Romani - Storia

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Storia araldica monete
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Romani

Romani

Testo tratto da Siracusa 27 secoli di storia di Carlo Morrone Editore Maura Morrone

L'ASSEDIO DI SIRACUSA

Il console Marcello
(Roma Musei Capitolini)



A proteggere il "popolo di ladroni" fu inviato in Sicilia il console Appio Claudio, che riuscì a mettere in fuga Ierone II e i Cartaginesi che assediavano Messena(264a.C).
L'opera di romanizzazione della Sicilia fu ripresa l'anno successivo, quando le legioni romane, occupate Tauromenio (Taormina) e Catana, si portarono fin sotto le mura di Siracusa.
Ierone, per evitare guai peggiori, chiese ed ottenne la pace, dietro il pagamento di cento talenti e con l'impegno di rifornire l'esercito romano durante gli scontri con i Cartaginesi (Guerre Puniche).
Il duello tra Roma e Cartagine si svolse in tre riprese, per quasi 120 anni: dal 264 al 241 a.C.
Durante la prima guerra punica (264-241 a.C), Ierone mantenne rapporti amichevoli sia con Roma che con Cartagine e, non disturbato, potè dedicarsi alla fortificazione e all'abbellimento di Siracusa.
Morì nel 215 a.C., mentre Roma combatteva la sua seconda guerra punica. Con la morte dì Ierone II inizia il declino della potenza siracusana.
Per volere dell'estinto re, il regno passò al nipote quindicenne Jeronimo che governò con l'appoggio di quindici tutori. Divenuto adulto, questi licenziò tutti e sposò Pitio, un'ambigua cortigiana che, appoggiala dagli zii del marito, Adranodoro e Zoippo, portò Jeronimo alla rottura dell'alleanza con Roma.
Il nuovo ed inesperto re di Siracusa concluse un trattato di pace con i Cartaginesi, nonostante il pretore di Sicilia, Appio Claudio, gli avesse ricordato più volte i vecchi patti stipulati dallo zio con Roma.
Agli ambasciatori romani, che trattò molto freddamente, Jeronimo beffardamente chiese, fra l'altro, notizie sulla disfatta di Canne (a Canne i Romani avevano subito nel 216 a.C. una umiliante sconfitta ad opera dei Cartaginesi) e, molto ingenuamente, preparò 17.000 uomini per attaccare la potenza romana.
Fu ucciso prima che l'operazione potesse avere inizio.
Per la successione si accesero, a Siracusa, violente dispute e Roma, per rimettere ordine, spedì il console Marcello che, giunto nei pressi di Siracusa, fece subito sapere di essere lì pervenuto per portare ordine e libertà, non guerra, ma che comunque, se non avesse trovato collaborazione. sarebbe stato costretto ad usare la forza. Non gli pervennero segnali positivi dall'interno della città e fu l'assedio.
Marcello tentò più volte di aggirare o forzare le mura, ma la solidità degli impianti e la genialità dì Archimede che a ritmo impressionante costruiva ingegnose e micidiali macchine da guerra, convinsero il console romano che non era il caso di forzare i tempi e che la presa di Siracusa era solo questione di tempo: bisognava solo attendere.
Condusse la flotta nel porto grande della città ed accampò l'esercito nei pressi dell'Olimpeion.
Tra attacchi, tentativi e attese, trascorsero due anni e ne sarebbero trascorsi certamente altri, visto che Siracusa era abbondantemente rifornita dai Cartaginesi.
In una delle tre giornale di festa che annualmente si organizzavano a Siracusa in onore di Diana, i soldati romani riuscirono a scavalcare la torre Galearia (nei pressi di Scala Greca), irruppero nella Neapolis e si impossessarono della fortezza dell'Eurialo.
Gli abitanti di Tiche e di Akradina aprirono loro le porte, con la promessa che avrebbero avuta salva la vita, ma Martello non poté evitare il saccheggio. Poi la svolta: lo spagnolo Merico, interpretando il desiderio dì molti Siracusani che chiedevano il ritorno all'alleanza con Roma, e corrotto dalle promesse fattegli da Marcello, spalancò nottetempo le porte di Ortigia all'esercito romano che si riversò per le strade.
Nonostante fosse stato ordinato un saccheggio incruento e il rispetto delle abitazioni e del monumenti, la violenza dei soldati, che attendevano da due anni quel momento, venne fuori irrefrenabile e fu una strage. In quell'occasione fu ucciso lo stesso Archimede, pare per errore, non riconosciuto e non avendo nulla egli fatto per esserlo.
Quasi tulle le opere d'arte, che ornavano le strade e i palazzi di Siracusa, presero la strada di Roma, con il plauso dello stesso Cicerone che sottolineò come "(avrebbero degnamente ornato la nostra città".
Prima di lasciare la Sicilia, Marcello inferse ai Cartaginesi una pesante sconfitta, nei pressi di Imera (una zona sfortunata per i Punici, questa!) e, se avesse spinto più oltre la sua azione, avrebbe potuto allontanarli definitivamente dalla Sicilia, ma il console aveva troppa fretta di giungere a Roma, dove pensava si stesse organizzando il suo trionfo.
A Roma, però, Marcello trovò solo un'ovazione; il trionfo gli fu negato, proprio per avere lasciato a meta l'azione iniziata contro i Cartaginesi. In testa al corteo, che Marcello aveva organizzato, sfilava il traditore Merico, cinto di corona aurea e avvolto in uno sfavillante mantello.





