondimenti del canale e conseguenti forme della struttura destinata ad attraversarlo.
I due aspetti principali della trasformazione, il militare e l'ambientale, possono anche non aver coinciso.
Forse ad un primo ponteggio, parola usata da Strabone, I, 3, 18, C 59) può aver pensato per primo Dionigi I, che ivi aveva collocato la sua sede di tiranno, come si dirà più avanti.
Ma sembra più probabile che solo molto più tardi, vicino all'età romana, se non forse a questa stessa, vada attribuita la definitiva sistemazione di quei luoghi.
Quando cioè in coincidenza quella parte dell'”isola” divenuta vera isola, cominciò, come si è detto poco fa, ad essere espressamente denominata Ortigia.
L'acropoli
Ogni città greca aveva una acropoli, cioè un luogo più fortificato che il resto.
Di norma, se il terreno lo consentiva, era il punto più alto; esso è il luogo del primo insediamento, dove vengono collocati fin dall'inizio i culti più sacri e, nei regimi monarchici, era la sede del re, negli altri regimi il luogo delle prime magistrature: il luogo insomma dell'estrema difesa, per la quale era anche necessaria la presenza di acqua potabile.
Anche Siracusa ebbe la sua; e la parola ricorre spessissimo nei testi storici.
Limitata da principio la città a Nasos, il punto più sacro doveva anche essere quello più alto, dove furono collocati il tempio di Artemide, quello di Atena e molti altri.
Lì presso i primi tiranni della città, i Dinomenidi, dovettero avere le loro personali dimore. Poco discosti erano la grande sorgente di Aretusa e un luogo di approdo.
I Dinomenidi tra l'altro erano anche sacerdoti di Demetra " e in Ortigia, più o meno presso piazza Archimede, quindi nelle vicinanze di quei templi, non doveva mancare un santuario tesmoforico.
Tuttavia la limitata estensione dell'isola-Ortigia, che certo fu subito tutta fortificata essa stessa, fa supporre che non esistesse in essa una acropoli autonoma nel senso stretto della parola; quando invece l'abitato si estese profondamente anche in terraferma ed ebbe diverse e sue proprie fortificazioni, sempre più spostate verso l'interno, fu evidentemente visto nell'”isola” il luogo privilegiato di difesa della maggiore città.
Ciononostante da diversi passi di autori antichi risulta una chiara distinzione tra "isola" e "acropoli", come due entità tra loro in rapporto ma non coincidenti.
Corn. Nep. Dion, 5, 5-6: Dione riesce ad impadronirsi della intera città di Siracusa, meno l'acropoli e l'isola, praeter arcem et irtsulam.
Diod. XVI, 70, 1-4: Timoleonte induce Dionigi II a consegnargli l'acropoli, quindi, impossessatosi di Nesos e dei forti prima sottomessi al tiranno, fa abbattere le acropoli di contro a Nesos, T. Livio, XXIV, 21: Adranodoro; ucciso Geronimo a Lentini, rinforza di guardie insulam et arcem e ogni altro luogo opportuno.
Plut., Tim. 9, 3: Niceta, vinto Dionigi II e impadronitosi di gran parte di Siracusa, respinge il tiranno nell'acropoli e nella c.d. Neso".
Queste ripetute e varie citazioni, anche se tutte di autori latini o vissuti in età romana, non permettono si possano spiegare come forma retorica di endiadi: "l'acropoli dell'isola".
Il problema di base non è tanto infatti sulla distinzione insula quanto da una parte sulla reale estensione della cosiddetta isola dall'altra sull'effettiva collocazione dell'acropoli rispetto appunto a quella.
Se da principio Siracusa era limitata all'isola" e poi via via si estese sempre più nell'interno della terraferma, quali nel corso del tempo furono effettivamente i limiti dell'una o dell'altra? quale il rapporto topografico e ambientale tra loro? dove l'acropoli?
È facile osservare come da un punto di vista morfologico l'istmo, che oggi sembra protendersi come un promontorio verso Ortigia, è in realtà parte di questa, in quanto assieme a questa concorreva, come dice Cicerone, a distinguere e determinare i due porti, il Grande a sud e il Piccolo a nord.
