Borboni - Storia

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
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Borboni

Borboni

Concetta Sirena


siracusa sotto la mala signoria dei borboni Emanuele de benedictis

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BORBONI (1700 - 1713)


La dinastia dei Borboni- Angioini
Filippo IV (V di Spagna) 1700-1713
Filippo V, figlio di Luigi di Borbone e di Maria Anna di Baviera, ereditò le corone di Spagna e di Sicilia, quale nipote dì Maria Teresa, sorella del defunto re Carlo II.
Per effetto del trattalo di Ultecht (1713), tredici anni dopo, Filippo dovette cedere la Sicilia a Vittorio Amedeo di casa Savoia, mantenendo la corona iberica.
Sposò Maria Luisa Gabriella di Savoia in prime nozze e, successivamente, Elisabetta Farnese.

IL RITORNO DEI BORBONI (1734-1816

Dinastia Capetingia dei Borboni- Angioini



Carlo terzo di Spagna quarto di Sicilia





Carlo III di Spagna (IV di Sicilia 1734- 1759
Ferdinando III 1759 -1816


BORBONI


Carlo IV, occupata Palermo, pose l'assedio alle due irriducibili roccaforti austriache: Messina e Siracusa.
Nel 1735 proprio a Siracusa gli Austriaci attuarono un'incredibile tattica difensiva: perche non intralciasse le operazioni militari durante il bombardamento borbonico, l'intera popolazione fu evacuata: uomini, donne, vecchi e bambini furono trasferiti, a bordo di barche, sulle spiagge de "La Maddalena" e abbandonati.
Molti di questi sventurati furono accolti nei feudi dei baroni della zona, altri trovarono sistemazione presso amici e parenti nei paesi vicini. Fu permesso il soggiorno in città solo a tremila cittadini: quelli che dovevano garantire i servizi.
L'Orsini rifiutò l'ultimatum degli Spagnoli e sulla città si riversò una pioggia di bombe: strade, palazzi, chiese e monumenti vennero gravemente danneggiati.
Il comandante proseguì nella sua caparbia, quanto inutile resistenza, finchè, si narra, una bomba inesplosa piombò nella stanza in cui slava pranzando. Terrorizzato, fece voto a Santa Lucia: avrebbe aperto le porte della città agli assedianti, se fosse uscito incolume da quella stanza. La bomba non esplose e l'Orsini mantenne la promessa fatta (la bomba è oggi esposta nella cappella di Santa Lucia, in cattedrale).
Il 30 maggio dello stesso anno fecero il loro ingresso in città tutti i cittadini temporaneamente "esiliati", scortati dagli Spagnoli. Dopo 15 giorni, la guarnigione austriaca, salutata con tutti gli onori militari, lasciò la città a bordo delle stesse navi con le quali era giunta.
Nonostante i nuovi ospiti avessero promesso il rispetto di tutti i privilegi che la città si era guadagnala, non si dimostrarono tanto diversi dagli altri invasori: imposero tasse straordinarie per le fortificazioni, per la corte, per l'edilizia militare e per quella civile.
I monasteri e le chiese dovettero vendere i paramenti, le doti e le opere d'arte che custodivano, per potere fare fronte alle imposizioni borboniche e, soprattutto, per salvare le campane di bronzo che altrimenti avrebbero dovuto essere consegnate alle autorità militari. Tuttavia, in questa atmosfera rifiorirono le arti, le lettere e si sviluppò il culto del la ricerca archeologica; durante l'assedio, i Borboni avevano scavato, a partire dalla zona dei Cappuccini via via verso Santa Panagia e la zona del Teracate fino al porto grande, profonde trincee dalle quali erano venuti fuori reperti archeologici di ogni epoca. Su questi piccoli e grandi oggetti condussero minuziosi studi il Landolina, il Logoteta, il Capodieci, l' Avolio: ricercatori che spesso eseguivano gli scavi a proprie spese. Le opere raccolte, in un primo tempo vennero esposte in musei privati e poi, catalogate e restaurate, sistemate nel musco archeologico della città.
Quando nel 1759 Carlo divenne re di Spagna, lasciò il Regno delle Due Sicilie al figlio Ferdinando di appena nove anni, assistito da un Consiglio di Otto.

