archeologia via del littorio - Archeologia Siracusa

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Archeologia
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archeologia via del littorio

Ortigia Archeologica
Archeologia via del littorio
Via del littorio prese il nome dai fasci Littori o Littoriani, cioè servitori imperterriti dello Stato che simboleggiavano il potere con l'unione delle forze espresse in Fasci di verghe. Siracusa si adeguò all’ideologia fascista come il resto d’Italia e venne realizzata un’arteria stradale di forte richiamo.
Agli inizi degli anni 30 dalla zona mercato non si poteva raggiungere agevolmente Piazza Archimede - Via Roma – Duomo, raggiungibili con mezzi dalla Mastrarua-maestranza.  Venne scelto il progetto dell’ingegnere Barreca  che venne reso esecutivo nel 1933 e finanziato  con un mutuo comunale finanziato da Banco di Sicilia e Cassa di Risparmio. Vennero abbattute le vecchie e fatiscenti case tra Dione e Cavour comprese palazzi di pregio. Vennero cancellate le vie Areta, Ronco Cerera, Ronco Diodoro Siculo, parte di Carmelo Campisi e, nella nuova toponomastica nacquero le vie San Cristoforo, la via Landolina divenne Via dei Candelai, Via Campailla fu rinominata Via dei Bottai,Via Alessandro Rizza diventò Claudio Mario Arezzo e al primo venne intitolata una via nei pressi del Pantheon.
L'opera venne considerata una perla nei Grandi Lavori del Ventennio

Durante gli scavi condotti da R. Carta, vennero alla luce reperti archeologici di epoca greca e romana



Una opera meritoria ?
Sin dall'inizio di questo secolo, allorquando Siracusa, riavuto il suo blasone di "Capoluogo", rifioriva a nuova vita, e nuovi quartieri nascevano sulla terraferma, sorse imperiosa la necessità di collegare queste nuove realtà urbane col centro direzionale della città.
Furono proposte diverse soluzioni, sempre miranti al detto scopo, per la costruzione di una via ampia capace di snellire il traffico che si andava evolvendo verso la trazione meccanica. Certo i vecchi vicoli stretti e tortuosi mal si prestavano a snellire il traffico automobilistico che già si pronosticava. Allora, per raggiungere piazza Archimede, la via Maestranza e la via Roma, c'erano solamente tre vie: la Mastrarua, la via Dione e la via Cavour che allora chiamavasi via dei Bottai. Né era pensabile un senso rotatorio esterno perché il lungomare era ostruito dal vecchio "fondaco", e dalla dogana, ad ovest, e dalla stretta via Pia dei Tolomei ad est. Le diverse soluzioni progettuali trovarono a non finire ostacoli di natura finanziaria e politico- organizzativa.
Da principio si pensò di prolungare il "Rettifilo" attraverso i quartieri ad est del tempio di Apollo per raggiungere la Mastrarua all'altezza di via Labirinto e con una diramazione che, passando per la "Spirduta", raggiungeva la via Maestranza con l'allargamento di via dei Santi Coronati. Detto progetto non fu realizzato per le seguenti ragioni: la spesa ingente a causa della larghezza della sezione stradale (m 20) e della considerevole lunghezza (m 500 ca.); la difficoltà insormontabile di vincere il dislivello di m 2,50 nell'attraversamento di via Dione, a meno di adottare un profilo longitudinale convesso, di sgradevolissimo effetto; difficoltà per l'attraversamento del tempio di Apollo i cui ruderi erano stati appena scoperti: necessità di abbattere edifici di grande importanza storica e architettonica quali la chiesa del Carmine, la caserma Magnano e la chiesa dei Santi Coronati.
