Bergia Ghiaffredo capitano - a-carabinierieroi

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Carabinieri Eroi
Vai ai contenuti

Bergia Ghiaffredo capitano

B

CAPITANO CHIAFFREDO BERGIA nato a  Paesana (Cuneo), Piemonte l'01 gennaio 1840 morto a Bari il 02 febbraio 1892

 
 
 

Medaglia  d'oro al valor Militare

Con la seguente motivazione:
Per l'intelligenza di cui dette prova nelle replicate perlustrazioni ed inseguimento di una banda di briganti, nonché per l'incontestabile valore spiegato nei due successivi combattimenti lottando corpo a corpo col famigerato capo banda D'Alena e col brigante Pomponio, i quali rimasero uccisi nel conflitto.
Bosco Dogliola e Furci (Chieti), 27 settembre e 2 ottobre 1870. Abruzzo
data concessione S.C. 15 febbraio 1871.

 
STORIA

Capitano dei Carabinieri (Paesana, Saluzzo, I' gennaio 1840 - Bari, 2 febbraio 1892).
Promosso carabiniere effettivo, venne destinato alla Stazione di Scanno (Legione di Chieti), dove si distinse per zelo ed ardimento, meritando la prima Medaglia d'Argento al Valor Militare nell'occasione del conflitto a fuoco avvenuto il 22 aprile 1863 contro la banda dei brigante Tamburrino. Promosso vice brigadiere il 1° agosto 1867, gli fu in pari data affidato il comando della Stazione di Campotosto, dove l'8 novembre 1867 compì altro gesto di valore catturando, dopo lungo inseguimento e violenta colluttazione, l'omicida Andrea Andriani. Per questo fatto il sottufficiale fu citato per la quinta volta nella circolare periodica dell'Arma. Venti giorni dopo, nel corso di una vasta battuta effettuata in zona boschiva dai carabinieri e seguita da scontro a fuoco contro tre briganti, il vice brigadiere Bergia affrontò in corpo a corpo uno di essi, riuscendo a tramortirlo con un sasso proprio quando stava per essere sopraffatto. Per tale operazione gli venne conferita la Medaglia di Bronzo al Valor Militare ed il comando legionale lo promosse al grado di brigadiere.

Una nuova occasione di emergere venne data a Bergia dall'apparizione fatta nel giugno del 1868 del brigante Palombieri, che si aggirava per le montagne di Teramo e dell'Aquila, spesso guidandovi le orde che, provenienti dal vicino stato Pontificio, effettuavano frequenti scorrerie. Il Bergia, il 17 di quel mese, comandando una pattuglia, riuscì a scovare il brigante e ad ucciderlo, dopo breve lotta, con una revolverata. Costui portava indosso una lettera con la quale invitava le bande del confine ad una invasione del comune di Fano per vendicarsi di diversi possidenti, e specialmente del sindaco. Per questo nuovo fatto, Bergia ebbe il petto fregiato della seconda Medaglia d'Argento al Valor Militare.

Nel 1870 lo troviamo di nuovo alla prese coi briganti. Le grosse bande erano state ormai distrutte, ma alcuni elementi, sfuggiti alla cattura, effettuavano rapide e funeste scorrerie, riportando il terrore tra le popolazioni.
Da circa 9 anni il fertile territorio che circonda la città di Vasto era teatro delle numerose rapine e dei frequenti delitti di una banda brigantesca, conosciuta col nome di Pomponio e che assumeva quello d'Alena nelle province dell'Aquila, di Campobasso e di Terra di Lavoro, dove pure estendeva le sue scorrerie. Per quanto assottigliata, essendo caduti parecchi dei suoi affiliati nelle mani della giustizia, non aveva ancora potuto essere distrutta completamente. I capi della banda erano Giuseppe Pomponio, autore di venti omicidi e di moltissime grassazioni, sul capo del quale pesava già una taglia di tremila lire, e Pasquale d'Atena soprannominato il Romano, famoso per atti di ferocia, tanto che il comune di Itri (Gaeta), sua patria, oltre al premio di tremila lire stabilito dal Governo, aveva deliberata una pensione vitalizia a favore di chi lo avesse catturato. I due erano seguiti da una giovane diciottenne, Filomena Soprano, amante di d' Alena, e da due altri non meno famosi criminali, Michelangiolo Pomponio, fratello di Giuseppe, e Bernardino Di Nardo.
Questa banda di malfattori il 12 settembre 1870 aveva catturato un ricco proprietario di Montazzoli, certo Gaetano Franceschelli, per il riscatto del quale aveva imposto alla famiglia una taglia di oltre sessantamila lire. Quantunque ne avessero già incassata buona parte, i briganti non avevano voluto restituire il prigioniero.

