Strage di Peteano
Franco Dongiovanni carabiniere Ferraro Antonio brigadiere Donato Poveromo carabiniere
http://www.storiain.net/arret/num67/artic1.asp
tratto da wikipedia
La strage di Peteano è un atto terroristico avvenuto il 31 maggio 1972 a Peteano, frazione della cittadina di Sagrado. in provincia di Gorizia. Fu compiuta dal reo confesso Vincenzo Vinciguerra e da Carlo Cicuttini, neofascisti aderenti ad Ordine Nuovo.
La strage, definita anche trappola di Peteano per le modalità con cui si svolse[senza fonte], provocò la morte di tre uomini dell'Arma dei Carabinieri: il brigadiere Antonio Ferraro di 31 anni e i carabinieri Donato Poveromo e Franco Dongiovanni di 33 e 23 anni. Rimasero gravemente feriti il tenente Angelo Tagliari e il brigadiere Giuseppe Zazzaro.
Il periodo in cui si svolse questo fatto di sangue si collocava in un preciso e delicato contesto storico-politico: il 7 maggio 1972 si erano svolte le elezioni politiche anticipate, che avevano assegnato la guida del paese ad un nuovo esecutivo presieduto da Giulio Andreotti; mentre il 17 maggio si verificò l'omicidio Calabresi. Il dibattito politico era ancora turbolento, ed era accompagnato da temuti tentativi di colpo di stato.
Diversi, prima di quella di Peteano, furono gli attentati terroristici di matrice sia rossa che nera che molto avevano fatto discutere e che avevano contribuito a creare un clima di netta tensione e apprensione nel paese, un primo passo verso quella che è stata in seguito definita strategia della tensione.
L'attentato
La notte del 31 maggio, alle ore 22.35, una telefonata anonima giunse al centralino del pronto intervento della Stazione dei Carabinieri di Gorizia: a riceverla e a registrarla fu il centralinista di turno Domenico La Malfa. Il testo della comunicazione in lingua dialettale è il seguente:
« Senta, vorrei dirle che xè una machina che la gà due busi sul parabreza. La xè una cinquecento bianca, visin la ferovia, sula strada per Savogna. »
La strada, che porta da Sagrado a Savogna, costeggia l'Isonzo: tranquilla e ombreggiata, è zona che frequentano i pescatori a caccia di anguille. Ma la sera del 31 maggio la strada è deserta: sul primo canale viene trasmessa la finale di Coppa Campioni, che si conclude con la vittoria dell’Ajax sull'Inter per due a zero (doppietta di Crujff).
Sul posto segnalato giunsero tre gazzelle dei carabinieri, che rinvennero la Fiat 500[link ambiguo] bianca con i due buchi sul parabrezza, così come aveva comunicato in dialetto l'anonimo informatore. La prima pattuglia che viene inviata è quella dei carabinieri di Gradisca, con l'appuntato Mango e il carabiniere Dongiovanni. Dieci minuti dopo i due sono sul posto e trovano la Cinquecento targata GO 45902. È visibile in un viottolo di terra battuta, subito dopo una curva, al chilometro 5. Mango decide di chiamare il suo ufficiale, il tenente Tagliari, che parte anche lui accompagnato dal brigadiere Antonio Ferraro e dal carabiniere Donato Poveromo e arrivano sul posto con una seconda gazzella alle 23.05, poi raggiunta da una terza pattuglia da Gorizia.
Tre carabinieri, Antonio Ferrero, Donato Poveromo e Franco Dongiovanni, tentarono di aprire il cofano del mezzo, provocando l'esplosione dell'auto e rimanendo uccisi, mentre altri due rimasero gravemente feriti.
Le indagini
A dirigere le indagini sulla vicenda venne posto il colonnello Dino Mingarelli, vecchio braccio destro del generale Giovanni De Lorenzo.