Fu allora avanzata una seconda proposta, secondo la quale il collegamento dei vecchi quartieri con la città nuova avrebbe dovuto effettuarsi mediante l'allargamento della via Dione che si sarebbe allacciata a via Savoia per mezzo di una "rampa" curvilinea per addolcire il dislivello. Questa soluzione, che da un primo sommario esame, parve, sotto alcuni aspetti, migliore della prima, nella fase progettuale risultò non idonea per la risoluzione del problema. Inoltre si doveva abbattere la chiesa di S. Paolo e altri edifici importanti come Palazzo Ortisi e si sarebbe soprattutto persa la preziosa testimonianza del decumano. Ma, a parte queste considerazioni, il vero grande ostacolo politico, per cui l'allargamento della via Dione risultava impossibile, venne rappresentato dall'intervento del Banco di Sicilia che aveva già appaltato i lavori per la costruzione della nuova sede che doveva sorgere in piazza Archimede, all'incrocio con la via Dione, proprio dal lato in cui si sarebbe dovuto eseguire l'ampliamento. In questo stato di cose e per la grande importanza che veniva data a questo edificio, la cui costruzione era auspicata, restava bloccata la realizzazione della via che, col minimo di percorrenza e di spesa, avrebbe dovuto collegare i nuovi quartieri col centro direzionale della città.
Sorse allora ineluttabile la necessità di risolvere in diverso modo questo problema ritenuto peraltro assillante. Si fece pertanto capo alla soluzione, che chiameremo terza, in forza della quale il Banco di Sicilia si sarebbe obbligato a modificare il suo progetto creando un nuovo prospetto architettonico anche dal lato della nuova arteria la quale, diramando da via Savoia, a pochi metri da piazza Pancali, veniva a sboccare nell'angolo nord-ovest di piazza Archimede, considerata allora, come oggi, il vero nocciolo del centro cittadino. Detta arteria, a partire dall'asse di via Savoia, era prevista di una lunghezza di 294 metri.
Il progetto della nuova strada, redatto dall'ing. Barreca, prevedeva una larghezza, tra vivo e vivo dei nuovi edifici, di m. 12,50, la massima che fu possibile raggiungere dati i vincoli imposti per ragioni di pubblica edilizia dell'erigendo palazzo del Banco di Sicilia.
La sezione trasversale della strada, a schiena, con monta di cm 16, si sviluppava lungo un profilo longitudinale costituito da un'unica livelletta della pendenza del 3,60 per cento. Questa pendenza, un po' sentita per i mezzi di allora, ma non eccessiva, si prestava assai bene per un ottimo effetto visivo dall'attuale Largo 25 Luglio sino allo sfondo costituito dal Palazzo Gargallo in piazza Archimede.

