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Campigli Massimo

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Massimo Campigli

Isola felice, 1930


Massimo Campigli
Marilù


Massimo Campigli
Paesaggio di Fiesole, 1957
Massimo Campigli
Massimo Campigli nasce a Firenze nel 1885. Nel 1909 si trasferisce con la famiglia a Milano, dove frequenta i futuristi durante gli anni eroici del movimento e collabora a riviste quali «Lacerba» e «Letteratura».
La guerra lo vede prima volontario al fronte e poi prigioniero in Ungheria.
Al suo ritorno a Milano, nel 1918 riprende a dedicarsi al giornalismo, e l'anno seguente si stabilisce a Parigi come corrispondente del «Corriere della Sera». Qui incomincia a dipingere come autodidatta risentendo del clima artistico fra cubismo e purismo allora diffuso in Francia e della suggestione delle pitture egizie conservate al Louvre, in cui riconosce un forte ed efficace sintetismo plastico. Nel 1923 tiene la sua prima mostra personale nello spazio gestito dai fratelli Bragaglia a Roma. Nel 1926 si lega a de Chirico, de Pisis, Paresce, Savinio, Severini e Tozzi dando con loro vita al gruppo dei Sette italiani di Parigi, che intrattiene vivi rapporti col Novecento. Intorno al 1928 al Museo di Valle Giulia a Roma scopre il fascino dell'arte etrusca che rinvigorisce in lui la vocazione arcaicizzante. Questa inclinazione libera la sua pittura dagli schemi astrattizzanti e ne diviene la cifra più intima. Le immagini si fanno sospese, senza tempo, coniugando simbioticamente aspetti della vita contemporanea con elementi di un passato remoto. Il colore, opaco e al tempo stesso luminescente, richiama le soluzioni cromatiche dell'affresco. Lo spazio diviene architettura scandita con ritmi decorativi e le figure presentano una frontale fissità ieratica che ricorda apertamente i mosaici bizantini. In perfetta sintonia con la poetica novecentista, egli entra naturalmente a far parte del movimento. Partecipa quindi alla I e alla II mostra del Novecento Italiano al Palazzo della Permanente di Milano (1926,1929) e a tutte le rassegne organizzate dal movimento fra il 1927 e il 1930 all'estero. Nel 1928 partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia. Nel 1932 espone nel contesto della «Mostra degli italiani di Parigi» alla Biennale di Venezia. Più apertamente ai modelli etruschi egizi e pompeiani si ispirano le opere presentate alla personale alla Galleria del Milione a Milano nel 1931. Nel 1933 firma il «Manifesto della pittura murale» redatto da Sironi. Insieme a Funi, de Chirico e ad altri, esegue la grande allegoria parietale Le madri le contadine le lavoratrici (oggi distrutta) per la Sala del Trono del Palazzo dell'Arte in occasione della V Triennale di Milano. La letteratura critica ci tramanda l'opera come una prova in cui trionfano i valori della superfìcie: la composizione è strutturata per fasce parallele sovrapposte e tutta giocata sulle figure geometriche del cerchio e del trapezio.
Per tutti gli anni Trenta riceve numerose commissioni per la realizzazione di decorazioni a fresco in edifìci pubblici. Tra le tante ricordiamo Non uccidere per il Palazzo di Giustizia di Milano eseguita nel 1938. Campigli in questi anni soprattutto nelle opere da cavalietto accentua il gusto per la raffinatezza manierata delle forme e per l'eleganza delle linee che impongono un ritmo decisamente decorativo alle composizioni da cui traspare una nota ironica, sottile e beffarda.
Durante la seconda guerra mondiale Campigli lavora a Venezia e a Milano. Nel 1948 è invitato alla XXIV edizione della Biennale di Venezia con una sala personale dove espone ventidue dipinti eseguiti fra il 1930 e il 1948. Dal 1949 alterna i suoi soggiorni tra Parigi, Milano, Roma e Saint-Tropez, dove muore nel 1971.
(EL)

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