Oinochoe protocorinzia - Archeologia Siracusa

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Archeologia
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Oinochoe protocorinzia

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Oinochoe protocorinzia

Uno dei risultati tra i più straordinari delle recentissime ricerche (1998), compiute in vista della ripavimenta- zione di piazza Duomo (un evento che. nella pur ricca storia degli scavi siracusani, trova riscontro, per estensione dell'area esplorata e per l'alta antichità ed importanza dei livelli raggiunti, solo in quelli compiuti da Orsi in Via Minerva, agli inizi del secolo), è la scoperta di una rara Oinochoe avvenuta nell'angolo nord/occidentale, a poca distanza dalla facciata del Palazzo Beneventano.


I frammenti della brocca si trovavano a circa 50 cm. dal piano di cal¬pestio attuale e si deve alla minuziosa indagine condotta dalla équipe diret¬ta da Giuseppe Voza se tali frammenti, miracolosamente rimasti tra le radici di un albero di oleandro, hanno potuto essere recuperati consentendo la ricomposizione della forma, nelle sue linee essenziali.


Si tratta di un finissimo prodotto decorato nello stile protocorinzio: una oinochoe del tipo "broadbotto- med". di dimensioni considerevoli per questo genere di recipiente (diani. base cm 14.5; alt. di ricostru¬zione ca. cm 20). Il largo fondo piat¬to, che dà il nome alla forma (figg. 1 e 3), è segnato da un lieve stacco dal quale parte il corpo quasi cilindrico con una maggiore espansione al centro. Sulla spalla si alzava il collo stretto. tubolare (manca l'attacco con la spalla), terminante nella bocca trilobata; dell'ansa a nastro restano solo gli attacchi. Il vaso è decorato da un'alta fascia figurata orizzontale sulla massima espansione del corpo, in vernice bruno/arancio. Nello stesso colore sono dipinti i riempitivi (rosette a otto petali pieni, spirali) e la decorazione accessoria (sulla spalla raggi capovolti a linee incrociate, alta scacchiera e fila di sigma a vernice spessa, tra gruppi di tre linee, rispettivamente in alto e in basso della scena figurata, serie di alti raggi pieni intorno alla base). Sul collo resta parte di una partizione metopale, con fiore a otto petali appuntiti, forse ripetuto tre volte.
disegno ricostruttivo della Oinochoe

La scena (figg. 2 e 3), insolitamente complessa, se si tiene conto di questa particolare classe di oinochoai, ha il suo fulcro nella figura femminile che doveva risultare al centro della parete, nella parte sottostante al becco versatoio.  con le braccia distaccate dal busto e con le mani che trattengono due leoni rampanti, con le zampe anteriori delicatamente aggrappate alla cintura della donna.
Piccole incisioni a semicerchio segna¬no i capelli a riccioli che coprono del tutto la fronte - segno di incipiente stile dedalico e brevi lince ondulate indicano le trecce che scendono ai lati del collo. Il pennello sottile ha delineato il volto con grandi occhi spalancati e sopracciglia arcuate unite da un unico tratto, e appena visibili sotto i capelli, mentre un piccolo triangolo pieno disegna il naso; a vernice piena sono anche indicati i piedi, forse calzati. Con grande maestria è delineata la figura, che. pur nello schema araldico. non è rigida: si osservi la posi¬zione non simmetrica delle braccia, e la curva morbida dei fianchi.
La figura e vista frontalmente (fig. 4).

La scena è resa più solenne dalla composizione simmetrica in schema araldico, della quale fanno parte due sfingi opposte, stanti e con fiore schematizzato sulla testa. Sui due lati di queste si svolge un fregio di quattro animali non tutti nella stessa direzione, un leone e un toro a sinistra, una pantera e un cinghiale a destra, quest'ulti¬mo seguito da due cavalli in corsa, le redini tirate dall'auriga, ritto sulla biga e nel gesto di incitarli alla corsa (fig. 5). Tra la sfinge di destra e la pantera è stata infilata, quasi a forza, la figura di un uccello acquatico, di cui restano purtroppo solo le lunghe zampe. Le figure degli animali, delie sfingi e dei cavalli sono rese a silhouette piena con un moderato uso dell'incisione, la figura femminile è resa in parte a silhouette piena, il viso, le braccia e la metà longitudinale della veste essendo a contorno. Questo uso del contorno crea un curioso effetto di bicromia del chitone in "bianco e nero", che tradisce influenze forse di altre fabbriche (protoattica?).
(figg. 6. 7 e 8),