LA SICILIA ROMANIZZATA
(212a.C-468d.C.)
Nauseati per come il console Marcello aveva gestito l'assedio e l'occupazione della città, i Siracusani presentarono al Senato Romano una formale e dettagliata denuncia, in seguito alla quale il console, temendo per la sua stessa vita, chiese ed ottenne di essere sostituito. Giunse da Roma, Marco Valerio Levino.
Il nuovo console elevò Siracusa a capitale della provincia e lavorò alacremente perchè la nobile città greca risorgesse e risanasse soprattutto le finanze compromesse dal lungo assedio.
Dal canto suo Roma completò la conquista dell'intera isola che fu governata da un Pretore (residente a Siracusa) e da due Questori (uno residente a Siracusa e l'altro a Lilibeo, l'odierna Marsala). Un Censore ogni cinque anni censiva la popolazione ed un Edile curava gli edifici pubblici, i templi, le mura della città e gli acquedotti.
Siracusa lentamente riprese i suoi traffici marittimi e terrestri ma non arriverà mai più alla prosperità goduta in epoca greca; Roma non era molto attenta ai problemi delle sue province lontane; la stessa riscossione dei tributi era affidata ai privati che agivano autonomamente, generando numerosi episodi di malcontento.
Per ben due volle i contadini tentarono di ribellarsi allo strapotere romano, nel 135 a.C. e nel 104 a.C., ma entrambe le rivolte furono sedate con spargimento di sangue.