Diveniva perciò sempre più urgente provvedere coi mezzi più energici alla cattura dei malviventi.
Il comandante della Legione di Bari, nella quale era stato incorporato il territorio della disciolta Legione di Chieti, ordinò allora la formazione di una squadriglia di quattro carabinieri agli ordini del brigadiere Bergia, che chiese ed ottenne di fingere un trasferimento suo e dei suoi quattro dipendenti. Partirono così da Chieti, e percorsi i territori di Guardíagrele e di Orsogna, rasentando sempre le montagne e tenendosi lontani dalle strade battute per rimanere coperti e nascosti, in due giorni di marcia faticosa e piena di stenti, privi quasi del necessario vitale, riuscirono ad accamparsi nelle montagne di Liscia. Penetrati nell'intricato bosco di Palmoli, lo frugarono accuratamente senza risultato. L'incontro con due briganti della banda avvenne casualmente, di notte, nel bosco di Dogliola e diede luogo a nutrito scambio di colpi d'arma da fuoco, seguito dalla fuga precipitosa dei due banditi.
Nonostante la fitta oscurità e le asperità del suolo, i carabinieri si misero ad inseguirli, il Bergia avanti a tutti.

Egli aveva preso di mira uno dei due fuggitivi che, finalmente, estenuato, rallentò la corsa. E il Bergia gli scagliò contro il revolver, poi con un ultimo sforzo, lo raggiunse e gli assestò un colpo così forte con il calcio della sua carabina, che questa si ruppe in due pezzi. Il brigante cadde a terra e il Bergia gli fu subito sopra, e così stretti rotolarono insieme sui sassi del terreno. Divincolandosi rabbiosamente, quello era riuscito a trarsi dalla cintola un pugnale; ma la destrezza e il coraggio del brigadiere valsero a deviargli il braccio che egli teneva stretto colla mano.
Anche il Bergia era ormai esausto, quando sopraggiunse il carabiniere Corsi, che, assestato con la canna della sua carabina un terribile colpo sul capo del brigante, lo uccise.
Trasportato il cadavere a Dogliola, e di qui a San Buono, fu il giorno seguente riconosciuto per il d'Alena, uno dei capi della banda.
Ma era indispensabile che anche gli altri tre briganti fossero ritrovati, e a questo punto il capitano Sequi, che comandava i Carabinieri della provincia di Chieti, assunse personalmente la direzione dell'importante servizio.
Toccò al brigadiere Bergia ed al carabiniere Livio la sorte di fronteggiare i briganti Pomponio e Di Nardo, verso la mezzanotte del 1° ottobre 1870. Appostati in un vicolo angusto dell'abitato di Furci, essi aprirono il fuoco contro i due fuorilegge. Con un urlo feroce di rabbia e di dolore questi abbandonarono le armi, e si diedero alla fuga, correndo all'impazzata e passando davanti agli altri carabinieri, che li fecero bersaglio di numerosi colpi.

Non badando alle ferite, e con la forza della disperazione, seguirono la loro fuga sfrenata: ma, ad un chilometro il Di Nardo, esausto e sentendosi incalzato, si gettç in un burrone ove, piuttosto che cadere vivo nelle mani degl'inseguitori, col suo revolver si fracassò il cranio.
Il Pomponio poi, che continuava a scappare, raggiunto dal Bergia, sparò a bruciapelo contro il brigadiere quatto colpi del suo revolver. Illeso quasi per miracolo, il brigadiere gli fu addosso in un attimo, ed avendo l'arma scarica, afferratolo alla vita col braccio sinistro, e così tenendolo fermo, lo colpì coll'impugnatura dei revolver sulla testa. Ma il brigante, liberatosi dalla stretta, prese ancora di mira il sottufficiale, quando, a troncare la lotta, sopravvenne il carabiniere Pavan, che con un colpo di revolver lo finì.

