mulini teatro greco
I MULINI DEL TEATRO GRECO DI SIRACUSA di: RENATA RUSSO DRAGO
Ad ogni nuovo ciclo di rappresentazioni al teatro greco, il 32° nel 1992, si rinnova l'antica magia di uno spettacolo diverso dagli altri, che suscita ogni volta una vera emozione. Anche se le scene, le soluzioni registiche, e talvolta anche la recitazione possono essere oggetto di critica e lasciare in qualche modo a desiderare, rimangono sempre l'incanto delle secolari gradinate scavate nella viva roccia, il profumo che sale dai giardini circostanti, il verde degli alberi a far da quinta naturale, il profilo familiare della torretta Nava, che pare faccia la guardia al grande monumento, assurto ormai a simbolo prestigioso della città. E tuttavia illustri studiosi hanno osservato che questa famosa testimonianza dell'arte antica non si conosce bene o non si conosce affatto (').
Legate alla storia del teatro sono le lunghe vicende dei mulini del teatro greco e la lotta che i Siracusani cui stava a cuore la buona conservazione del monumento dovettero sostenere contro quei mulini che giu¬stamente definivano «barbari» perché lo deturpavano e danneggiavano con lo scolo delle acque che scendevano sulle gradinate e con il passaggio dei carri dei mugnai (2).
Come è noto, i frequenti attacchi degli Arabi nei secoli Vili e IX e la definitiva conquista mussulmana segnano la decadenza e la rovina di molti importanti edifici siracusani; sotto il dominio degli Spagnoli, poi, il teatro ebbe la triste sorte di fornire materiale edilizio ai nuovi padroni, soprattutto per la costruzione della cinta fortificata della città (3). A lungo parte del teatro fu coperta di terra e di vegetazione, benché nel '500 e nel '600 si potessero ancora vedere le «reliquie» dell'antica grandezza, come attestano diversi studiosi: il Fazello ad esempio nel XVI secolo scrive che del «teatro grandissimo, il più grande e il più bel¬lo secondo Cicerone», se ne poteva «vedere in qualche parte la forma scolpita in vivo sasso» (4).
Molti viaggiatori stranieri del '700 e dell'800 ci hanno lasciato testimonianze dello stato di deterioramento in cui si trovava allora il teatro, pur ammirandone lo splendido paesaggio, del quale alcuni ci hanno anche lasciato suggestive immagini dove i mulini sono considerati un elemento che rende più pittoresca la veduta. Alla fine del XVIII secolo Vivant Denon scriveva infatti che il teatro «si distrugge ogni giorno, senza ritegno», notandovi un mulino e la grande quantità d'acqua che cade a cascata (5). E l'Houel: «questo nobile edificio è diventato un luogo abbandonato e la natura, sempre attiva, ha ripreso il sopravvento sul capolavoro, cancellando a poco a poco tutto ciò che l'arte aveva creato... i loro caratteri disparati confusi insieme hanno contribuito a formare un'opera nuova: un miscuglio di rocce rozze e squadrate, di cui si distingue una cinta di gradini e un profondo fossato, alberi, erbe, muschio, sedili... più in là scorrono acque abbondanti che servirono un tempo per il teatro... esse si perderebbero se l'interesse dell'uomo non le avesse incanalate e sfruttate per mettere in movimento le ruote dei mulini del circondario. Ve ne sono molti che arricchiscono il paesaggio insieme alle case, alle capanne, agli alberi, ai resti architettonici» (6). Anche l'inglese De Wint, venuto nell'800, nota «le rovine del teatro» e sopra gli acquedotti, i mulini, le cascate, gli alberi, di cui ci ha anche lasciato un acquerello (7).
Della visita a Siracusa fatta nel 1835 il celebre autore dei «Tre Moschettieri», Dumas padre, ci ha lasciato a proposito del teatro greco una interessante testimonianza, che del resto conferma ciò che prima di lui altri avevano notato: «Rien de plus pittoresque d'ailleurs que cette admirable ruine, dont un meunier s'est emparé, et que personne ne lui conteste. Là il fait tranquillement son ménage, sans songer le moins du monde aux respectables souvenirs qu'il foule aux pieds. Les eaux de l'ancien aqueduc de Neapolis, détournées de leur cours, sortent avec fracas de trois arceaux, et viennent, après s'être brisées en cascatelles sur les deux premiers étages du théâtre, faire tourner prosaïquement la roue de son mulin; cette opération accomplie, le trop plein se répand à travers l'édifice, ruisselle en se brisant contre le pierres, et s'échappe par mille petits canaux argentés qu'on voit reluire au milieu des caroubiers, des aolès et des opiuntas» (8). E persino il siracusano Giuseppe Politi, nella sua «Siracusa pei viaggiatori», una sorta di guida turistica ante litteram del 1835, accennando al mulino che stava in mezzo al teatro, nota che questa parte del monumento «fortunatamente intagliata nel vivo sasso, molto ancora conserva del suo carattere» (9).
