Ossena e i millenni
Francofonte
Mercoledì 19 Marzo 2008 17:44
E’ paradossale come una delle regioni più povere d’Italia sia anche una delle più ricche di patrimonio storico-archeologico, ed è a sua volta paradossale come una delle province più dense di siti antichi sia anche una delle meno curate sotto questo aspetto. La Sicilia, ed in particolare la provincia di Siracusa, offrono come in un libro aperto, ricche pagine di storia, molte delle quali non ancora sfogliate e dove la ricchezza dei contenuti è tale da non lasciarci di certo indifferenti man mano che ci si addentra ad esplorare. Una tale quantità di siti storici diviene però un’arma a doppio taglio, almeno in Sicilia, poiché da un lato è una grandissima risorsa per il territorio sia sotto il profilo culturale, sia sotto il profilo documentativo, dall’altro diviene un grosso problema in quanto non si ha materialmente la possibilità di gestire e curare tutti i siti. La quantità di denaro per finanziare gli scavi anche di siti minori sarebbe troppo elevata da sostenere, pertanto oltre il 90% di essi si trova nell’abbandono più totale. Questa è una triste storia di cui siamo già consci e la colpa dei poteri forti e di un certo tipo di mentalità contribuisce ulteriormente nell'impedire uno sviluppo nella giusta direzione, anche per dare un principio graduale alla salvaguardia dei nostri più preziosi tesori.
Tutta questa premessa ha lo scopo di introdurre uno dei luoghi più rappresentativi di questo abbandono dove la ricchezza storica e le sovrapposizioni culturali in una sorprendente continuità millenaria possono lasciare sbigottiti anche in una semplice e spassionata ricognizione.
Quando pianificammo un’escursione dalle parti delle vallate del fiume Ossena, nel comune di Francofonte, non immaginavamo nemmeno ciò che avremmo effettivamente trovato; il nostro obiettivo primario era la visita ai resti di un remoto castello che sorgeva isolato lungo uno sperone di roccia del quale attualmente non esistono indagini archeologiche in grado di fornire datazioni certe. Era quindi interessante recarsi sul posto per valutare di presenza delle restanti strutture da sempre scarsamente descritte e valutate da una scarna letteratura.
Lungo il percorso della strada interpoderale per raggiungere il monte su cui sorgeva il castello, ci imbattemmo però in qualcosa di inaspettato e diverso. Dalle rocce affioranti del fianco della valle scorgemmo gli indubbi segni di tombe scavate nel bianco calcare che ad un esame ravvicinato valutammo essere sepolture del bronzo antico di tipo castellucciano, molte di queste tombe, infatti, possedevano gli inconfondibili prospetti monumentali a finti pilastri oltre ad avere una suddivisone a doppia camera. Ma alcune di esse al contrario mostravano sorprendenti variazioni con serie di cornici in bassorilievo concentriche mai viste prima d’ora! L’esplorazione continuò ed insieme a queste sepolture ne distinguemmo altre che sembravano essere più recenti, forse della tarda età del bronzo o l’inizio dell’età del ferro. La quantità di ceramica sparsa era notevole così come la presenza di levigate macine basaltiche.
Proseguendo nel cammino e guadando il torrente Ossena, iniziammo la scalata sul monte per raggiungere il castello. Già nei fianchi della vallata i nostri occhi non poterono fare a meno di notare un’enorme quantità di ceramica, in particolare protomaioliche medievali e tardo medievali con la sorpresa che ad una certa quota, lungo i costoni di roccia calcarea, la ceramica medievale era mista a ceramica preistorica castellucciana, dipinta con bande brune su fondo rosso, a ceramica protocorizia a bande rosse e a ceramica attica nera. Era difficile credere che sotto i nostri piedi avevamo la testimonianza di una continuità storica che percorreva più tremila anni, segno che ci trovavamo in un sito che fino all’epoca medievale era stato sicuramente un luogo importante ed ampiamente frequentato. Credo che in pochi siti si possa avere un tale portento e solo in coloro in cui la sensibilità storica è ampiamente radicata si ha la capacità di percepire quella sottile e particolare emozione che solo i millenni del tempo possono recare; pertanto lo stupore generato dalla facilità nell’osservare frammenti ceramici dipinti delle epoche più disparate, sbucare dal terriccio, aimè, non mi è possibile descriverlo.