Sorse a questo punto la necessità di studiare per la piazza Archimede una diversa sistemazione consentanea alla nuova funzione di largo di smistamento. Fu studiata la soppressione della vecchia incorniciatura e, pur conservando integra la fontana centrale, protetta da un piccolo marciapiede salvagente circolare, il suo pavimento venne studiato a livello delle quattro carreggiate perimetrali e non più in basole di pietra lavica ma con mattonelle di asfalto.
La pavimentazione della nuova strada, della larghezza di 8 metri, fu prevista pure in mattonelle di asfalto compresso con sottofondo in calcestruzzo cementizio, mentre per i marciapiedi, della larghezza ognuno di 2,25 metri, si ritenne di adoperare mattonelle di cemento (pietrine) bucciardate. L'orlatura dei marciapiedi fu studiata in conci di pietra lavica martellinati a fino, e le relative zanelle formate da una triplice fila di mattonelle di asfalto.
Non si ritenne opportuno asservire il sottosuolo della carreggiata alle canalizzazioni della pubblica fognatura e della condotta idrica dell'acquedotto municipale. Ciò perché i nuovi edifici erigendi sarebbero stati serviti, come in atto erano i fabbricati da demolire, dalle vicine condotte municipali delle vie Dione e Cavour.
La perizia faceva presuntivamente ascendere a lire 7.900.910 la somma occorrente per la realizzazione dell'opera progettata e più specificatamente: per espropriazioni dei fabbricati ricadenti nella sede stradale e nelle zone finitime, lire 7.280.910; per lavori a base di appalto, lire 620.000.
Ritenuto che la espropriazione non si sarebbe limitata alla sola parte necessaria per la sede stradale, ma per legge si doveva estendere anche alle zone attigue, si ritenne opportuno calcolare che, dalla vendita delle aree di risulta si poteva ricavare presumibilmente la somma di lire 1.587.600, onde il definitivo onere complessivo dell'opera veniva rideterminato in lire 6.313.310. Per l'esecuzione di questa opera l'Amministrazione Comunale di Siracusa ottenne il finanziamento della Cassa di Risparmio del Banco di Sicilia, con la concessione di un mutuo di lire 7.900.910 arrotondato a lire 8.000.000. Detto mutuo doveva essere rimborsato, quanto a lire 1.600.000 in un breve periodo non superiore agli anni due, cioè non appena il Comune avrebbe venduto le aree edilizie di risulta contigue alla strada e incassato il relativo prezzo; quanto alle residuali lire 6.400.000, in 25 annualità comprensive di capitale e interessi. Il pagamento di queste annualità doveva effettuarsi vincolando i maggiori introiti derivanti dall'aumento del prezzo dell'acqua potabile che costituiva la cospiscua, per allora, somma di L. 500.000.
Il progetto venne approvato e siglato dal Podestà Leone il 15.7.1927 ma solo il 28.7.1933 il Segretario Capo del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, dr. F. Sconniello, apponendovi la propria firma dava il placet all'esecuzione dei lavori per la costruzione di via del Littorio. L'idea che il progetto redatto dall'ing. Barreca abbia ottenuto il visto della Sovrintendenza ai Monumenti di Siracusa e quindi del prof. Paolo Orsi è priva di qualsiasi fondamento. L'elaborato tecnico reca invece un nulla osta del Mauceri, allora Vice Intendente.
uno scempio?
Le argomentazioni pro e contro lo sventramento che cambiò il volto di Ortigia, sono nate il giorno stesso che tale operazione ebbe inizio e a tutt'oggi non possiamo «lire che non hanno più motivo di esistere.
Pro: la zona sventrata comprendeva rioni fra i più insalubri, in cui più densa era la popolazione che viveva in vetusti fabbricati, non più rispondenti alle più elementari norme igienico-sanitarie. L'architetto tedesco Furher parlò di questa strada come di un'opera meritoria che aveva permesso di raggiungere, in modo stupendo, la piazza Archimede e abbattuto quartieri insalubri e di nessuna importanza. Si rammaricava però, l'illustre ospite, dell'infelice linea architettonica degli edifici che lui, e non solo lui, avrebbe consigliato affine a quella del palazzo che si trova all'angolo con la via Scinà. E aveva ragione! Contro: abbattendo case e palazzetti si cancellò una testimonianza storica irricostruibile. Tommaso Gargallo, grande assertore dell'isola che doveva restare tale e quale il tempo l'aveva modellata ebbe a dire: "...a me duole il cuore di vederci distruggere irreversibilmente l'insostituibile, per costruire al suo posto cose fatalmente nate stravecchie, dell'orrida vecchiezza delle cose consumistiche". In "Le ceneri di Ortigia", sempre il Gargallo ricorda il pubblico scempio di via del Littorio che travolgendo tutto il lato destro dell'attuale via Dione, andando verso piazza Archimede, cancellò finissimi esempi di architetture del tardo quattrocento.
Una cosa però è certa: corso Matteotti rappresenta già per i siracusani che oggi virano alla boa dei primi cinquant'anni, un ricordo caro come per quelli «Iella mia età può aver rappresentato, per esempio, Via dei Tolomei, vecchio e caro lungomare di levante.
E qui, in questo salotto, che subito «lopo la guerra ci si incontrava nelle belle giornate d'inverno e nelle serate di primavera, felici di salutare gli amici e d'incontrare i parenti, senza pensare minimamente di mettere il piede sopra un contenzioso popolare. E già storia dunque! Con la nascita di corso Matteotti sono scomparsi però tanti altri ricordi: via Areta, ronco Cerere, ronco Diodoro Siculo e la <;hiesa evangelica di via Cavour, tutta in legno. Furono tempi di rinnovamento anche per la toponomastica: via Areta fu chiamata via San Cristoforo; via Landolina divenne via dei Candelai e via Campailla fu via dei Bottai mentre via Alessandro Rizza divenne via Claudio M. Arezzo. Pezzetti di cuore che vennero strappati ai vecchi che in quelle strade si identificavano.
T. Gargallo: ...a me duole il cuore
Un giorno i siracusani, nella loro pur severa correttezza, diranno se corso Matteotti merita di essere considerata una strada di Ortigia da amare.
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