Stemmario
SIRACUSA
DAL MITO ALLA STORIA
DALLE ARMI DI DOMINIO AL GONFALONE
IL MITO
Il senso religioso è stato sempre presente nell’uomo, ieri come oggi.
Mito e Storia, Dei e Santi, Olimpo e Paradiso, Magia e Miracoli.
L’uomo non può sottrarsi al divino.
Oggi invoca i Santi del Paradiso. Ieri parlava con gli Dei del Parnaso, ma questi avevano sembianze e passioni umane: amore, odio, gelosia e quindi premi, castighi, vendette, trasmutazioni.
Da qui inizia il viaggio nella mitologia per terminare nelle isole delle quaglie.
La dea Latona porta in grembo due figli di Giove. Giunone, sorella gelosa, non ancora moglie di Giove, ordina che essa possa partorire solo sulla terraferma e comanda al serpente Pitone di impedirle di approdare. Latona disperata si rifugia su un pezzo malfermo di terra, staccata col tridente da Nettuno, che chiamò Ortigia, isola delle quaglie ancorandola al fondo del mare con catene di diamanti, la fece emergere fra le spume inondata di luce cui diede il nome di DELO “ il visibile”. E così Latona partorisce due gemelli: Artemide-Diana che nasce prima e aiuta la madre a dare alla luce il fratello Apollo.
Ortigia di Siracusa, germana di Delo, ebbe un bosco sacro dedicato a Diana, una grande statua di marmo e custodisce le vestigia del più antico edificio templare dorico lapideo dell'Occidente greco: il tempio di Apollo. Cicerone lo attribuì ai due divini fratelli Apollo e Artemide e affermò che Ortigia tutta, come cantò Pindaro, fu consacrata a Diana chiamandola “Suo Seggio e Residenza”.
Ed ecco la magia: Ortigia realizza il mito di Aretusa e di Alfeo, voluto dai conquistatori per creare un legame con la madrepatria lontana, mettendo in ombra Apollo e Artemide, i veri "numi genitori" di Ortigia dai quali, oltre che al nome, ebbe maggior fama nel mondo.
Che almeno oggi "l'isola di Ortigia" sia riscattata dai suoi abitanti promuovendo un gemellaggio con "l'isola di Delo", se non altro per acquietare l'ira degli dei dimenticati.
Michelangelo Blanco
DALLA MONETA ALLO STEMMA
Greci e Romani impressero nelle loro monete emblemi ed insegne: le tante divinità, rappresentanti della fauna marina o terrestre e soprattutto aquile.
L'Aquila che compare nelle monete antiche, connota nei secoli la città di Siracusa arrivando fino ai giorni nostri.
Altri simboli furono impressi nelle successive monete, fino a quando verso il 287 a.C. nel tempo di Agatocle, fu coniata una moneta col simbolo dell'aquila nera al volo destro spiegato e al sinistro semispiegato tenente tra gli artigli un fulmine e con la leggenda SIRAKOSION. (foto 1)
I Romani, successivamente, sostituirono nelle monete l'aquila nera con quella dorata.
Il blasone della città, quindi, abbraccia due epoche: la classica e la cristiana.
Come ci ricorda il Can. Ottavio Garana, fino alla prima metà del secolo XIX si credeva che gli stemmi fossero di origine remotissima e che gli antichi ne avessero fatto uso. Ma gli stemmi veri e propri, che rappresentano la nobiltà di una casata o di una città non risalgono oltre il secolo XII.
Il gesuita P. Ménestrier sostiene che il blasone ebbe origine dai tornei nei quali i cavalieri si presentavano per far esaminare le proprie armi e i propri titoli che portavano ben visibili sugli scudi e le gualdrappe dei cavalli per essere facilmente individuati.
