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Carrà Carlo

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Carlo Carrà

Paesaggio (Pompei porta marina), 1936
Carlo Carrà

Carlo Carrà nasce a Quargnento (Alessandria) l'il febbraio 1881 da una famiglia di artigiani. Dopo aver svolto il proprio apprendistato, esercita il mestiere di decoratore murale che lo porta per la prima volta a Milano nel 1895, e di qui a dipingere in alcune ville della campagna lombarda e a Bellinzona. Nel capoluogo lombardo frequenta assiduamente la Galleria Grubicy, dove ha modo di conoscere l'opera di Previati e di Segantini. Tra il 1899 e il 1900 è a Parigi in occasione dell'Esposizione Universale, dove ha modo di accrescere la propria educazione artistica nei musei della città. Ammira soprattutto Millet, Renoir, Cézanne, Pissarro, Sisley, Monet e Gauguin.
Dalla capitale francese si sposta a Londra, dove si trattiene per sei mesi e scopre Constable e Turner. Al suo rientro fa ritorno a Quargnento e qui dipinge La strada di casa (1900) in cui si può cogliere un'anticipazione delle soluzioni divisioniste. Mentre continua a lavorare come decoratore (nel 1904 viene assunto in qualità di «operaio pittore» dalla Cooperativa pittori e imbianchini di Milano), cerca di proseguire la propria ricerca personale frequentando la scuola serale di disegno e arti applicate tenuta al Castello Sforzesco. Esegue nei primi anni del secolo qualche ritratto e un certo numero di nature morte. Inoltre collabora come illustratore ad alcune testate di sinistra, quali la rivista «Sciarpa nera» e il giornale «La Rivolta». Finalmente nel 1906, grazie a un piccolo sussidio famigliare, può abbandonare il mestiere di decoratore e iscriversi al corso di pittura tenuto da Cesare Tallone presso l'Accademia di Brera. Qui conosce Doccioni. La sua pittura allora si sviluppa in senso divisionista, mantenendo un interesse per il lume diffuso di origine scapigliata. Ma il suo divi- sionismo è ben differente dal pointillisme, infatti è articolato su una trama di tratti in cui è facile rintracciare presagi della stagione futurista. La sua pittura è inoltre aliena da ogni influsso liberty o simbolista, componenti diffuse a Milano sull'esempio di Previati, per privilegiare un rapporto concreto con la realtà {Stazione a Milano, 1909). Nel 1910 conosce Marinetti, che ha già iniziato  a teorizzare e diffondere il futurismo attraverso il «Manifesto futurista» pubblicato a Parigi su «Le Figaro» nel febbraio del 1909. In seguito a questo incontro Carrà (con Boccioni e Russolo e l'adesione di Balla e Severini) decide di lanciare il «Manifesto dei pittori futuristi» seguito a distanza di pochi mesi dal «Manifesto tecnico della pittura futurista».
Notturno a piazza Beccarla del 1910 e I funerali dell'anarchico Galli, iniziato nel 1910 e terminato nel 1911 presentano l'attuazione «futurista» di un'intima scomposizione spaziale condotta attraverso la moltiplicazione del punto di vista. Nonostante la 'resa dinamica dello spazio è evidente l'esigenza di una forte struttura costruttiva che coordini in equilibrio gli elementi della composizione.
Torna a più riprese a Parigi tra il 1911 e il 1912. Qui, nel 1912, partecipa all'«Esposizione futurista» tenuta alla Galerie Bernheim Jeune. In questo periodo la sua pittura assume alcune connotazioni desunte dal cubismo sintetico, guardando più alle soluzioni di Braque (che predilige anch'egli una tavolozza dai toni morbidi e sommessi) che non a quelle di Picasso, e a Cézanne. Nel 1912 instaura uno stretto rapporto con Rapini e Soffici che stanno dando vita alla nuova rivista «Lacerba» a cui Carrà collabora con scritti e disegni.
'Tutte le sue energie sono impegnate nella battaglia futurista: Carrà partecipa attivamente alle serate, tiene conferenze e scrive. Partecipa alla serata tenuta il 21 febbraio 1913 al Teatro Costanzi di Roma e all'esposizione organizzata nel Ridotto dello stesso teatro con opere di Balla, Boccioni, Russolo, Severini e Soffici.