Dopo l’accidentata risalita giungemmo finalmente al pianoro soprastante dove più avanti notammo dei ruderi consistenti. Tale pianoro recava sicuramente la presenza di un antico borgo, in quanto oltre all’immancabile ceramica qui prevalentemente medievale anche di un certo pregio, notammo numerosi blocchi squadrati sparsi un po’ dovunque, al contempo mucchi di terra e relative fosse denunciavano scavi di frodo più o meno recenti. I ruderi ben visibili erano ciò che restava di un’antichissima masseria del ‘600-‘700, costruita sopra la base di una torre medievale ben più antica la quale faceva parte della struttura del fortilizio militare di Ossena. Poco vicino si trovavano i resti di un arco costituente l’ingresso di un ipogeo nella roccia con una cisterna al suolo colma di detriti. Lungo l’asse del pianoro, a diverse decine di metri erano visibili i resti sparsi di mura e di ciò che rimaneva di una seconda torre a base quadrata con i lati lunghi una decina di metri e con un profondo cunicolo al proprio interno; i lati esterni di questa torre erano ricoperti interamente dai detriti di crollo tanto da farla apparire ad una certa distanza come un semplice terrapieno. La vegetazione purtroppo ricopriva tutto e non fu possibile avere maggiore chiarezza dell’impostazione di massima del castello; qua e là solo tracce di muri e di perimetri di ambienti forse interni, affioravano timidi, insieme a frammenti crollati e scivolati nel vallone adiacente.
Così come molte altre fortezze del Val di Noto, l’origine di queste strutture si perde nella notte dei tempi, osservando l’area attorno al promontorio spiccano lungo le pareti numerose grotte abitative utilizzate anche in tempi molto recenti ma probabilmente risalenti al periodo bizantino e arabo, il che ci porta a ben giustificare il 1093 d.C. con la prima data alla quale risale la prima citazione della presenza di un abitato con il toponimo di Essena. E’ molto probabile però che l’edificazione delle strutture difensive presenti debba risalire al periodo normanno, anche se non essendo mai state eseguite indagini archeologiche, non è possibile conoscere con precisione se tale valutazione sia corretta o meno. Le sole certezze di questo luogo nel tempo le si devono solo a citazioni posteriori che testimoniano la presenza di un casale che nel 1310 venne indicato come arx in riferimento alla natura militare della costruzione. Successivamente solo altre due date fanno menzione del casale di Ossena e precisamente il 1479 in cui viene indicato come feudum e il 1558 dal Fazello che la cita come rocca forse all’epoca ancora attiva. Dopo di che della fortezza e del borgo di Ossena se ne perde ogni traccia ed è possibile ipotizzare che essa sia incorsa nello stesso destino delle altre piccole fortificazioni che subirono il disfacimento e l’abbandono nel terremoto del 1693, così come è ipotizzabile anche un abbandono precedente a favore di feudi più protetti e meno isolati nei quali trovare una difesa più efficace o un migliore tenore di vita. Purtroppo mancano indagini archeologiche più precise e non sono mai stati effettuai saggi di scavo che avrebbero gettato un po’ di luce sulla cronologia dell’abitato.
Il misterioso castello di Ossena resta dunque li, isolato e dimenticato dalla storia senza alcuna salvaguardia e con se porta i molti misteri su quell’altopiano, un tempo densamente vissuto, dove ancora non abbiamo neanche iniziato a percorrere il lungo cammino della conoscenza e della scoperta.
Le foto presentate in questo reportage vogliono essere un ulteriore contributo alla conoscenza del luogo per sottolineare di non dimenticare l’importanza di luoghi anche meno blasonati in quanto possono aggiungere nuovi tasselli per la ricostruzione storica di questa terra. Le poche strutture visibili vengono immortalate con difficoltà dalla fotografia la quale a suo modo cerca di trasmettere la grande entità culturale dei millenni della sconosciuta Ossena.