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Scialoja Toti

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Toti Scialoja


Natura morta, 1945


Toti Scialoja
Impronta grande, 1958
Toti Scialoja

Toti Scialoja nasce a Roma nel 1914. Intorno alla metà degli anni Trenta si avvicina al disegno a cui si dedica in modo esclusivo. È con un nucleo di disegni che partecipa alla III Quadriennale romana nel 1939 e che nell'anno successivo tiene la prima personale a Genova alla Galleria Genova. I fogli di questo periodo rivelano una notevole sensibilità esplicitata nella continua e inquieta vibrazione del segno.
Nel 1940 l'artista abbandona gli studi di giurisprudenza per dedicarsi all'arte e nel 1941 tiene una personale alla Società degli Amici dell'Arte di Torino con dipinti e disegni. Anche la pennellata (contorta, sensuale, concitata e sommaria) partecipa, in modo diverso ma in egual misura, della violenta emotività del gesto che segna la carta. Il colore ha impasti spessi e luminosi. Queste caratteristiche sono in parte desunte dalla formazione artistica di Scialoja avvenuta a contatto con la Scuola Romana.
Nel 1941 Scialoja vince il Premio Bergamo con Natura morta. Nel 1942 partecipa nuovamente al Premio Bergamo e nel 1943 alla Quadriennale. Nello stesso anno espone a una collettiva a Roma una serie di paesaggi che cercano il timbro per rafforzare la luminosità del colore suggerendo un segreto amore per Van Gogh. Sempre nel 1943 incomincia la sua attività di scenografo e costumista che egli condurrà sempre intensamente parallela all'esperienza pittorica vera e propria.
Nel 1947 Scialoja tiene una personale alla Galleria II Naviglio di Milano. Le opere esposte si riallacciano pienamente alla tradizione espressionista partecipando del ricordo di certi toni crepuscolari di Mafai e di Scipione come della pennellata mossa di Soutine. Nello stesso anno il rifiuto di partecipare alla prossima edizione della Biennale (1948) segna un momento di ripensamento critico nei confronti della propria opera.
In questo periodo Scialoja si rivolge a Morandi nel desiderio di riappropriarsi di maggior controllo e saldezza delle forme. Un'intima necessità di arginare la foga espressionista in una composizione più calibrata anima le nature morte e i paesaggi urbani: la pennellata si è distesa, mentre il colore tende al monocromo.
Nel 1949 Scialoja affronta per una breve stagione le possibilità espressive offerte dalla sintassi neocubista, abbandonando definitivamente la consueta pratica di dipingere sul motivo dal vero.
Le opere esposte alla Biennale del 1950 e del 1952, ancora paesaggi e nature morte, accendono il colore di accenti sognanti, trattenendolo saldamente nella rigida griglia compositiva dell'impianto. Al modello picassiano l'artista affianca uno spiccato interesse per le soluzioni di Cézanne e di Klee. Nel 1954 Scialoja partecipa alla Biennale con opere che Venturi sente molto affini alla poetica astratto-concreta. Dipinge in quest'anno i primi quadri astratti fondati esclusivamente sui ritmi spaziali propri del cubismo analitico e riducendo la tavolozza al solo uso del grigio. Incomincia la sua collaborazione con la rivista del Gruppo Origine «Arti Visive».
Le esercitazioni sul modello postcubista concentrano l'interesse di Scialoja sul dato puramente linguistico dell'opera.
La sua pittura, finalmente liberata da ogni schema referenziale può riappropriarsi della sua primitiva e profonda carica espressionista. Abbandona l'uso del pennello e lavora con stracci imbevuti di colore sottilmente tonale. Le forme presentano in superfìcie la loro sostanza profondamente fìsica. Lo spazio rinuncia a ogni profondità. Nel 1956 Scialoja si reca negli Stati Uniti dove si trattiene tre mesi e frequenta gli studi degli espressionisti astratti.
Al suo rientro in Italia, nel 1957, presenta a una collettiva con Afro e Burri i suoi ultimi lavori in cui abbandona l'olio per usare il medium del vinavil che da maggior senso di sospensione ai pigmenti.
Durante l'estate dello stesso anno Scialoja è a Procida dove elabora e mette a punto il procedimento delle «Impronte». In un primo momento dipinge su carta (sempre oleosa in modo da accogliere il colore senza assorbirlo), in fase successiva pone il foglio a contatto con la tela affinchè questa venga segnata dal colore. Un che di casuale e di automatico abita questo processo che spalanca le possibilità d'azione del soggetto e dell'oggetto attuando la totale coincidenza tra colore e struttura nella scansione temporale dello spazio.
L'alternarsi dei pieni e dei vuoti cromatici sulle superfìci fanno del ritmo l'elemento fondamentale di queste prove realizzate sia su tela che su carta.
Scialoja nel 1960 è a New York dove dipinge grandi «Impronte» incombenti quasi esclusivamente in bianco e nero.
Si trasferisce in autunno a Parigi dove esegue «Impronte» che si valgono della stratificazione di materiali eterogenei e inconsueti alla pittura tradizionale (per lo più collages di stoffe diverse: garze, pizzi, merletti, tessuti decorati) allo scopo di realizzare ancor più nettamente la scansione a zone verticali della superfìcie.
Con una scelta di opere parigine allestisce la sala personale alla Biennale di Venezia del 1964. Sulla soglia degli anni Settanta Scialoja abbandona il procedimento delle «Impronte». La pittura si decanta e pensa se stessa fino all'inverosimile rinuncia alle prove su tela per cercare esclusivamente sulla carta un'immagine nuova. Infatti durante questo decennio si fanno numerosissime le prove di collages di piccole dimensioni ove gesto ed emozione sono ridotti al minimo: solo i ritagli regolari scandiscono le diverse zone della superfìcie. Parimen-ti le tele presentano immagini semplici: strisce e rettangoli di colore sommesso e sospeso ritmano pacatamente lo spazio. Durante questi anni l'artista si dedica inoltre alla poesia.
Già negli acquarelli della fine degli anni Settanta si riaffaccia il presentimento del segno che si libera prepotentemente nelle opere degli anni Ottanta.
Nella primavera del 1982 Scialoja compie un viaggio a Madrid dove riscopre in Goya la potenza della pittura. Da questo momento il gesto esplode, si amplia e si moltiplica trasudando materia calda e vibrante e dando vita a dilatati spazi imprevedibili, come testimoniano le tele esposte alla Biennale di Venezia del 1984. Scialoja ha insegnato scenografìa per oltre vent'anni presso l'Accademia di Belle Arti di Roma di cui è stato direttore dal 1982 al 1985.
Vive e lavora a Roma.
(EL)


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