Akrai Palazzolo Acreide - Archeologia Siracusa

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Archeologia
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Akrai Palazzolo Acreide

Colonie siracusane

Akrai, Acrai, Palazzolo Acreide, colonia fondata da Siracusa.

Tratto da:Da Siracusa a Camarina Itinerario Turistico Archeologico di Giancarlo Germanà e Lorenzo Guzzardi

documentazione PDF

veduta aerea degli scavi archeologici


La città di Akrai sorgeva sul punto più alto alle spalle di Siracusa, fra i fiumi Tellaro ed Anapo, su quella che era l’unica strada che metteva in comunicazione quest’ultima con le altre colonie greche della costa e con i centri indigeni dell’entroterra.

Già prima dell’arrivo dei Greci questo sito ospitava un insediamento preistorico: un riparo sotto roccia risalente al Paleolitico superiore. Alla tarda età del bronzo si data, invece, una necropoli con tombe a grotticella scavate lungo il colle della Pinita, a sud della città.
Lo storico greco Tucidide (IV, 5, 3) racconta che Akrai fu fondata nel 664 a.C., settanta anni dopo la nascita di Siracusa. Sarebbe, quindi, la più antica subcolonia siracusana, come testimonia anche la
ceramica rinvenuta in vari scavi, che si data proprio a questo periodo.
Per quanto riguarda la storia di Akrai, purtroppo abbiamo poche notizie riportate dalle fonti.
Da Plutarco (Vita di Dione, 27) sappiamo che, nel 357, Dione vi fece una sosta durante la sua spedizione contro Siracusa, mentre in Diodoro (XXIII, 4) si legge che, nel 263 a.C., Akrai entrò a far parte
del regno di Ierone II insieme a Leontini, Megara Iblea, Eloro, Noto e Taormina.
Durante l’assedio di Siracusa da parte di Marcello, Akrai si schierò dalla parte dei Siracusani accogliendone il comandante Ippocrate nel 214 a.C. (Livio, XXIV, 36). Plinio (Nat. Hist. III, 8) la menziona insieme alle civitates stipendiariae, che pagavano a Roma un tributo, molto probabilmente perché si oppose fino all’ultimo alla conquista romana.
Nella sua lunghissima storia, Akrai rimase sempre legata a Siracusa, tanto che non coniò mai una sua moneta e, anche dopo la conquista romana, conosciamo solo il tipo bronzeo con la rappresentazione di Persefone e Demetra. Queste due divinità, pur non avendo un loro santuario in questa città, dovevano essere venerate anche ad Akrai, come abbiamo visto già a partire da Siracusa e come vedremo durante tutto il nostro itinerario fino a Camarina.
Akrai tornò ad assumere una certa importanza in età tardo – antica, ospitando uno dei centri cristiani più importanti della Sicilia.
Con la conquista araba avvenne la sua definitiva distruzione.
L’antica città sorgeva su un pianoro a 770 m. s.l.m. La sua estensione limitata (33 ettari) ha lasciato supporre che fosse abitata da poche migliaia di abitanti. Gli scavi hanno riportato alla luce alcuni tratti della cinta muraria, sulla quale si aprivano delle porte. Una di queste, menzionata anche in una iscrizione (IG, XIV, 217), sarebbe la porta di Selinunte e sicuramente si apriva verso oriente.
Sul lato occidentale doveva aprirsi, invece, la strada che portava verso Siracusa.
Gli scavi archeologici più importanti di Akrai risalgono all’inizio del secolo scorso e si devono al barone Iudica.
Allora furono riportati alla luce i principali edifici pubblici della città: il teatro, il bouleterion.
Una scoperta più recente è, invece, quella della strada principale della città, riportata alla luce per un tratto di circa 250 m., larga 4 m. e pavimentata con blocchi poligonali di basalto. La sua datazione si colloca, molto probabilmente, alla tarda età ellenistica. Questa strada doveva condurre ad un’area pubblica, di cui rimane uno slargo presso la sua estremità occidentale.
A questa strada si intersecano altre strade perpendicolari, che creano isolati larghi 27 m., cinque nord e due a sud di essa.
Osservando un pianta della città si può subito notare l’insolita mancanza di ortogonalità di quest’impianto, in quanto le strade a sud dell’arteria principale non sono parallele a quelle a nord. Per questa caratteristica dell’impianto urbano di Akrai sono state fatte varie ipotesi, come che si tratti della sua sistemazione originaria.
Sul lato orientale di questa grande strada sorge il teatro, la cui scena è parallela ad essa, essendo questo edificio inserito in un piano urbanistico almeno dal III secolo a.C., cioè da quando fu costruito. Anche se la parte superiore della cava era già stata smontata per la costruzione degli edifici di Palazzolo, lo scavatore che riportò alla luce il teatro, il barone Iudica, lo poté ricostruire fino al dodicesimo gradino. Dalla cavea si può ammirare un paesaggio unico, che abbraccia la valle dell’Anapo fino all’Etna.