Per tutto il Medioevo e fino al secolo XV l'Aquila rimane il simbolo di Siracusa. Bruno d’Aragona sottolinea che dal sec.XI al XV, l’Aquila è la sola arma civica di Siracusa, e che, come "Regina dei Volatili", monocipite e di nero, viene usata, ad un tempo dai Sovrani di Sicilia: svevi (1195-1266), aragonesi-siciliani (1282-1410) e bisiciliani (Napoli e Sicilia 1412-1442-1516) e da tutte le altre case consanguinee e regnanti sino a quella dei Borbone delle Due Sicilie (1734-1860) e anche del Re di Spagna, cioè negli stemmi di dominio che si possono ammirare prevalentemente al Museo Bellomo di Siracusa.
Lo storico Serafino Privitera, nella sua “Storia di Siracusa Antica e Moderna” narra che la città essendo venuta in potere degli Svevi (1194), ebbe da Enrico VI la concessione di aggiungere alle armi sveve della sua bandiera l'aquila che tiene il fulmine, stemma antichissimo della città.
Federico II, poi, sciolta la città da ogni vassallaggio feudale, la riunì alla Corona e le concesse la rappresentanza nei Parlamenti dichiarandola nel 1234 città « Fedelissima ».
Nel quattrocento, dopo un lungo dominio dell'Aquila sola, compare lo stemma con la torre merlata. Cronologicamente il primo esempio del nuovo stemma è quello scolpito nel pavimento marmoreo della Cattedrale che rappresenta un castello merlato sormontato da una torre. (foto 2)
Quanto alla comparsa del Castello merlato l’Ardizzone avanza l'ipotesi che i Siracusani abbiano ottenuto l'emblema della torre per aver difeso al tempo dell'anarchia baronale, la regina Bianca di Navarra, vedova di Martino II, assediata nel Castello Marieth dall'ambizioso conte di Modica, Bernardo Cabrera. I cittadini l’aiutarono perché amavano la stessa e deploravano lo smodato desiderio di potere del Cabrera e accorsi in quella occasione, nel 1410, a sbaragliare i partigiani del Cabrera, non erano gran che soddisfatti della Camera Reginale, ritenuta una molestia e un danno, ed erano diffidenti verso la Sovrana tanto che essa per tenerli buoni il 18 maggio 1415 promette loro « di farili in omnibus ben trattari cum bona paci ».
Più convincente sembra l'ipotesi prospettata dal Privitera che « l'Aquila nera ornata di turrita colonna con ai piè il fulmine e di sotto le iniziali S.P.Q.S. (Senatus Populusque Syracusanus) » avesse in petto il Castello « forse per significare la dinastia Castigliana ».
A proposito della torre, fin dai tempi passati corre il detto popolare: i Siracusani difesero una torre ed ebbero in premio una torre.
L'emblema, con piccolissime varianti, lo si ritrova in altre opere: nel portale marmoreo della chiesa di S. Maria dei Miracoli eretta nel 1501, in una lastra marmorea del '500 conservata a Palazzo Bellomo, nella Fontana degli Schiavi accanto alla data del 1571, come descrive S.L.Agnello.(foto3)
Analizzando i vari periodi storici che hanno determinato nel corso dei secoli il passaggio da un emblema all'altro, il Garana fa notare che: “ In un rarissimo opuscolo, stampato nel 1714 il Sac. Nicolò Pagano, che aveva ricevuto l'incarico dal Senato, descrivendo l'acclamazione di Vittorio Amedeo, parla ripetutamente di torre. Su di un dossello in Cattedrale, egli scrive, c'era l'Aquila del nuovo re « e un'altra Aquila con in petto la Torre, insegna di Siracusa ». Il testo dello storico dimostra ch'era già avvenuta la sovrapposizione dei due stemmi: quello antico, l'aquila, e quello quattrocentesco, la torre.
Si può stabilire un « terminus a quo » di questa ultima vicenda: il 1620. In quell'anno fu portata a termine la cassa argentea del simulacro di S. Lucia.
Questa cassa, detta popolarmente « vara », grava su quattro aquile colle mezze ali spiegate, caricate sul petto da uno scudo con la Torre, stringenti fulmini con gli artigli, cinte la testa di corona turrita”.