Per sfruttare l'abbondante acqua del Galermi (10), che scorreva sopra il teatro, nel 1576 era stato costruito addirittura nella cavea un mulino dal marchese di Sortino, Pietro Gaetani, rovinando le gradinate con le macine e aprendo un sentiero d'accesso. Dopo una pestilenza, essendo i centimoli, cioè i mulini a bestia, inoperosi, il marchese aveva ottenuto dalla città di Siracusa il diritto di costruire quanti mulini volesse, «obbligandosi a trasportare nel territorio di Siracusa l'acque che passano ne' suoi feudi di Sortino», per favorire la popolazione «che con notabile pena doveva portarsi in luoghi molto distanti per macinare i suoi grani» (n). Pare che in tale costruzione spendesse ben 100.000 onze; in seguito poi al terremoto del 1693 i mulini furono molto danneggiati, e di conseguenza si erano «totalmente disperduti l'introiti delli suddetti molini» e per la loro «refectione», «per quelli riparare, limpiare» i Sortino avevano dovuto persino ricorrere ad un prestito «a cambio di 7 per cento» (12). Così il teatro non fu salvato neppure dal terremoto.
I mulini furono demoliti in epoche diverse, a partire dalla prima metà dell'800: l'ultimo, da tempo disattivato e ridotto ad un rudere in cui si tenevano le pecore, fu eliminato nel 1952 quando il Sovrintendente Bernabò Brea e il suo assistente prof. Stucchi misero in luce il santuario di Apollo al colle Temenite (13). Anche nella toponomastica cittadina ne è rimasto il ricordo, infatti per molto tempo l'attuale via del colle Temenite si è chiamata via dei Mulini.
Dumas scriveva che nessuno contestava al mugnaio di essersi impadronito di quelle ammirevoli rovine, ma, come vedremo, non era esattamente così. Quando Carlo III di Borbone sale sul trono di Napoli, inizia una politica di potenziamento della cultura e di protezione delle arti, continuata dal figlio Ferdinando III. Nel 1799 vengono nominati degli Ispettori incaricati di «invigilare nella custodia dette rarità (i monumenti della Sicilia) e di farne disseppellire delle altre» (14). Uno di tali Ispettori, per lq valli di Noto e Demone fu, dal 1803 al 1814, anno della sua morte, il siracusano Saverio Landolina, il famoso scopritore della Venere e studioso del papiro. Egli iniziò gli scavi del teatro, poi continuati tra il 1834 e il 1839 dal duca di Serradifalco, presidente della Commissione di Antichità e Belle Arti, istituita nel 1827 dal governo borbonico, con sede a Palermo. Da questa dipendevano Commissioni locali, create nei luoghi di maggiore interesse artistico, con il compito di sorvegliare sull'integrità dei monumenti e di predisporre le necessarie opere di riparazione e di manutenzione ("). La-Commissione di Siracusa, di cui facevano parte patrizi e cittadini ragguardevoli, benché dotata di pochi fondi — evidentemente anche in passato i «beni culturali» non erano tenuti in grande considerazione... — s'impegnava diligentemente nella sorveglianza dei monumenti, soprattutto da quando erano state riportate alla luce nuove importanti testimonianze del passato, come l'Ara di Ierone, allora denominata «di uno stadio», e nuove parti del teatro. L'affiancavano solerti custodi, particolarmente compresi del loro com¬pito e dell'importanza di quei «venerandi avanzi dell'Emporio dell'arte». Proprio in quegli anni in cui, dopo la costituzione della Commissione, si riprendono gli scavi nel teatro, appare intollerabile la presenza dei mulini nel monumento stesso e nel terreno immediatamente circostante; oltre a quello costruito nella cavea, vi erano sopra il teatro i mulini detti collettivamente «di Galermi». Si intensifica dunque in questo periodo la lotta per abbatterli, iniziata dal Landolina al principio dell'800 e che si può davvero definire secolare: nel 1838 si era predisposto da parte della Commissione un preventivo per eliminare il mulino della cavea, detto «Primo» e quello della Grotta, ma il marchese di Sortino, che cerca di difendere i suoi diritti, ha, come riferisce la Commissione, «la tracotanza di dire che quasi non esiste teatro, e che quando mai, in altro non consiste che a umili e sparuti avanzi di gradini incavati nella nuda rocca (sic), di cui i molini e le acque non ha portato né porteranno mai detrimento» (16).