La banda che per quasi dieci anni aveva terrorizzato quella popolazione venne così annientata ed il Bergia si adoperò nei giorni successivi nella ricerca dei manutengoli, riuscendo ad assicurarne alla giustizia ben quarantadue.

L'operazione gli valse il conferimento della Medaglia d'Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:
"Per l'intelligenza di cui dette prova nelle replicate perlustrazioni ed inseguimento, nonché per l'incontestabile valore spiegato nei due successivi combattimenti lottando corpo a corpo col famigerato capo banda d' Alena e col brigante Pomponio, i quali rimasero uccisi nel conflitto. - Bosco Dogliola e Furci (Chieti), 27 settembre - 2 ottobre 1870'

Allo stesso fatto d'armi va riferita la seguente lettera del brigadiere Bergia:
"San Buono, 6 novembre 1870. Al sig. Comandante l'Arma del Circondario. Prevengo la S. V. Illustrissima che oggi stesso, porgendo i miti ringraziamenti ai componenti la Giunta municipale di Lentella, ho pregato il Sindaco a volersi compiacere distribuire le lire 50, accordatemi per la distruzione della banda Pomponio, nel seguente modo: ai poveri di quel Comune, L 20; ai danneggiati dal terremoto nella Calabria, L. 10; all'asilo infantile di Chieti, L 10; all'Istituto delle figlie dei militari Torino, L. 10. Il comandante della stazione, Bergia".

Con l' eliminazione della banda Pomponio non erano comunque terminate le operazioni contro i residui del brigantaggio.

Nella provincia dell'Aquila scorrazzava ancora altra feroce banda, capeggiata da Croce Di Tola. Dal comando della Legione di Bari fu ordinata la costituzione di altra squadriglia, composta di tre carabinieri agli ordini dei Bergia. Nel corso di varie settimane questi militari dell'Arma svolsero una sfibrante attività di ricerca dei banditi, ma le loro dure fatiche trovarono finalmente compenso nel pomeriggio del 29 luglio 1871. La squadriglia, esausta, si era appena rifugiata in una capanna per concedersi un po' di riposo, allorché fu raggiunta da due pastori che segnalarono trafelati la presenza della banda Di Tola, appostata tra i macigni che circondavano la capanna, costruita a ridosso di un'altura. Lasciar cadere la sera sarebbe stato imprudente, per cui il Bergia dispose che uno per volta i militari uscissero di corsa dal rifugio per ripararsi dietro un vicino muretto. Egli diede l'esempio e la squadriglia poté così rispondere alla fucileria dei fuorilegge. Trasferitisi con successivo balzo ad un'altura meglio protetta, i militari dell'Arma, con la loro audacia e con il fuoco delle loro armi, ingenerarono il timore nei banditi, che, vistisi poco dopo attaccati, abbandonarono la loro posizione per darsi alla fuga. Nel corso del lungo inseguimento cadde ferito il capo banda Di Tola, che venne immediatamente catturato.

A seguito dell'operazione venne conferita la Medaglia d'Argento al V.M. a ciascuno dei tre carabinieri, mentre il brigadiere Bergia fu insignito della Croce di Cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia (oggi Ordine Militare d'Italia). con la seguente motivazione:
"Per l'ardimento ed il coraggio di cui diede novella prova in occasione in cui, assediato in tenimento di Barrea (Sulmona) addì 29 luglio 1871, unitamente a tre suoi dipendenti, da una banda di briganti in una casa dove eransi momentaneamente fermati, dopo un vivo combattimento sostenuto passando dalla difensiva all'offensiva, riuscì a catturare il capo di quella masnada famoso per ferocia e per scelleraggine. - Barrea (Sulmona), 29 luglio 1871".