La corona turrita, sostituita a quella baronale, come si evince dagli Annali del Gaetani, ricorda l'evento verificatosi il 30 novembre 1536 quando il governo politico e militare della Città fu affidato ad un Capitan d'Arme, carica che durò poi fino al 1679, quando il Viceré D. Francesco Bonavides dichiarò Siracusa Piazza d'Armi.
Ornella Fazzina
LO STEMMA E SANTA LUCIA
La storia dello stemma di Siracusa può essere narrata anche attraverso il mondo delle arti decorative ed uno tra gli studi più significativi sull’oreficeria siciliana è stato affrontato da Maria Accascina la quale ha dimostrato con metodo scientifico come il patrimonio della Sicilia inerente l’area dell’oreficeria e dell’argenteria è stato davvero vasto e le arti decorative hanno rappresentato una preziosa testimonianza per l’analisi delle vicende storiche.
Nella recente pubblicazione di Dario Bottaro “Santa Lucia. Sacro e prezioso, il corredo del simulacro di Santa Lucia a Siracusa”, l’autore asserisce che gli studi e i documenti pubblicati da Giuseppe Agnello hanno portato la Accascina a convincersi dell'esistenza di una bulla siracusana secondo quanto tramandatoci dagli studi dello stesso: "Siracusa doveva già avere, fin dal secolo precedente [si riferisce al Quattrocento], un valoroso artigianato se, con diploma di Lodovico d'Aragona del 1345, viene ad esso affidato l'incarico di costruire una cassa d'argento, per riporvi le reliquie di S. Lucia, simile a quella fatta dai Catanesi per le reliquie di S. Agata".
La bulla aretusea non fu però sempre la stessa. La più antica riproduceva il vecchio stemma della città dove figurava un castello con torre al centro, mentre nel XVIII secolo abbiamo due tipi di bulla, la prima usata fino alla metà del secolo, l'altra nella seconda metà. La prima era costituita dallo stemma della città con prospetto a tre torri dove quellacentrale, più alta, era sormontata da una corona cui erano affiancate la data per intero e le iniziali del console. Nella seconda metà del secolo cambia lo stemma che adesso raffigura un'aquila con ala destra alzata e ala sinistra bassa, con zampe poggianti su fasci di fulmini. Affiancano il nuovo stemma cittadino la data per intero, e le iniziali del console seguite dalla lettera C. Sul finire del XVIII secolo, considerando l'ultimo trentennio, si apportano alcune modifiche: la data non è più incisa per intero, ma solo i due numeri finali preceduti dalle iniziali del console e spesso anche le iniziali dell'argentiere. Nel XIX secolo ancora qualche cambiamento: lo stemma della città propone l'aquila come fatto in passato, ma stringente i fulmini con gli artigli, la data per intero con le iniziali del console seguite dalla lettera C e le iniziali dell'argentiere”, come sostiene l’Accascina.
Riguardo il simulacro argenteo di S.Lucia, Marina Russo nel suo saggio afferma che “… la cassa, nella sua preziosità artistica, poggia su quattro aquile d'argento che recano lo stemma della città, chiaro simbolo della partecipazione del Senato alla realizzazione del simulacro”. (foto 4)
Riguardo alla catalogazione degli oggetti, che completano il simulacro argenteo, il libro di Bottaro ci ricorda che Giuseppe Agnello in modo dettagliato ci rende partecipi dello slancio e dell'amore che i siracusani durante i secoli hanno dimostrato verso la Santa Patrona, attraverso la loro descrizione.
La corona, la tazza e il pugnale sono l'omaggio del popolo alla Santa che il 6 gennaio 1784 liberò la città da un violento maremoto e dalla peste. Il pezzo più prezioso è sicuramente la corona dove sono presenti rubini, diamanti, ametiste, smeraldi e molte pietre dure tutti incastonati alla base della corona e nelle otto cuspidi che con slancio da essa si innalzano e che terminano, riducendosi, con forma lanceolata; la Russo osserva che in una sardonica è pure incisa una porta turrita, vecchio stemma della città.