Durante il 1913 si rafforzano i rapporti fra la sua pittura e il cubismo: dipinge Donna + bottiglia + casa, Ritmi e spazialità e compenetrazione di piani. La poetica futurista si è rivelata ben presto troppo angusta per l'arti- sta che sente un crescente bisogno di trovare una continuità -fra la tradizione e l'alte moderna.
Nel 1914 egli incomincia a rivolgersi allo studio di Giotto, di Piero della Francesca e di Paolo Uccello, documentato in seguito nei famosi scritti Parlata su Giotto e Paolo Uccello costruttore pubblicati nel 1916 su «La Voce». Dall'esempio di questi artisti nasce un'esigenza di solidificare le forme della visione.
Nei dipinti eseguiti durante il 1915 ogni interesse per il dinamismo è abbandonato in favore del tentativo di raggiungere una resa della forma che sia in qualche modo archetipica e primigenia. Nel frattempo Carrà reaizza dei collages ed esegue numerosi disegni di studio dall'antico. Sono datate 1916 opere quali Antigrazioso (acquistato nello stesso anno da Papini), La carrozzella, I Romantici, Il fanciullo prodigio, e Il gentiluomo ubriacò, tele risolte in una rigida bidimensionalità dagli accenti tra il primordiale e il grottesco che partecipano già di un clima metafisico. Nel 1916 viene richiamato alle armi. Dopo un breve periodo che lo vede impegnato a Pieve di Cento, viene ricoverato all'ospedale militare per malattie nervose Villa del Seminario, vicino a Ferrara, dove conosce de Chirico, Savinio e de Pisis, con cui diventa immediatamente complico dell'avventura metafisica. '
Trovando nelle istanze e nei risultati di tale poetica profonde affinità con le necessità .interne alla propria pittura, in questo periodo Carrà dipinge le prime tele dal sapore sospeso e magico in cui la reinvenzione delle forme e degli accordi tonali propri dei trecentisti e quattrocentisti toscani si coniuga . con la lezione formale stereometrica di Seiirat dando luogo a suggestive, laconiche ed. enigmatiche atmosfere assimilabili a quelle che animano le tele dechirichiane. I quadri eseguiti durante il 1917 e il 1918 presentano inoltre tutto un repertorio di elementi propri della metafisica dechirichiana (statue, manichini e squadre) assunti e filtrati attraverso la personale inclinazione arcaista. In tale periodo, conformemente alla tecnica dell'affresco, egli esegue veri e propri cartoni preparatori per i quadri, che, una volta forati, vengono appoggiati sulla superficie della tela per segnare la traccia dei contorni delle forme con l'uso del carboncino.
Espone alcune nuove opere in una personale a due con de Chirico tenuta nel maggio del 1917 a Roma nelle sale messe a disposizione dal giornale «L'Epoca».
In questa occasione Spadini acquista La. musa. metafisica.. Nel dicembre del 1917 pre- senta 30 opere, tra-cui molte eseguite a Villa del Seminario, nello studio del fotografo E Chini a Milano. Nel 1919 rientra a Milano, dove soprattutto disegna e incide con la tecnica dell'acquaforte cercando di risolvere il pressante problema che riguarda una sempli- ficazione sempre più scarna dell'immagine, cercando insistentemente la massima nudità del linguaggio. Nel frattempo collabora assiduamente con scritti teorici alla rivista «Valori Plastici» (1919-22) diretta da Mario Broglio, attorno a cui si coagulano le forze artisriche che intendono la pittura come appropriazione mentale della realtà attraverso un decantato ordine plastico. Nel primo numero della rivista, uscito nel 1919 Carri pubblica // quadrante dello spirito, scritto che ha il valore della dichiarazione programmati- ca. Collabora inoltre a «La Voce», a «Lacer- ba», a «Esprit Nouveau» di Ozenfant e Le Courbusier e a «La Fiera Letteraria». Dal 1921 al 1938 svolge l'attività di critico d'arte per il quotidiano «L'Ambrosiano».