Braccati dai militari dell'Arma, pochi giorni dopo si costituirono due pericolosi componenti della banda Di Tola, il Patella ed il Cellini. Restava alla macchia il brigante Angelo Dei Gozzo, il più feroce tra i superstiti della stessa banda. La sera del 7 ottobre 1871, il brigadiere Bergia e quattro suoi carabinieri, travestiti da contadini, giunti al limite del bosco chiamato Guado dell'Orso, si divisero in due gruppi. Seguito dai carabinieri Fragale e Verdelli, il sottufficiale s'inoltrò nel folto della vegetazione, riuscendo finalmente a scontrarsi con il temibile bandito che venne ucciso. Per tale risultato al brigadiere Bergia venne concessa la terza Medaglia d'Argento al V.M.

A riconoscimento della sua opera per la liberazione della provincia dell'Aquila dai briganti, nel dicembre 1871 il Bergia venne promosso maresciallo dal Comitato dell'Arma (oggi Comando Generale), che accompagnò la determinazione con speciale ordine del giorno a tutte le Legioni dipendenti. Tra le tante manifestazioni di gratitudine indirizzate a Chiaffredo Bergia dalle popolazioni e dai comuni emerge la seguente:

"MUNICIPIO DI SCANNO. Seduta del 7 agosto 1871. La Giunta municipale, legalmente riunita ( .. ). Udita la relazione del Presidente sulla presa del capo brigante Croce Di Tola, avvenuta mercé la bravura del sig. Bergia Chiaffredo, brigadiere dei Reali Carabinieri; considerato dai fatti esposti che la presa del Di Tola avvenne con evidentissimo pericolo della vita del sig. Brigadiere e dei militari dell'Arma che lo seguivano; poiché ogni atto che sa di eroismo, e tale è quello in esame, merita di essere scritto ad eterna memoria dei presenti e dei futuri; poiché il cimentare la vita per l'ordine e la sicurezza pubblica è opera la più nobile e santa; interprete dei sentimenti dei propri amministrati DELIBERA: 1) che sia domandata al sig. Sotto Prefetto la facoltà di riunire straordinariamente questo Consiglio comunale all'oggetto di conferire la cittadinanza scannese al brigadiere sig. Bergia Chiaffredo (..) ".

Il Consiglio comunale si riunì il 23 ottobre successivo per "dichiarare e nominare cittadino di Scanno il brig. Bergia".

Trasferito nel territorio di Roma, il maresciallo Bergia ebbe a meritarsi nel settembre 1872 la seconda Medaglia di Bronzo al V.M.

Passato nel 1877 alla Legione di Milano, venne promosso al grado di maresciallo maggiore. E poiché egli non aveva mai trascurato di coltivare la propria istruzione, nel 1880 venne nominato sottotenente. Promosso tenente nel 1883, nel dicembre 1891 fece ritorno con il grado di capitano alla Legione di Bari, nei territori che erano stati campo delle sue gesta.

All'atto della sua morte, avvenuta il 2 febbraio 1892 a soli 52 anni, il capitano Chiaffredo Bergia era insignito della Croce di Cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia, di una Medaglia d'Oro al Valor Militare, di tre Medaglie d'Argento e due di Bronzo al Valor Militare. Nel suo stato di servizio figuravano una promozione per meriti speciali, 13 Menzioni Onorevoli e numerosi Encomi.
Nell'Esercito italiano era l'ufficiale più decorato al valore.

Il 15 luglio 1914, centenario dell'Arma dei Carabinieri, venne inaugurato in Bari - sede della Legione alle cui dipendenze il Bergia aveva dato inizio alle sue memorabili imprese e città nella quale morì - un monumento situato a ridosso della Cattedrale della necropoli. Il monumento è opera dello scultore Mario Sabatelli. Insigne per il suo concetto ideale, l'opera del Sabatelli rivela nella finezza e nella pastosità delle linee il vigore di un'ispirazione che ne fa anche la sintesi epica dell'Arma alla quale Bergia appartenne.

Al nome del capitano Chiaffredo Bergia sono intitolate numerose caserme dell'Arma.

Notevole è la bibliografia esistente sulla sua vita e sulle sue gesta.


Torna ai contenuti