Mariarosa Malesani
LO STEMMA CITTADINO
Nel Novecento, un esempio dello stemma della città lo troviamo nella Chiesa Parrocchiale di San Tommaso al Pantheon, Tempio dei caduti in guerra, per la quale l'Arcivescovo Mons. Carabelli pose la prima pietra il 20 giugno1926 e l'Arcivescovo Mons. Baranzini inaugurò e benedì il 13 agosto del 1937 alla presenza di Benito Mussolini.
In seguito, lo stemma della Città viene riconosciuto con D.M. 8 dicembre 1942 - XXI e trascritto nello Statuto Comunale e nel Libro Araldico degli enti morali.
ARMA: di verde all'aquila di nero, al volo destro spiegato e al sinistro semispiegato, imbeccata, unghiata e coronata d'oro, caricata sul petto da un castello d'oro, turrito-merlato e afferrante con gli artigli un fulmine d'oro posto in fascia.
SCUDO: sannitico, accollato, sotto la punta, a due rami fogliati uno di alloro (simbolo di vittoria e di gloria) e altro di quercia (simbolo di forza), decussati ed annodati alle estremità inferiori ed attraversati da un nastro azzurro, posto in fascia ed ornato dalle quattro lettere iniziali latine maiuscole e d'oro SENATUS POPULUSQUE SYRACUSANUS .
CORONA: cerchio d' oro aperto da otto pusterle cordonate sostenente otto torri, il tutto d'oro e murato di nero. (foto 5)
Mariarosa Malesani e Michelangelo Blanco. B.
ANEDDOTO
LA CROCE DI CONCI NEL CORTILE DI PALAZZO DEL SENATO. FINALITA’ E MISTERO
La doppia croce di conci nel cortile di palazzo del Senato.
Stemma della città o epigrafe?
Finalità e mistero. Invito alla ricerca.
Nel libro sui Vermexio, Giuseppe Agnello scrive testualmente: "degli impegni assunti (si riferisce all'artista Gregorio Tedeschi, che aveva avuta il 17 ottobre del 1633 e morto improvvisamente l'anno dopo, oltre alla committenza di scolpire le sette statue dei re di Spagna da collocarsi nelle nicchie del palazzo del Senato, anche quella di intagliare in marmo bianco le armi della città ) lo scultore ne portava a compimento ben pochi: per il Palazzo Senatorio aveva ultimato la grande aquila reale, le armi della città, poste in situ, ad eccezione di uno stemma, giacente ancora nella sua casa."
Ma nell'atto del Notaio Giacomo Masò, die 17 octobris, 2° ind. 1633, si legge:
… qui fuit facta infrascripta capitulazio … nobis prefatus Grecorius Tedeschi panormitanus … et più detto stagliante (oltre agli stemmi ed alle statue dei sette re di Spagna da collocarsi nel prospetto del palazzo del Senato)… sarà obligato fare due tabelle lavorate scorniciate et scolpite bene et magistrevolmente… quale averà lo stagliante darle finite fra termine di mesi sei da hoggi …
Una è quella sotto lo stemma di Filippo IV con l'aquila bicipide, e l'altra? (foto 6)
Michelangelo Blanco.
Bibliografia
M.Accascina, I marchi delle argenterie e oreficerie siciliane, Bramante Editore, Busto Arsizio (Va) 1976.
G.Agnello, Siracusa nel medioevo e nel rinascimento, Salvatore Sciascia Editore, Sanciano Val di Pesa (Fi) 1964.
G.Agnello, Santa Lucia Vergine e Martire Siracusana,13 dicembre 304, Società tipografica Siracusa, Siracusa 1966.
M.Russo, La statua e la cassa di S.Lucia, in AA.VV.,Il barocco in Sicilia tra conoscenza e conservazione, M.Fagiolo e L.Trigilia (a cura di), Ediprint, Palermo 1987.
D.Bottaro, Santa Lucia. Sacro e prezioso, il corredo del simulacro di Santa Lucia a Siracusa, LetteraVentidue Edizioni, Siracusa 2010.
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Articolo pubblicato a pagina intera sulla SICILIA il 7 agosto 2010
a cura di: Ornella Fazzina, Mariarosa Malesani e Michelangelo Blanco