L'EPOCA DI VERRE
I Pretori spediti in Sicilia pareva obbedissero ad un unico e comune istinto: la cupidigia; depredavano, intimidivano, impoverivano, uccidevano. Fra costoro certamente il posto d'onore spella a Verre che nel 77 a.C. raggiunse la Sicilia con tutta la famiglia ed uno stuolo di cortigiani e soldati.
Non esisteva oggetto di valore che non attirasse la sua attenzione: spogliò case ed edifici pubblici di ogni cosa: statue, monili, vasellame, argenteria, abiti. Mise le mani sui tesori dei templi, spogliò le statue di ogni oggetto che avesse un minimo di valore, portò via vasi di terracotta e di bronzo, quadri. Rovinò centinaia di cittadini benestanti con l'aiuto di censori che egli stesso nominava.
II malgoverno di Verre durò fino al 74 a.C. quando, per normale scadenza del mandato, fu sostituito da L. Metello al quale pervennero le lamentele sulla gestione di Verre: centinaia di Siracusani erano ancora chiusi nelle carceri per non avere potuto pagare o semplicemente per avere tentato di protestare.
Metello, diligentemente, trasmise le denunce a Roma, da dove, per una raccolta completa di dati e prove, furono inviati Marco Tullio Cicerone ed il fratello Lucio.
Impaurito, Verre sparì da Roma, prima ancora che venisse letta la sentenza. I Siciliani furono risarciti, ma delle opere d'arte sparite non si vide l'ombra.
I piccoli proprietari terrieri, irrimediabilmente rovinati, per pagare i debiti contratti in quegli anni, furono costretti a vendere le loro terre a ricchi forestieri che provenivano da Roma. Nacque il latifondo che porterà gran parte delle terre della Sicilia (già granaio di Roma) a restare incolte e mal sfruttate. Gli ex ricchi si dettero al banditismo nei folti boschi dell'isola.
A Roma Cicerone espose ogni cosa con la veemenza e la incisività universalmente riconosciutegli nelle Verrine. A proposito del tempio di Atena, racconta che era stato spogliato "fino a farlo sembrare devastato non da nemico in guerra ma da una banda di selvaggi pirati ".

SIRACUSA ROMANA
A Siracusa, per l'insediamento in Acradina di una colonia romana, per lunghi anni si parlò contemporaneamente il greco ed il latino, ma la romanizzazione del territorio avveniva lenta ed inesorabile.
Il Senato greco fu sostituito dal Collegio dei decurioni i cui membri erano tutti scelti fra i romani della colonia; il culto religioso fu romanizzato; sorsero numerosi edifici civili e religiosi, si modificarono quelli esistenti, rendendoli più conformi alle nuove esigenze: sorsero l'Anfiteatro, le Terme e il Ginnasio. Molti rimaneggiamenti del Teatro Greco, sono propri di questo periodo.
L'età dell'oro, come fu chiamata l'epoca di Ottaviano Augusto, fece sentire i suoi influssi anche e soprattutto in Sicilia, anche se non vi fu il ritorno all'antica floridezza.
Intanto il Cristianesimo andava diffondendosi anche in Sicilia, e a Siracusa sorse la prima chiesa cristiana d'Europa, quella voluta dal vescovo Marciano nel 39 d.C.
Nel 313 Costantino, emanando l'Editto di tolleranza, lasciò ognuno libero di pregare il proprio dio; a ritmo vertiginoso sorsero edifici per il culto cristiano in tutte le province evangelizzate dell'Impero: basiliche, battisteri e chiese di ogni dimensione proliferarono ovunque; antichi templi pagani divennero, con sostanziali modifiche, chiese per il nuovo culto.
A Siracusa, il vescovo Germano eresse tre basiliche: S. Pietro, S. Paolo (366) e S. Foca, nei pressi di Priolo(371).
Il vescovo Germano morirà esule sull'isola di Magnisi (vicino a S. Foca di Priolo), punito da Costanzo, figlio del grande Costantino, che, succeduto al padre, aveva ripreso la lotta contro i Cristiani.
Alla fine dell'Ottocento il vescovo Fiorenza rinvenne sotto i gradini dell'altare della basilica di S. Foca, ad un metro di profondità, un corpo, che attribuì a Germano, e che fece traslare in Cattedrale.
Ancora persecuzioni saranno promosse dal successore di Costante, Giuliano al quale i cristiani diedero il titolo di Apostata (rinnegatore).
Morendo in una spedizione contro i Persiani, Giuliano pare abbia esclamato: "Giudeo, hai vinto!": trionfava infatti il Cristianesimo, ma l'impero di Roma si avviava irrimediabilmente verso lo sfaldamento.



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