L’impianto di questo edificio è insolito, in quanto sia la cavea sia l’orchestra sono semicircolari, caratteristica questa nota solo nel teatro di Metaponto, risalente al IV secolo a.C. e comune, invece, nei teatri romani. Sono assenti le parodoi e gli attori, probabilmente, facevano il loro ingresso attraverso due passaggi ai lati della scena. Di quest’ultima, trasformata in mulino in età bizantina, rimane ben poco. Si possono individuare i rifacimenti di età romana imperiale, quando fu dotata di un pulpitum in una parte dell’orchestra. Il teatro di Akrai si collocare con un certa sicurezza nel III secolo a.C. e si può considerare un’altra opera voluta dal sovrano di Siracusa Ierone II.
A sud – ovest del teatro si trova il bouleterion, edificio destinato alle riunioni del senato cittadino. Nelle vicinanze si doveva trovare, quindi, l’agorà, cioè il luogo di riunione più ampio per le altre attività
amministrative e politiche della città, ricordiamo però che in alcuni casi (Agrigento, Metaponto), era il teatro ad ospitare questa struttura (ekklesiasterion).
Il bouleterion di Akrai presenta una pianta quasi quadrata (m. 8,65 × 8,15) e, originariamente, era circondato da altre costruzioni, di cui sono visibili ancora i resti.
Lo spazio all’interno del bouleterion era occupato da un piccola cavea, che ricorda quella di un teatro, formata da sei ordini di gradini divisi perpendicolarmente da tre cunei.
Al bouleterion si accedeva attraverso una porta che dava sull’orchestra.
Anche Akrai aveva i suoi luoghi di culto e quello più importante sorge sulla collina che domina il teatro da sud. Su questo punto alto, che si può interpretare come una sorta di acropoli della città, sono stati riportati alla luce i resti di un tempio risalente al VI secolo a.C.
In base ad un’importante iscrizione (IG, 217), nella quale sono menzionati i monumenti della città, si è ipotizzato che si tratti del tempio di Afrodite. A conferma di questa ipotesi è venuto il ritrovamento, nelle vicinanze del tempio, di un’iscrizione in cui è menzionata questa divinità. Sappiamo, inoltre, che il sommo sacerdote di questo tempio era anche il magistrato eponimo della città, il cui nome, cioè, serviva per indicare gli anni in corso.
All’interno dell’area archeologica è collocato un piccolo Antiquario, ancora non aperto al pubblico, nel quale si trova una parte dei reperti archeologici provenienti dagli scavi.
Di particolare interesse per il visitatore sono i frammenti architettonici provenienti dagli edifici urbani.
Ad est del teatro si trovano le grandi latomie, dette Intagliata e Intagliatella, che ricordano molto quelle di Siracusa. Utilizzate in età greca e romana prima cave di pietra e poi come luoghi di culto, per essere trasformate, in età tardo – antica, in necropoli.
La latomia più importante è l’Intagliatella, all’interno della quale, lungo una cosiddetta “via sacra” si possono ammirare dei rilievi votivi dedicati ai defunti.
Questo culto, che si diffuse fra il IV ed il III secolo a.C., era molto comune nel mondo greco e lo ritroveremo in edificio presso l’antica Noto, ma si trova anche a Siracusa e ad Agrigento.
Ai defunti venivano offerti come ex voto dei quadretti (pinakes) in legno o terracotta, che venivano inseriti all’interno delle piccole nicchie scavate nella roccia.
Ai piedi di queste nicchie sono state rinvenute delle cavità che contenevano ancora i resti del sacrificio (ossa di animali, monete, frammenti di ceramica).
Di una vera e proprio opera d’arte si può parlare a proposito del più grande di questi rilievi, visibile sul lato ovest dell’Intagliatella, in cui sono raffigurate due scene, forse collegate fra loro: a sinistra si vede la scena di un sacrificio compiuto da alcuni personaggi in onore di un defunto eroizzato, rappresentato in posizione stante e di dimensione maggiori  rispetto alle altre; a destra si vede una scena di banchetto, anche questa da interpretarsi come facente parte del rito di celebrazione del defunto. Il rilievo, in base alle caratteristiche stilistiche, si può datare al III secolo a.C.
Nel tratto al di sopra la strada provinciale che porta a Noto, si trovano altre latomie, all’interno delle quali furono realizzati icosiddetti Templi Ferali.
Anche in questo caso abbiamo una cava di pietra usata, in una fase successiva come luogo di culto, come testimoniano due grandi nicchioni che si aprono sulla parete ovest, traforati da numerosi incavi. Il culto dei defunti eroizzati in questo luogo è confermato sia dal rinvenimento di alcune epigrafi sia da quello di un piccolo rilievo con la rappresentazione di un banchetto funebre.
Gli scavi hanno individuato anche le fossette votive ai piedi della parete e le monete rinvenute al loro interno hanno permesso di datare questo luogo di culto tra la fine del IV e la fine del III secolo a.C.
Alle pendici del colle di Akrai, sul lato orientale, si trovano i cosiddetti Santoni, cioè una serie di sculture rupestri allineate lungo una parete rocciosa, che dovevano far parte di un luogo di culto di Cibele, nota ai Romani come Magna Mater. vedi:
Jean Houel

