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Dorazio Piero

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Piero Dorazio

Acienne Menee,1957


Piero Dorazio
Sempreverde,1959


Piero Dorazio
Otto sgreti,1963


Piero Dorazio
Trama aperta I,1965
Piero Dorazio

Piero Dorazio nasce a Roma il 29 giugno 1927. Al principio degli anni Quaranta, mentre affronta studi classici frequenta con Perilli lo studio del pittore A. Baldinelli e incomincia a dipingere alcuni paesaggi della campagna romana e piccole nature morte. Nei primissimi anni Quaranta si iscrive alla facoltà di Architettura.
Nel 1945, mentre si dedica soprattutto all'illustrazione, continua a occuparsi d'arte anche in termini teorici e sociali, partecipando inoltre all'attività del gruppo Arte Sociale. Si avvicina a Guttuso, di cui frequenta assiduamente lo studio fra il 1946 e il 1947. Le discussioni vertono sull'impostazione da dare alla Nuova Arte in rapporto alla Nuova Società ma sin da principio Dorazio respinge la soluzione del realismo socialista. La sua pittura è precocemente incline a un recupero del futurismo, che interessa soprattutto per le linee-forza, la materializzazione cromatica di energie spaziali invisibili. L'artista dipinge una serie di interni e di nature morte in cui la suggestione postcubista è spinta fino all'astrazione.
Nel 1947 Dorazio e Perilli nello studio di Guttuso incontrano Accardi, Attardi, Consagra, Guerrini, Sanfìlippo e Turcato con cui danno vita al gruppo Forma 1. Il manifesto ne puntualizza l'indirizzo: lontano tanto dal Fronte Nuovo delle Arti (ritenuto eclettico) quanto dal realismo socialista (cui si oppone per il dogmatismo dei suoi rigidi dettami formali respingendo le pesanti ingerenze della politica nella creazione artistica) in difesa di un'arte astratta e marxista. Dorazio incomincia quindi una fervida attività divulgativa nei confronti dell'arte astratta attraverso l'energico lavoro di redazione nella rivista del gruppo, la collaborazione ad alcuni quotidiani e la partecipazione a convegni, conferenze e dibattiti sia in Italia che all'estero.
Dopo diversi viaggi nelle capitali europee per stabilire dei contatti con gli astrattisti stranieri, Dorazio si dedica dal 1948 a un'intensa collaborazione con Jarema e Prampoli-ni per le iniziative della galleria dell'Art Club. Le opere dipinte fra il 1948 e il 1950 presentano già gli elementi su cui si basa la fisionomia di tutto il lavoro di Dorazio: il segno incrociato e la trasparenza del colore.
All'inizio degli anni Cinquanta, staccatosi da Forma 1, apre a Roma con Perilli e Guerrini la Galleria Libreria Age d'Or. Nel 1951 Fontana invita i tre artisti alla Triennale di Milano dove dipingono un'opera collettiva: due pitture murali per cui vengono premiati con una medaglia d'argento. L'Age d'Or apre una succursale a Firenze e intraprende una importante attività editoriale tesa alla divulgazione dei maestri dell'astrattismo. Ben presto le sorti del gruppo Origine (Balocco, Burri, Capogrossi e Colla) e quelle dell'Age d'Or si avvicinano dando vita a una serie di iniziative (pubblicistiche ed espositive) che confluiscono nella nascita della Fondazione Origine e nella pubblicazione della rivista «Arti Visive».
Nel 1952 Dorazio, invitato da Prampolini, partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia. Nel 1953 si trasferisce temporaneamente a New York dove continua l'opera divulgativa nei confronti dell'arte italiana e frequenta i più importanti pittori astratti americani. Nella metropoli americana tiene la sua prima personale nel 1954. Nello stesso anno pubblica La Fantasia dell'Arte nella vita moderna.
Alla fine degli anni Quaranta e durante i primissimi anni Cinquanta Dorazio dipinge alcuni quadri rigorosamente geometrici dove non,è difficile scorgere l'influenza di Magnelli. Solo intorno al 1953 incomincia a rompere le superfìci in un tessuto ordinato ma inquieto di segni-colore. Queste tele sembrano partecipare più dell'impostazione strutturale limpida e ansiosa dell'ultimo Mondrian che dell'esperienza olimpica di Malevic a cui per altro sono dedicate {Bene Kasimiroì). Contemporaneamente l'artista esegue alcuni rilievi (Motosilenzio, 1951; Quattro domande, 1952) completamente bianchi, in cui i mezzi espressivi sono ridotti al minimo per svolgere indagini sulla natura dello spazio in relazione alla luce. L'immissione della terza dimensione reale non è riferibile a intenti plastici, in quanto trova il suo motivo in una più agevole verifica tecnica degli effetti cangianti di luce e ombra a seconda