Mingarelli diresse subito la sua inchiesta verso gli ambienti di Lotta continua di Trento, ma le indagini non ottennero gli esiti previsti: dalla magistratura milanese giunse l'informazione secondo cui l'attentato sarebbe stato attuato da un gruppo terrorista neofascista, di cui fece parte anche Ivano Boccaccio, militante ucciso in un tentato dirottamento di un aereo all'aeroporto di Ronchi dei Legionari nell'ottobre successivo.
L'informazione era stata data da Giovanni Ventura, nel frattempo arrestato per la strage di Piazza Fontana: il colonnello tuttavia scartò l'indicazione milanese, in quanto un ordine del SID lo invitò a sospendere le indagini sul gruppo terrorista di estrema destra.[senza fonte]
Il colonnello, con il suo "braccio destro" capitano Antonino Chirico (come ricorda Gianni Barbacetto in Il Grande Vecchio), rivolse le attenzioni investigative verso sei giovani, conducendoli a processo: secondo il Mingarelli essi si sarebbero vendicati di alcuni sgarbi subiti dai carabinieri. Il movente proposto non convinse i giudici, che assolsero i sei giovani, i quali, una volta liberi, denunciarono Mingarelli per le false accuse, dando inizio ad un nuovo processo in cui risultava come maggiore indagato il colonnello stesso.
Da quest'ulteriore indagine emerse la colpevolezza di Mingarelli, condannato poi per falso materiale e ideologico e per soppressione di prove (condanna confermata in Cassazione nel 1992[3]) e altresì il reato di favoreggiamento aggravato dell'allora segretario dell'MSI Giorgio Almirante (poi amnistiato). Anche il generale Giovanbattista Palumbo, comandante della divisione Pastrengo di Milano, aveva partecipato al depistaggio per attribuire l'attentato ai gruppi di estrema sinistra.[3]
Il processo per la Strage di Peteano
Per approfondire, vedi le voci Vincenzo Vinciguerra, Giorgio Almirante e Strategia della tensione.
Il processo per favoreggiamento
In seguito alle indagini sulla Strage di Peteano, il terrorista neofascista Vincenzo Vinciguerra - reo confesso per la strage -rivelò nel 1982 come il segretario del MSI Giorgio Almirante avesse fatto pervenire la somma di 35.000 dollari a Cicuttini, dirigente del MSI friulano e coautore della strage, affinché modificasse la sua voce durante la sua latitanza in Spagna mediante un apposito intervento alle corde vocali[4][5][6]: tale intervento si rendeva necessario poiché Cicuttini, oltre ad aver collocato materialmente la bomba assieme a Vinciguerra, si era reso autore della telefonata che aveva attirato in trappola i carabinieri e la sua voce era stata identificata mediante successivo confronto con la registrazione di un comizio del MSI da lui tenuto.
Nel giugno del 1986, a seguito dell'emersione dei documenti che provavano il passaggio del denaro tramite una banca di Lugano, il Banco di Bilbao ed il Banco Atlantico[5], Giorgio Almirante e l'avvocato goriziano Eno Pascoli vennero rinviati a giudizio per il reato di favoreggiamento aggravato verso i due terroristi neofascisti.[7] Pascoli verrà condannato per il fatto; Almirante invece, dopo un'iniziale condanna[8], si fece più volte scudo dell'immunità parlamentare, all'epoca ancora riconosciuta a deputati e senatori[9], anche per sottrarsi agli interrogatori[10] fin quando si avvalse di un'amnistia grazie alla quale uscì definitivamente dal processo[5][11], nonostante la legge ne prevedesse già da molti anni la rinunciabilità proprio al fine di tutelare il diritto dell'imputato all'accertamento dei fatti.[12]
Cicuttini, fuggito in Spagna, venne catturato a ventisei anni dalla strage, nell'aprile del 1998, quando fu vittima egli stesso di una trappola: la procura di Venezia gli fece offrire un lavoro a Tolosa dove, recatosi convinto di intraprendere le trattative contrattuali, venne arrestato dalla polizia ed estradato dalla Francia.
Attualmente Vincenzo Vinciguerra sta scontando una condanna all'ergastolo in qualità di reo confesso della strage.