Nel 1922 espone alla Biennale di Venezia. Si avvicina in questi anni ulteriormente a Cézanne, che lo attrae per il suo linguaggio stringatamente strutturalista, dipingendo dal 1921 al 1923 una serie di paesaggi e marine di notevole densità plastica e qualità sintetica composti «sul motivo» durante i suoi soggiorni in Liguria. Carrà al contrario del pittore che dipinge eri plein air la fugace sensazione di un luogo, passa al vaglio di una lunga pratica mentale e fabrile le forme desunte dalla realtà. Tale procedimento essenzializza al massimo gli elementi della composizione e impone ai quadri tempi di gestazione lunghissimi. Il tonalismo resta la chiave segreta della sua cromia. Nel 1925 la III Biennale romana gli dedica una sala personale dove espone 43 opere. Nell'estate dello stesso anno, passata in Valsesia, la sua tavolozza si schiarisce a contatto con il paesaggio toscano. Sulla base della tematica del passaggio, sviluppando la poetica delle forme legate alle «cose ordinarie», si alterna- no prove della resa più «mentale» e sintetica, che si collocano nell'ambito del realismo magico, ad altre condotte con una scrittura più corsiva, più prossima all'immediatezza. Sul difficile equilibrio fra i due poli dell'astrazione e dell'osservazione, di misura e di espressione, verte la dialettica di tutta la pittura di Carrà.
Nel 1926 partecipa alla I mostra del Novecento italiano organizzata da Margherita Sarfatti al Palazzo della Permanente di Milano dove la Galleria d'Arte Moderna di Milano acquista // Leccio (1925). Sempre nel 1926 è invitato alla Biennale di Venezia ed espone con de Chirico e Morello alla Galleria Pesaro di Milano. Nel 1928 tiene una personale alla Biennale di Venezia. Nel 1929 partecipa anche alla II mostra del Novecento italiano tenuta al Palazzo della Permanente di Milano e in seguito a diverse esposizioni del gruppo all'estero senza però mai aderire espressamente al movimento.
Nel 1928 la Biennale veneziana gli dedica una sala. Negli anni tra il 1927 e il 1930 Carrà studia soprattutto il rapporto paesaggio-figura in una serie di vaste «Composizioni»
. Nel 1931 gli viene conferito il secondo premio per la pittura alla I Quadriennale romana, dove è presente con una sala personale. Il 1932 lo vede impegnato a tenere conferenze sull'arte italiana in Germania, in Austria e in Cecoslovacchia.
Nel 1933 dipinge per la VI Triennale di Milano la grande decorazione a tempera su muro L'Italia romana (oggi distrutta).
Nel 1935 tiene una mostra personale alla Galleria il Milione.
Nel 1938 partecipa alla decorazione del Palazzo di Giustizia di Milano con gli affreschi Giustiniano libera lo schiavo e II giudizio universale per la II e III Sezione civile della Corte d'appello (ricoperti con tele di juta nel 1942 per ordine delle autorità poiché privi di riferimenti al regime fascista e riscoperti nel 1945).
Dal 1941 insegna pittura all'Accademia di Brera. Nel 1942 viene allestita un'antologica nelle sale della Pinacoteca di Brera. Nel 1943 viene pubblicata da Longanesi l'autobiografia dal titolo La mia vita.
La ricerca di Carrà ha sempre trovato nel disegno una tecnica incomparabilmente sintetica per svolgere e sviluppare la propria indagine ' sulla forma come elemento fondamentale dell'immagine, ma soprattutto dal 1943 si dedica anche all'attività di illustratore.
In seguito ai bombardamenti su Milano si rifugia a Corenno Plinto, sul lago di Como. Terminata la guerra rientra nel capoluogo lombardo.
Nel 1948 partecipa, alla XXIV Biennale di Venezia nel contesto della mostra di pittura metafisica che espone alcune sue opere eseguite tra i 1910 e il 1920, insieme a quelle coeve di Morandi e di de Chirico. Prosegue le collaborazioni come critico d'arte collaborando a «Milano Sera» e a «Omnibus».
Nel 1950 è invitato con una sala alla XXV Biennale di Venezia, dove gli viene assegnato il Gran Premio per la pittura italiana. Nel 1956 la VII Quadriennale romana gli dedica una personale;
Del 1962 è la grande mostra retrospettiva a Palazzo Reale di Milano.
Carrà muore a Milano il 13 aprile 1966 in seguito a una breve malattia polmonare.
(EL)
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