I rilievi sono complessivamente 12, tutti allineati tranne l’ultimo, di poco più in basso.
Iniziando da ovest, il I rilievo raffigura la dea seduta di prospetto, con alto modio sulla testa, ai lati della quale sono visibili due fori, destinati a fissare ornamenti metallici ormai perduti.
Ai lati della testa si trovano due minuscole figure, mentre in basso si distinguono i resti di altre quattro (tra cui, forse, gli offerenti, secondo la tipica tradizione del rilievo votivo greco).
Il II rilievo è il più grande e complesso di tutti: si tratta di una nicchia rettangolare (m. 3,10 × 2,15), con al centro la rappresentazione della dea in piedi, di proporzioni maggiori rispetto agli altri personaggi. Essa tiene il piede su un piccolo leone, mentre altri due sono ai suoi lati. Le mani della dea sono poggiate sulle teste di due figure laterali: in quella di destra si riconosce Hermes, in quella di sinistra probabilmente Attis, segue una figura femminile. Sulle pareti laterali della nicchia sono visibili due cavalieri, probabilmente i Dioscuri collegati al culto della Magna Mater.
Nel III rilievo, collocato in basso al di sotto di una nicchia arcuata, la dea è rappresentata secondo lo schema abituale, a bassissimo rilievo. Il IV rilievo, in una grande nicchia, la dea è raffigurata secondo il solito schema ed ai lati della sua testa sono due figurine, probabilmente i coribanti, mentre a sinistra si vede una figura seduta con due piccoli fanciulli nudi. I tre rilievi successivi (V, VI, VII) presentano la dea secondo l'iconografia abituale, purtroppo nel sesto ormai è andata quasi perduta.
Nell’VIII rilievo, meglio conservato, trovandosi in una nicchia molto profonda, la dea è rappresentata nel solito schema, con ai lati della testa due figurine di coribanti e, a sinistra in alto, altre due figure sedute, una delle quali probabilmente Attis, mentre l’altra è un personaggio femminile. Ai piedi della dea si trovano due leoni, mentre alla sua sinistra tre figure stanti, probabilmente offerenti.
Il IX rilievo, costituito da una grande nicchia con in basso due incavi, probabilmente destinati a fissare i montanti di un’edicoletta (naiskos) in legno. In questo rilievo la dea è rappresentata nel suo ormai solito schema, con le due figurine di coribanti ai lati del capo, i leoni ai piedi e due figure ai lati. I rilievi X ed XI, molto rovinati, rappresentavano Cibele seduta, mentre il XII, scolpito nel gradino di roccia sottostante, presenta uno schema del tutto diverso: a sinistra, un personaggio con una fiaccola accesa nella sinistra e un’altra rovesciata nella destra, a destra due personaggi stanti, molto rovinati, tra due leoni. La lettura di quest’ultimo rilievo è ancora molto incerta.
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