IL REGNO DELLE DUE SICILIE DOPO LA RIVOLUZIONE FRANCESE

Dinastia Capetingia dei Borboni-Angioini





FERDINANDO I (già III) 1816 - 1825
FRANCESCO I 1825 - 1830
FERDINANDO II 1830 - 1859
FRANCESCO II (Franceschiello) 1859- 1860

Con la rivoluzione francese l'assetto politico dell'Europa andò rapidamente modificandosi, e gli eventi per il Regno delle Due Sicilie precipitarono al punto che, nel 1798, re Ferdinando dovette abbandonare Napoli e rifugiarsi in Sicilia con tutto l'esercito.
A Siracusa la folla accolse festante il corteo reale fin da Scala Greca: e lo scortò fino al palazzo Beneventano dì piazza Duomo, dove il re fu ospitato.
L'Europa in guerra e la naturale posizione della Sicilia, resero l'isola tappa obbligata per le flotte che si spostavano nel Mediterraneo; il porto di Siracusa si trovò quotidianamente gremito di navi di ogni nazionalità: transitavano e sostavano per rifornirsi di acqua e di generi alimentari.
La banchina del porto era, giorno e notte, affollata di soldati di varie nazionalità alla ricerca di merce di ogni genere e, in questo periodo, molti Siracusani si arricchirono. Nel 1798 anche la fiotta dell'ammiraglio Orazio Nelson, che inseguiva quella di Napoleone, calò le ancore nel porto aretuseo.
Nel 1802 Ferdinando lasciò la Sicilia per fare ritorno a Napoli, dove, nel frattempo, il cardinale Ruffo e l'ammiraglio Nelson gli avevano riconquistato il trono.
Ritornò in Sicilia appena quattro anni dopo perché i Francesi, ancora una volta, gli invasero il regno; trovò, fra l'altro, l'isola sotto il prolettorato inglese: il comandante Stewart, che aveva fissato il quartier generale al Seminario, convinse il re a concedere una Costituzione che andasse incontro allo spirito autonomistico dei Siciliani. La nuova Costituzione abolìva i privilegi feudali, instaurava la libertà di stampa e di pensiero e impegnava il re al la nomina di un re indipendente, qualora egli avesse fatto ritorno a Napoli.
Sconfitto ed esiliato Napoleone Bonaparte, i territori europei tornarono ai sovrani legittimi che vi avevano regnato prima del 1789 o ai loro successori, come deliberato dal Congresso di Vienna nel 1815.
Ferdinando tornò a Napoli, ricostituì il Regno delle Due Sicilie, con decreto datato 8 dicembre 1816, e assunse il nome di Ferdinando I (a voler significare che non c'era alcun rapporto tra il vecchio ed il nuovo regno).
L'anno successivo, divise l'isola in sette province (dai tempi degli Arabi erano tre), poste ciascuna sotto la giurisdizione di un prefetto; ogni provincia fu divisa in distretti con a capo un sottointendente.
L'amministrazione locale fu affidata ad un sindaco e a due eletti: tutte cariche concesse direttamente dal re.
Siracusa fu capoluogo di una delle province e si vide assegnato un territorio comprendente 36 comuni.
Nel 1818 la diocesi di Siracusa fu da Pio VII ridotta, avendo egli elevato a vescovato la chiesa di Caltagirone.