Ne segue una lunga controversia che si trascina per molto tempo: l'avvocato della Commissione, Giacomo Adorno Zappalà, sostiene che il teatro appartiene al Demanio, citando a sostegno della sua tesi il R. Decreto 14 dicembre 1819 col quale l'anfiteatro campano era stato dichiarato proprietà dello stato.
Fa inoltre notare che nel 1576, quando fu fatta la famosa convenzione tra Siracusa e il feudatario di Sortino, questi non aveva avuto il permesso di fabbricare dei mulini dentro il teatro, ma solamente di poter edificare «dentro il territorio della città di Siracusa, giusto e vicino il fonte di Galermi fino al mare verso Siracusa e non in altro luogo» ("). D'altra parte, anche lo stesso sindaco di Siracusa, barone Pancali, timoroso di nuovi disordini dopo due anni dai moti del '37, era contrario alla demolizione prima che si costruisse quello nuovo, temendo che si provocasse «l'affamamento di un'intera città» (18).
Grazie ad interventi e a pressioni fatte dal marchese, la causa viene più volte rinviata: per prendere tempo o perché timoroso di perderla, egli ricusa l'intero Consiglio d'Intendenza, ma la Gran Corte dichiara «insussistente e non ammissibile la ricusa suddetta», condannando il marchese di Sortino alla multa di 50 ducati (19), e pertanto la causa sarebbe stata discussa presso il Consiglio d'Intendenza di Noto. Per l'intervento personale del duca di Serradifalco, che viene a Siracusa appositamente, si giunge ad un accordo col marchese alle seguenti condizioni: egli acconsente al «trasmutamento» del mulino, accetta di partecipare alle spese per la costruzione di uno nuovo per la terza parte, ma chiede «che il novello molino venga costruito pel diametro del suo terreno di Galermo, senza punto toccare le altre proprietà limitrofe; che l'attuale molino sia abbattuto e disgombrato il teatro tostoché sarà in stato di macinare il nuovo con quell'istesso vigore... che appresta quello che esiste» (20). Superati gli ostacoli più grandi, si poteva ragionevolmente sperare che tutto andasse liscio, ma avendo il marchese di Sortino inviato un nuovo ricorso alla Consulta dei R. Domini oltre il Faro, si giunge fino al 1845 senza che sia ancora avvenuta la prevista demolizione, mentre continuano le lamentele per i danni arrecati dai mugnai (21). La Commissione si ri¬volge allora all'Intendente di Noto «onde s'impetri dal R. Governo un riparo alle vessazioni di che è stato profanato quel massimo dell'Antichità» (22). Si hanno generiche assicurazioni che la Consulta si occuperà della faccenda, ma passa anche il 1846 — l'anno prima intanto era morto il marchese di Sortino, il cui erede era il cav. Corrado Beneventano del Bosco — senza che si verifichino novità; la Commissione ritorna alla carica, formulando un ennesimo atto d'accusa contro i mugnani, che, incuranti dei «culti ed eruditi viaggiatori» che visitano il teatro, vi introducono «carrette di animali di ogni sorta», facendovi «profonde rotaie... stalle per ogni dove, fimo in ogni sito, acqua in tutte le parti che una palude è diventato». Tutta colpa di quell'«immortale molino» e dei «perfidi deturpatori»: si chiede che almeno si innalzi un pilastro che impedisca il transito dei carri (23). L'anno successivo, 1847, viene finalmente fatto l'appalto per la costruzione dei pilastri, lavoro che viene terminato in luglio. Intanto nel '48 scoppia la rivoluzione ed in Sicilia viene proclamato un governo provvisorio in conflitto con i Borboni di Napoli. Solo nel '49, dopo la repressione dei moti, nel clima di restaurazione generale, la questione del mulino del teatro viene ripresa con più energia, anche per l'intervento del principe di Satriano, «comandante in capo dell'esercito di spedizione in Sicilia», che attraverso l'Intendente di Noto intima agli eredi Sortino di accettare senza indugio l'abbattimento del mulino (24). Dopo la consueta gara di appalto, nel 1850 finalmente iniziano i lavori e la consegna del nuovo mulino è prevista per l'aprile del 1852 (25).
Ma inizia un'altra lunghissima questione per il pagamento del terzo della somma per la costruzione del mulino nuovo, onze 317,47, a carico degli eredi Sortino, perché questi accampano diversi pretesti e dichiarano che pagheranno solo quando sarà «ultimata la costruzione del mulino, della saia e del condotto» (26). Si deve pure espletare una lunga pratica burocratica per avere dal R. Ispettore Verificatore del Macino l'autorizzazione ad usare il nuovo mulino, ed intanto, come fa notare la Commissione indignata, l'appaltatore «non si fatiga» (27). Nel novembre del '52 si può finalmente redigere il verbale di consegna del «novello mulino», ma gli eredi del marchese di Sortino sollevano eccezioni sulla sua funzionalità per non pagare la loro quota, mentre viene accertato che «i risultati di molitura» sono addirittura migliori di quelli precedenti (28); il pagamento, dopo infiniti solleciti, avverrà solo nel 1855 (29).