E' una raffigurazione di "potnia theron", di rara delicatezza, alla quale la piena frontalità dona una maggior forza espressiva. In essa va riconosciuta, come vedremo. Artemide "signora delle belve".
Circa la cronologia ricordiamo che le oinochoai protocorinzie a base piatta sono una delle forme predilette dai coloni corinzi soprattutto nella seconda generazione: è infatti a Siracusa, nella necropoli del Fusco, che si rinvenne il maggior numero di esemplari in una variante diversa, caratterizzata da una quasi assenza di collo ridotto generalmente ad un collarino nel quale si apre una larga imboccatura trilobata, spesso chiusa da un coper- chictto a tricorno (Orsi). Per la maggior parte dei casi si tratta di brocche a semplice decorazione geometrica o con teoria di cani dipinta sulla spalla, all'inseguimento di un coniglio o di una lepre. La forma, che compare alla fine del Protocorinzio Antico, ha un particolare sviluppo nei primi decenni del VII, e continua più tardi con consistenti modifiche e spesso in grandi dimensioni (imponenti esempi nella necropoli di Cìiardino Spagna). La nuova oinochoe si distingue dalle sorelle del Fusco e da quelle più o meno contemporanee di altre prove¬nienze (Corinto, Itaca. Egina. Gela ecc.) per la forma del collo alto e stretto, ma privo di anello (un solo esemplare al Fusco, T. 108, presenta un risalto anulare a metà collo nel tipo più comune della forma "broad-bot- tomed A" di Payne), ma si differenzia soprattutto per la ricca scena figurata che copre tutta la parete. Va anche aggiunto che sia le oinochoai a base piatta sia quelle strettamente impa¬rentate, a corpo troncoconico, oltre alla destinazione funeraria ne avevano anche una votiva e forse cultuale, come indicano il nostro esemplare e le non poche anse di recipienti analoghi da depositi di santuari della stessa Siracusa (le oinochoai troncoconiche sono frequenti nei grandi santuari della Grecia propria, ad es. nel san¬tuario di Hera Limenia a Perachora).
I motivi della decorazione accessoria e di riempitivo, tra questi in particola¬re i triangoli a tratteggio obliquo e le rosette, non a punti ma a lunghi peta¬li distinti, e, anche l'uso del colore rosso della vernice, ottenuto intenzionalmente durante la cottura, si rifan¬no a modelli e tecniche vascolari della fine del Protocorinzio Antico: lo testimoniano soprattutto alcuni aryballoi globulari e conici, presenti al Fusco.
Nella scena figurata molti sono gli clementi che contribuiscono ad indicare una data piuttosto antica, nel corso della prima metà del VII sec. a. C.: tra questi i corpi degli animali di notevoli dimensioni, non rivolti, come si è detto, nella stessa direzione, e che incedono con una cena rigidità e staticità, e il limitato ma accorto uso dell'incisione (a indicare il pelo maculato della pantera, il corsetto delle sfingi, le penne diversificate delle loro ali, gli occhi degli animali ecc.), elementi che farebbero propendere per una datazione ancora nel Protocorinzio Medio I o al passaggio tra Medio II (670ca. a.C.K
Il pittore dell'oinochoe di Piazza Duomo fu certamente un grande ceramografo, un innovatore, sensibile per certi aspetti ad influssi orientalizzanti di altre fabbriche anche insulari, che operò nella generazione precedente al pittore di Bellerofontc di Egina. Non sembra facile, ad un primo esame, individuare questo "maestro" tra quelli già noti, né attribuirgli altre opere. Il vaso, per molti versi, problematico, darà occasione a più di una riflessione, sia per la fabbrica e lo stile, che per il contenuto della scena o delle scene raffigurate: queste ultime infatti sono, forse, soltanto apparentemente, non collegate tra di loro.
Nell'immagine della "signora delle belve", con o senza ali e con al fianco animali non sempre in schema araldico, già F. Studniczka propose di riconoscere la "Potnia Theron", nella denominazione data da Omero ad "Artemis Agrotera" (Iliade XXI, 470/471). Con l'oinochoc di Piazza Duomo, che doveva trovarsi tra i resti di una piccola stipe nell'ambito della più importante arca sacra di Ortigia, che oggi conosciamo assai meglio grazie ai fortunati scavi di G. Voza, abbiamo dunque ritrovato la più antica testimonianza del culto di Artemide, di pochi decenni posteriore alla fondazione della colonia, e l'immagine della prima dea venerata nell'isola.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Per il Protocorinzio è ancora illumi¬nante la voce di L. Banti in EAA, VI (1966). Per la cronologia e i pittori v. Perachora II (Dunbabin) Oxford, 1962, J.L. Benson, Middle Protoco- rinthian Pcriodization, in Korinthia- ka, Studies in Honor of D. A. Amyx, p. 97 ss.; Id., Earlier Corinthian Workshops, Amsterdam 1989; C. W. Neeft, Protocorinthian Subgeometrie Aryballoi, Amsterdam 1987; per la forma: Orsi N.S. 1893; N.S. 1895, passim. K. F. Johansen, Les Vases Sycioniens, Paris/Copenhague 1923, pp. 84,85; S. Weinberg. Corinth VII, p. 43, n. 141 per Artemide: F. R. Studniczka, Kyrene, eine griechische Gottin, Leipzi
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