PRIMI FERMENTI ANTIBORBONICI
Il re a Napoli ed in Sicilia un viceré: un copione tristemente noto a tutti. Ai soliti disagi, il 5 Maggio 1818, sì aggiunse la coscrizione obbligatoria che fece giungere da più parti segnali di un fermento antiborbonico.
Le sette Carbonare si moltiplicarono, rafforzando le azioni della già esistente Massoneria.
Nel 1820 i Palermitani misero in fuga il luogotenente Naselli; molte altre città si liberarono dei contingenti borbonici, mentre i Siracusani venivano inutilmente sobillati da Gaetano Abela e dal barone di Pancali, Emanuele Francica. Temevano, i più, di perdere i pochi privilegi conquistati col sudore e col sangue, non ultimo quello di avere avuto la città elevata a capovalle.
L'azione nella città aretusea fu, per questo motivo, poco decisa. Il Gran Maestro della Massoneria, il barone di Milocca, finì in prigione, mentre l'Abela, assieme a numerosi altri "ribelli", finì decapitato a Palermo. Per un po' non si parlò più di Carboneria e di Massoneria.
Cinque anni dopo, il 3 gennaio 1825, a Napoli morì re Ferdinando, ma la situazione non migliorò molto nei cinque anni di regno del figlio Francesco I: reazionario quanto e più del padre, governò con durezza reprimendo violentemente ogni più piccolo segnale di insofferenza.
Il suo atteggiamento risvegliò il desiderio di libertà, e i vecchi rivoltosi del '20, appoggiati dai nuovi spiriti indipendentisti, ripresero a tramare con maggiore slancio, ben collegati con quelli di Palermo e di tutta la Sicilia. Il fatto che anche Ferdinando II (succeduto al padre nel 1830) si mostrasse rozzo e poco accorto, non fece altro che accelerare i tempi.
A Siracusa Carmelo Campisi, Vincenzo Cassia, Raffaele Lanza, Salvatore Chindemi, riuniti il 14 luglio del 1837 in casa di Emanuele Francica barone di Pancali (appena eletto sindaco della città), decisero di attendere il segnale da Palermo, per un'azione comune. Nel contempo decisero di strumentalizzare l'epidemia di colera che già da un anno mieteva vittime nelle città. Venne redatto un manifesto, a firma dello stesso sindaco, nel quale si accusavano, senza mezzi termini, i Borboni di essere i responsabili della grave epidemia, avendo avvelenalo acqua e cibo; ma la folla, anziché sfogare la propria rabbia sul nemico invasore, si diede alla caccia degli "untori", facendo, fra l'altro, molte vittime innocenti.
Il 13 agosto dello stesso anno, l'Alto Commissario Del Carretto, inviato in Sicilia per reprimere ogni azione anti borbonica, fece arrestare e fucilare in piazza Duomo, a Siracusa, alcuni fra i più accesi cospiratori, fra cui Mario Adorno e suo figlio Carmelo, Concetto Sgarlata, Santo Cappuccio, Gaetano Rodante.
Come i più avevano previsto, con decreto del 13 agosto 1837, a firma dello stesso Del Carretto, il capoluogo di valle venne trasferito da Siracusa alla vicina Noto, unica città a non aver mostrato atteggiamento ostile verso i Borboni.
Quando nel 1840. il giorno di Santa Lucia, morì il vescovo Amorelli, Noto non dovette faticare molto per vedere elevata la Matrice a Vescovado, a danno, ovviamente, di Siracusa.

SICILIANI, VOI SIETE GRANDI
12 gennaio 1848 la rivolta, scoppiata a Palermo, si diffuse rapidamente in tutta l'isola ma, mentre a Palermo si insediava il Comitato di Governo Provvisorio, a Siracusa giungevano rinforzi al contingente borbonico.
L'8 maggio Ruggero Settimo, eletto Presidente del Governo Siciliano, annunciava all'Italia e all'Europa che il "Parlamento della libera Sicilia" aveva dichiarato decaduta la dinastia borbonica.
Mazzini in quell'occasione scrisse euforico: "Siciliani, voi siete grandi"'.
Lentamente i Siciliani si resero conto di essere entrati in un contesto rivoluzionario che coinvolgeva l'Italia e l'intera Europa. Nella penisola alcuni principi avevano concesso interessantii riforme, ma Ferdinando continuò a sottrarsi al generale moto riformatore.
Una delegazione siracusana, guidata da Raffaele Lanza, chiese ed ottenne dal Parlamento di Palermo il riconoscimento di quei privilegi ingiustamente tolti alla città, primo fra tutti la reintegrazione a Capovalle. L'euforia durò poco a causa dell'incertezza mostrata dalla classe dirigente siciliana, ma, soprattutto, a causa degli avvenimenti che in realtà interessavano l'interà Europa.
Ferdinando riprese i suoi poteri e, dopo avere ritirato la Costituzione concessa a Napoli, mandò in Sicilia un esercito per reprimere la "tracotanza sicula": riempì le carceri di patrioti. alzò le forche e impose nuove tasse.
I siracusani Raffaele Lanza, il barone Pancali, Salvatore Chindemi lasciarono l'isola, ma il lavoro cospirativo proseguì, alla luce anche degli errori precedenti.