della fonte luminosa. Dorazio svolge queste prove anche su bronzo. Nel 1954 rientra a Roma e si stacca dalla Fondazione Origine, mentre prosegue le esperienze dei rilievi e riprende a dipingere. Esperimenta un nuovo materiale, il perspex, con cui esegue una serie di sculture trasparenti. Ancora una volta non è la plastica a interessarlo: egli tratta il blocco di plexiglass come un foglio da disegno, come spazio vuoto erre va segnato dall'artista. Le tele dello stesso periodo presentano la stessa dedizione all'indagine spaziale e luministica. Le prove adottano principalmente due metodi espressivi: uno basato sui violenti contrasti fra i timbri delle macchie di colore, l'altro impostato su liquidi scorrimenti di bande trasparenti. Nel 1955 realizza la decorazione del night club Shéhérazade per cui realizza nove pareti assolutamente monocrome rese cangianti dall'intervento della luce di Wood. Nello stesso anno partecipa con Perilli alla mostra «Colore come struttura» (il cui titolo si rivela programmatico) alla Galleria delle Carrozze di Roma. Da questo momento appare evidente che la ricerca di Dorazio sullo spazio e la luce trova nel colore l'elemento nodale. Nel 1956 partecipa alla Biennale di Venezia. Nel 1957 realizza un mosaico per la XI Triennale di Milano e tiene la sua prima mostra personale alla Galleria La Tartaruga di Roma. Alcune tele qui esposte, dipinte da lunghe e sottili pennellate che creano una sorta di intreccio teso e ordinato di linee-forza di boccioniana memoria si avvicinano ai risultati di certa pittura riduzionista americana. Nel 1958 dipinge una serie di quadri monocromi sulle dominanti nero-grigio-blu in cui la struttura grafica si identifica con l'applicazione del colore a tratti, prima paralleli, poi convergenti e incrociati. Da queste opere l'artista sviluppa un metodo di attivazione dello spazio mediante la vibrazione della luce attraverso un reticolo trasparente di strutture cromatiche sovrapposte. Dal 1959 al 1962 Dorazio sviluppa l'esperienza dei «Reticoli» ove il colore, organizzato in un tessuto fittissimo e complesso di linee elementari e parallele, in un sistema costante/variabile, svolge sulla superfìcie un ruolo fondamentale di modulazione e filtro della luce.
Le possibilità delle interazioni ottiche sono infinite. La pittura è un'autentica e continua avventura, non un'analisi. Intanto Dorazio prosegue i suoi instancabili viaggi e le numerose collaborazioni a riviste. Nel 1958 partecipa nuovamente alla Biennale di Venezia.
Nel 1960 è invitato da Udo Kultermann alla mostra «Monochrome Malerei» a Leverku-sen e partecipa con una sala personale alla XXX Biennale di Venezia esponendo grandi superfici apparentemente monocrome. Occorre puntualizzare che il monocromo di Dorazio, che si costruisce lentamente e faticosamente per crescita interna sulla base di ripetuti interventi dell'artista, è altra cosa rispetto alla tabula rasa di Manzoni. Un altro modo di affrontare la superfìcie, il luogo deputato al linguaggio bidimensionale della pittura, problematizzandola. Sempre nel 1960 è nominato direttore del Dipartimento di Belle Arti dell'University of Pennsylvania di Filadelfìa, dove insegna fino al 1970.
Verso il 1962 Dorazio incomincia a lavorare anche sperimentando la tecnica dell'incisione, esegue infatti in questi anni diverse acquetinte e puntesecche. Nei quadri eseguiti dopo il 1963, i valori cromatici si accendono e vivendo di forti contrasti e le linee, aeree e sottili nei «Reticoli», si allargano in grandi bande verticali smaglianti che strutturano la visione in modo tanto esplicito quanto ambiguo, creando un forte effetto di risonanza cromatica che genera un radicale sfasamento fra i piani dell'immagine. Lo spazio come campo di forze luminose.
Sempre nel 1965 vince il Premio Lissone. Nel 1966 è invitato con una sala personale alla XXXIII Biennale di Venezia. Nel 1966 torna apertamente al mai abbandonato monocromo (la somma dei colori dello spettro non da forse il bianco lattiginoso della luce?) dipingendo una serie di grandi tele su fondo di lino grezzo dove il bianco e il grigio tornano a essere i colori dominanti ma di fatto il discorso non si sposta dai limiti coerenti ed elastici individuati già intorno alla fine degli anni Cinquanta.
E sulla declinazione di poco variata della grammatica del colore-luce Dorazio porta avanti la sua tenace ricerca.
L'artista dal 1974 vive e lavora a Todi.
Dal 1984 collabora al «Corriere della Sera» con articoli di critica d'arte.

(EL)
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