D'Arminio Gerardo maresciallo
maresciallo GERARDO D'ARMINIO
Medaglia d'argento al valor Militare alla memoria
con la seguente motivazione
Il maresciallo Gerardo D'Arminio sta indagando sui legami della malavita campana-sicula-calabrese. Già distintosi in alcune rischiose operazioni di servizio nella lotta contro la mafia, tanto da meritare una promozione per benemerenza d'istituto, è impegnato in complesse indagini su associazioni criminali che operano nel napoletano. Il coraggio, la tenacia e l'intelligenza del militare dell'Arma nulla potranno contro i colpi di fucile che lo uccideranno in un'imboscata. Alla sua memoria verrà assegnata la medaglia d'argento al valor militare.
Ucciso ad Afragola (Na) il 5 gennaio 1976
STORIA
Tratto dal libro Al di Là della notte Storie di vittime innocenti della criminalità di Raffaele Sardo
Assassinato davanti al figlio di quattro anni
Partì giovane da Montecorvino. Lasciò le campagne e la vallata per arruolarsi nell'Arma a vent'anni. A ventidue era già vicebrigadiere. Il suo fascicolo personale è ricco di encomi solenni per aver partecipato a varie operazioni nelle città dove prestava servizio: Chieti, Isernia, i piccoli paesini della Sicilia e Palermo dove venne promosso maresciallo. Poi fu trasferito a Napoli e assegnato alla caserma dei carabinieri di San Giovanni a Teduccio. Siamo nel 1970, proprio nel periodo in cui c'è la lotta tra i siciliani e i marsigliesi per il controllo delle "vie del tabacco" dove passa anche la droga. Il maresciallo D'Arminio viene incaricato di dirigere il nucleo antidroga. Sequestra ingenti quantitativi di droga. Scopre il canale attraverso ilquale si importa eroina dal Perù passando da Francoforte e Milano. Arresta Antonio ammaturo, a capo della holding criminale che traffica in droga. Era anche la memoria storica delle vicende di criminalità. Si ricordava degli atti giudiziari di ogni delinquente. Delle sue alleanze, dei suoi crimini, delle inchieste in corso. Il maresciallo D'Arminio era un investigatore di razza, destinato ad una carriera importante all'interno dell'Arma.
"Erano da poco passate le nove di sera", riprende a raccontare Orsola. "Io e l'altra mia sorella eravamo a casa di Gerardo ad Afragola. Ci passavamo le festività natalizie. E spesso stavamo a casa sua per aiutare la moglie con i quattro figli piccoli. Con i bambini da accudire non era facile andare avanti. Quella sera mio fratello tornò tardi dal servizio, ma volle uscire comunque. Faceva di tutto per essere un buon padre, nonostante avesse un lavoro così impegnativo. Non erano ancora le nove e il negozio dove aveva scelto di andare, nella piazza principale del paese, era poco distante dalla casa in cui abitava. I negozi erano ancora aperti e affollati, come accade sempre il giorno prima della Befana. Verso le ventuno e quindici mentre stava facendo vedere la bicicletta al figlioletto, da una cinqucento gialla gli sparano con un fucile a canne mozze. Fu raggiunto da una scarica di otto pallettoni che gli si conficcarono tra il collo e la spalla. Il bambino era con lui, vide tutto. Vide il padre cadere con il corpo insanguinato. Vide la gente urlare e scappare. Carmine non capì subito cosa stava accadendo. Si sentì lasciare dalla mano del padre. Ebbe solo la forza di gridare "Papà, papà, non mi lasciare!". Mio fratello fu trasportato al Loreto Mare, ma vi giunse cadavere. In quella cinquecento c'erano tre giovani, appartenenti ai Moccia, Luigi, Antonio e Vincenzo": il clan sul quale il maresciallo D'Arminio aveva condotto indagini. Investigava da tempo sui rapporti tra clan siciliani e boss napoletani legati ai traffici internazionali di droga. "Eravamo in pena, perché alle undici di sera mio fratello non era ancora ritornato. La moglie cominciava a preoccuparsi. Mi chiedeva continuamente "Ma quando torna? Ha con sé anche il bambino. Cosa sarà accaduto?" Nessuno ci avvertì. La notizia della morte di mio fratello la sentimmo dalla televisione. Gerardo aveva condotto indagini delicate", dice ancora Orsola. "Era diventato maresciallo maggiore non per anzianità, ma per meriti acquisiti sul campo. Aveva avuto undici encomi. Mio fratello era uno che lottava contro la criminalità e che a detta di tutti quando c'era lui a comandare la stazione di AFragola i crimini erano diminuiti di parecchio. Era considerato un esperto di mafia perché era stato quattro anni a Palermo.
"Da allora 'è una famiglia distrutta. La primogenita di mio fratello, Giusy, è morta il 25 luglio del 2003. Aveva un male incurabile. La moglie Anna è deceduta a maggio 2009. La famiglia, in pratica, non c'è più. I figli non vogliono conservare niente che ricordi la morte del padre. Gli è mancato tanto e non riescono a colmare il vuoto che ha lasciato. E ora sembra che nessuno più se ne ricorda di quel maresciallo così attivo e così dedito all'Arma dei Carabinieri"