VERSO LA LIBERTA'
Nel maggio del 1859 morì Ferdinando ed il suo posto fu preso dal figlio Francesco II, "Franceschiello", uomo di poco prestigio e inetto che, non rendendosi conto della delicatezza del momento, mantenne l'atteggiamento reazionario del padre.
Dopo alcuni tentativi repressi dal governo borbonico a Palermo, gruppi armati, guidali da Rosolino Pilo e da Giovanni Corrao, due esuli rientrati clandestinamente, chiesero l'intervento di Cavour.
II 2 aprile del 1860 in Italia, dopo la cacciata degli Austriaci, si inaugurava il Parlamento Italiano, mentre in Sicilia i Borboni continuavano la repressione.
Vittorio Emanuele, vista la titubanza del Cavour ordinò a Garibaldi di portarsi immediatamente in Sicilia.
La notte tra il 5 ed il 6 maggio, con oltre mille volontari (di cui 45 siciliani) il generale salpò da Quarto, un villaggio presso Genova, sbarcò presso i ruderi dell'antica Lilibeo, a Marsala e l'undici dello stesso mese assunse la dittatura dell'isola in nome del re d'Italia Vittorio Emanuele II.
Battuti i Borboni a Calatafimi, Garibaldi si apprestò a raggiungere Palermo dove entrò vittorioso, aiutato dal!' intera popolazione. Il 6 giugno il nemico abbandonò Palermo, mentre il popolo festante proclamava la sua unione al nuovo Regno d'Italia.
Dopo la battaglia di Milazzo e la liberazione di Messina, Garibaldi passò lo stretto e si avviò verso Napoli, lasciando sull' isola un esercito per liberare le città ancora in mano ai Borboni.
La guarnigione borbonica di Siracusa era ben asserragliata in città e la popolazione, temendo rappresaglie, si rifugiò nelle Latomie, nelle campagne e nei paesi vicini.
L'esercito che stava raggiungendo Siracusa, non dovette combattere perché i Borboni stavano già abbandonando, via mare, la città. A Napoli re Francesco si rifugiava nella fortezza di Gaeta.
Nella chiesa del Collegio di Siracusa, Raffaele Lanza convocò il popolo per eleggere il primo Consiglio Civico.
Si sistemarono le strade ed i palazzi, si alberarono i viali, furono aperte delle banche per venire incontro alle necessità della cittadinanza, nacquero la Camera dì Commercio e il Consorzio Agrario.
Con decreto del 7 luglio 1866 il Parlamento Italiano sciolse le comunità religiose, destinando ad usi civili e militari i conventi e i monasteri:
- il monastero di S. Agostino ospitò l'Intendenza di Finanza;
- l'Oratorio di S. Filippo Neri divenne Liceo Classico "Tommaso Gargallo";
- il convento del Carmine ospitò la caserma dei carabinieri "Vincenzo Statella";
- il convento di Santa Maria ospitò gli uffici della Prefettura.
Nel contempo molte chiese furono demolite: S. Giacomo, la parrocchia del castello, fu demolita il 22 novembre 1872 e con la sua pietra si costruì il Teatro Comunale'', stessa sorte toccò al monastero dell" Annunziata, alla chiesetta delle Grazie (per dissotterrare il tempio di Apollo), alla chiesa di Santa Teresa e di Maria SS. d'Itria.
Dal 1860 la Sicilia passò sotto il controllo di Vittorio Emanuele II di casa Savoia, proclamalo re d' Italia col plebiscito del 21 ottobre.

Il teatro comunale realizzato con la pietra della chiesa di San Giacomo demolita nel 1872

 
 


