Licini Osvaldo
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Osvaldo Licini
Angelo con coda, 1947
Drago blu, 1956
Ritorno, 1956
Osvaldo Licini
Osvaldo Licini nasce a Monte Vidon Corrado (Ascoli Piceno) il 22 marzo 1894. Nel 1908 inizia i propri studi all'Accademia di Bologna, dove gli è compagno Morandi con il quale espone a una collettiva futurista organizzata all'Hotel Baglioni di Bologna. Licini dipinge, con una tavolozza sommessa e terrosa in sintonia con il tonalismo di Morandi, ritratti, paesaggi e nature morte di maniera ancora naturalistica.
Nel 1915 parte volontario per la guerra da cui torna convalescente nel 1917. Decide quindi di raggiungere la famiglia a Parigi. Tra il 1920 e il 1923 soggiorna spesso in Costa Azzurra.
Nelle tele del principio degli anni Venti, per lo più paesaggi e soprattutto marine, egli si orienta verso un cromatismo vivace acceso e sensuale (in cui si intrecciano echi della Joie de vivre matissiana e memorie di Derain) attraverso il quale egli tenta il limite dell'intensificazione espressiva dell'immagine senza superare la soglia della deformazione. Il colore diviene terso e trasparente, leggero e vibratile, perde ogni peso per lievitare fluido e corsivo nello spazio. Nel frattempo egli espone a diverse edizioni del Salon d'Autumne e del Salon des Indépendents.
Nel 1926 l'artista fa ritorno a Monte Vidon Corrado dove risiede stabilmente. Partecipa alla I mostra del Novecento italiano organizzata da Margherita Sarfatti alla Permanente di Milano nel 1926 e alla seconda esposizione del gruppo nel 1929, ma la sua presenza si rivela presto episodica. Nel 1931 partecipa alla I Quadriennale romana e nel contempo avvia, sviluppa e matura la fase pienamente astratta del suo lavoro che esporrà nel 1935 alla II Quadriennale e alla mostra personale alla Galleria del Milione. Egli è finalmente approdato a una declinazione lirico-costruttiva in cui la geometria, come «disegno interno» e intima struttura dello spazio, acquista una libertà fantastica inedita che lo contraddistingue profondamente da tutti gli altri compagni dell'avventura astrattista in Italia. Una famosa dichiarazione di poetica del 1934, Lettera aperta al Milione, chiarisce il rapporto panico dell'artista con la geometria che è per lui un'esperienza spirituale dello spazio, non una legge compositiva.
Nel 1935 aderisce al movimento parigino Abstraction-Création e partecipa alla «I Mostra dell'arte astratta italiana» tenuta a Torino nello studio di Casorati e di Pauluc-ci. Sul rapporto ritmico tra bianco e nero sono interamente basate le diverse versioni di Archipittura eseguite durante la seconda metà degli anni Trenta. Nel 1938 firma il manifesto di Marinetti «La linea italiana dell'arte» e nel 1941 quello del gruppo primordiale futurista, ma queste sottoscrizioni si rivelano inincidenti. Licini viene plasmando il suo universo di segni in certo modo metafisici. Il suo mondo, primario, infinito e sospeso, si arricchisce, per accumulazione fantastica, di figurazioni vagamente antropomorfe e di ermetici emblemi geometrici. Questi elementi risultano svincolati da ogni letterarietà decantati attraverso un'intensa concentrazione lirica fatta di pratica mentale e fabrile vissuta nell'isolamento della campagna marchigiana.
Nell'immediato dopoguerra il suo vocabolario si arricchisce: l'universo stralunato e sideralè si popola di alfabeti e scritture, di forme-forze, di immagini archetipiche fan-tastiche e stilizzate: «Angeli Ribelli», «Olandesi volanti» e «Amalasunte» attraversano leggeri il cielo liciniano notturno e astratto, nella totale centralità del colore. In queste opere, dal formato ridotto e dal respiro cosmico, il colore vibra spesso del ricordo delle stesure sottostanti senza perdere trasparenza e acquistando profondità. Un linguaggio che non si rivolge ad altro che all'interno di se stesso.
Nel 1958 ottiene il Gran Premio Internazionale per la pittura alla XXIX Biennale di Venezia.
Licini muore a Monte Vidon Corrado l'I 1 ottobre 1958.
(EL)