Ancora, da un punto di vista geologico, l'istmo è strutturalmente collegato con l'attuale Ortigia, formato com'è da un solido basamento calcarenitico che, inclinato in superficie verso est, riemerge poi per congiungersi al dorso calcareo di Ortigia.
La conferma, vorrei dire definitiva, di una unità istmo-Ortigia viene dallo scoliaste del verso di Pind. Pyth., 2,6, già sopra ricordato: "la città di Siracusa giace a mò di penisola, mentre una specie di istmo separa di qui il Porto Grande, di lì il mare opposto".
La città, a cui allude lo scolio, è, analogamente a quanto abbiamo letto prima in Tucidide, quella interna, l'istmo-Ortigia
Da un punto di vista poliorcetico fa testo appunto il passo già ricordato di Tucidide, dove si dice che le due città, quella interna e quella esterna, erano ambedue fortificate.
Tucidide non dice quale fosse l'estensione delle due città, ma il chiamarle una interna e una esterna, fa ben capire che l'interna è la parte interna al complesso dei due porti, cioè non solo Ortigia ma anche l'istmo. E ciò è ben comprensibile, se pensiamo alla necessità di proteggere tutto il Porto Piccolo, che è un porto interno, e in conseguenza di proteggere di mura tanto il lato nord dell'istmo, cioè quello verso il Porto Piccolo, quanto anche l'opposto lato sud, quello verso il Porto Grande.
Poiché poco fa abbiamo escluso la presenza di una specifica fortezza-acropoli nell'interno di Ortigia e d'altra parte i passi sopra elencati escludono una identità tra "isola" e acropoli, non resta che pensare da una parte ad una cosiddetta isola, cioè un territorio più esteso di Ortigia, da un'altra parte ad una collocazione dell'acropoli inserita ma distinta da essa.
Considerato dunque anche l'istmo parte integrante del sistema Porto Grande-Porto Piccolo, tenuto conto ancora, come tosto vedremo, dell'insediarsi nell'istmo di stabilimenti di fondamentale importanza politica e militare (residenze dei tiranni, arsenali, magazzini, portici) prima o poi è certo subentrata la necessità, testimoniata più volte dalle fonti che passeremo ad esaminare, di chiudere con un muro trasversale l'istmo in modo da creare di esso un vero e proprio baluardo autonomo rispetto a tutti i luoghi circostanti.
In tal modo l'istmo più che estrema parte della regione di terraferma, quella chiamata Acràdina più che appendice di Ortigia, è invece da considerare cerniera tra esse, parte integrante e maggiormente difesa del complesso della piazzaforte marittima di Siracusa, esso la grande acropoli, il vero fortilizio della città.
Ce ne darà conferma, come tosto vedremo, la lettura dei vari testi storici.
tyranneion
I due Dionigi e Platone.
Abbiamo ritenuto, per gli argomenti sopra esposti, che la dimora dei Dinomenidi, dire reggia è forse ancora improprio, fosse in Ortigia nel luogo dei maggiori culti della città e nella parte più alta di essa.
Quando però nel 406/5 Dionigi, non ancora tiranno ma con l'intenzione da semplice di diventarlo, da Gela, dove era stato chiamato nella imminenza del pericolo cartaginese, si accinse a rientrare con i suoi soldati a Siracusa, arrivò nel momento in cui il popolo usciva dal teatro al termine di uno spettacolo (Diod. XIII, 94, 1).
Possiamo immaginare che l'incontro sia avvenuto mentre da un lato Dionigi entrava in Acradina per la porta "elorina", l'accesso, per così dire, normale per chi veniva da ovest; al tempo stesso il popolo defluiva da nord passando per la porta temenitide.
Il giorno appresso nell'assemblea Dionigi fu acclamato (Diod. XIII 94,4).
Dopo essersi selezionata una forte guardia del corpo, egli prese sede presso la stazione portuale, apertamente con ciò dichiarandosi tiranno.
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