DALL'UNITA' D'ITALIA ALLO STATUTO SPECIALE
Dopo l'Unità d'Italia, i grossi squilibri economico-sociali esistenti tra nord e sud non solo non furono rimossi, ma addirittura si accentuarono; l'estrazione dello zolfo, la produzione ed il commercio del vino e degli agrumi, che fino al 1860 avevano rappresentato lavoro e ricchezza per i siciliani, furono gravemente danneggiati da una serie di provvedimenti ministeriali nati per proteggere i prodotti delle industrie che, però, erano tutte concentrate al Nord.
L'improvvisa crisi agricola portò parecchi siciliani a cercare lavoro all'estero, mentre le inevitabili agitazioni popolari vennero soffocate con la forza e spesso anche nel sangue.
L'Unità era una realtà che non poteva essere ignorata e i siciliani lentamente maturarono una coscienza unitaria, ma con il resto della nazione condivisero più dolori che gioie.
La prima guerra mondiale ( 1915-1918) vide i soldati siciliani combattere al fianco di quelli del nord per liberare Trento e Trieste dagli Austriaci e 50 mila di essi non rividero più la loro terra. Numerosi nostri conterranei furono decorati con medaglie d'oro, in particolare a noi piace ricordare il marinaio siracusano Francesco Angelino (1893-1990) che con un MAS forzò il porto di Pola.
Nel corso della seconda guerra mondiale ( 1 940-1945) la Sicilia fu centro strategico di grande importanza, subì violenti bombardamenti e anche Siracusa divenne punto di sbarco delle forze alleate.
La fine del conflitto fu suggellata dalla firma dell'armistizio, in una tenda da campo allestita nelle campagne di Cassibile.
Il movimento separatista, nato sulle rovine della guerra, attirò sull'isola l'attenzione del Governo Italiano che istituì la Consulta Regionale col compito di approntare l'ordinamento della Regione Siciliana.
Lo statuto venne approvato a Roma, il 15 maggio 1946,

Cassibile 3 Settembre 1943:

in una tenda allestita in contrada San Michele si firma l'armistizio.
Il generale Castellano, in abito scuro, rappresenta il governo italiano


LEOPOLDO DI BORBONE ( Conte di Siracusa 1870 )



(COMMENTO DI ANTONIO AACCHETTI FACEBOOK)

LEOPOLDO DI BORBONE ( Conte di Siracusa 1870 ).
Altri titoli Atezza Reale
Nascita Palermo, 22 maggio 1813
Morte Pisa, 4 dicembre 1860
Luogo di sepoltura Basilica di Santa Chiara, Napoli
Padre Francesco I° Regno delle Due Sicilie
Madre Maria Isabella di Spagna
Consorte Maria Vittoria di Savoia

Leopoldo di Borbone-Due Sicilie conte di Siracusa (Palermo, 22 maggio 1813 – Pisa, 4 dicembre 1860) fu un membro della casa di Borbone - Due Sicilie, terzo figlio maschio di Francesco I° delle Due Sicilie e di Maria Isabella di Borbone-Spagna.
Il fratello maggiore di Leopoldo, Ferdinando II delle Due Sicilie, considerò un matrimonio tra Leopoldo e la principessa Maria di Orléans, ma le trattative con il padre, Luigi Filippo di Francia, naufragarono sulle rivolte francesi nel 1834 e Luigi Filippo rifiutò di concedere a Maria la sua parte della "donation-partage" delle sue terre (una condizione che Ferdinando aveva posto ai fini del matrimonio).
Leopoldo, in ultima analisi, sposò la principessa Maria Vittoria di Savoia-Carignano, secondogenita del principe Giuseppe Maria di Savoia, conte di Villafranca, e di sua moglie Pauline de Quélen de Vauguyon, il 16 giugno 1837 a Napoli. Leopoldo e Maria ebbero una sola figlia, Isabella, che morì meno di un anno dopo la sua nascita nel 1838. Gli fu attribuita anche una figlia illegittima, Teresa, marchesa Vulcano (1840-1920)
22 maggio 1813 – 12 dicembre 1816: Sua Altezza Reale Il Serenissimo Principe Don Leopoldo
12 dicembre 1816 - 4 dicembre 1860: Sua Altezza Reale Il Serenissimo Principe Don Leopoldo, Conte di Siracusa
Cavaliere degli Ordini del Re di Francia (1826)
Cavaliere dell'Ordine di San Gennaro (1813)
Cavaliere dell'Ordine spagnolo del Toson d'Oro (1813)
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine di San Ferdinando e del Merito
Cavaliere di Gran Croce con Collare dell'Ordine di Carlo III°
Cavaliere dell'Ordine dell'Aquila Nera
Cavaliere dell'Ordine della Santissima Annunziata.




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