Le continue lamentele per il passaggio dei carri dei mugnai riporta all'attenzione la questione dei pilastri che avrebbero dovuto impedirlo, ma questi sono scomparsi, probabilmente abbattuti durante il '48; nel '56 si dà l'avvio alla loro ricostruzione, avversata in ogni modo dai mugnai, e nello stesso tempo si costruisce una «stradella» rotabile per accedere «dal di fuori del teatro» ai mulini detti dell'Arancio e Nuovo (30). Questo perché, come fa notare la Commissione, «la via che crudelmente è aperta per traverso il teatro, non è servita né serve solamente a dare accesso ai molini, ma di essa profittano tutti i coloni delle contrade vicine per trasportare in città le loro derrate evitando così la barriera della via a ruota e risparmiando il pagamento della tassa» (")• Per tali motivi si ricomincia a parlare dell'abbattimento del secondo mulino, quello della Grotta, «rimasto libero e intangibile», mentre in seguito a recenti scavi «si è venuto a discovrire che il molino resta sito non fuori il teatro ma addosso allo stesso» (32). Si pensa già al luogo dove ricostruirlo e si scrive al marchese Francesco Gargallo di Castellentini, «Gentiluomo di
Camera di S.M. con Esercizio», perché acconsenta a vendere un appezzamento di terreno vicino alla chiesa di S. Maria della Grotta, detta anche «dei Mulini», «onde affrancare interamente da qualunque servitù il Magno Monumento, il Teatro Greco Siracusano» ("). Ma il Gargallo aveva già fatto conoscere «indirettamente la sua negativa» C4).
Sono questi infatti gli anni in cui la lotta tra i custodi da un lato ed i mugnai e le lavandaie dall'altro è continua e senza quartiere. Se le «lavandiere» che usano l'acqua del Ninfeo per i loro panni «lorduriano» i gradini del monumento, i mugnai non solo rovinano il teatro con i solchi provocati dalle macine e dalle ruote dei loro carri, ma non si peritano di trasformare le «grotte sepolcrali antiche» in stalle «per ogni sorta di animali» ("). Viene considerato soprattutto oltraggioso «quel sozzissimo vituperio col quale il Teatro Massimo... è divenuto un brago di porci, i quali, oltre alla mala vista che danno, non lascerebbano (sic) di distruggere le vestigia de' Marmi che un tempo decoravano le scene di Epicarmo» (36). L'ing. Tarantello, inviato dalla Commissione a fare un sopralluogo, si rende conto che il teatro è aperto «alla plebaglia ed animali e ad ingombri sconsigliati e nocivi» e attribuisce tutti gli inconvenienti al mulino della Grotta e «all'uso che tuttodì si fa di lavare nel Ninfeo»; segnala inoltre che dove il monumento «è finitimo con le terre del signor Marchese Gargallo vi s'introducono ogni sorta di bestiame pascolarvi» e conchiude amaramente che il teatro pareva «fosse stato dissotterrato a nuove ingiurie» (37). Il custode riferisce a sua volta che asini, cavalli e persino maiali vengono tenuti «in quei dignitosi siti» ed egli è costretto a «cacciare ora in uno i porci e ben tosto accorrere in un altro punto per fare cessare le scorrezioni della gente brutale» (38).
Ma nelle «turbolenze» del 1860 i pilastri ricostruiti nel '57 con una spesa di più di 20 ducati sono di nuovo abbattuti e, avvenuta l'unità, ricomincia la lotta contro i mugnai e i loro animali. Solo nel '66 viene fatto l'appalto per la costruzione di nuovi pilastri per la somma di lire 196,20, ma la questione si complica quando tale Raffaele Asturi, anche a nome di altri, chiede al pretore la sospensione dei lavori «nel punto del mulino della Grotta esistente nell'antico Teatro, come pregiudicevole ai suoi diritti» (39). La Commissione di Palermo dà mandato al Prefetto di Siracusa di adire le vie legali, nominando suo avvocato Francesco Adorno Avolio1 nella causa contro Asturi e compagni: anche questa volta la tesi del legale è che il luogo dove sono i pilastri è terreno demaniale, perché parte integrante del monumento. Ma il pretore è di opinione contraria ed ordina la demolizione dei pilastri, considerando «stradella privata» la servitù di passaggio per accedere al mulino (40).
Poiché la demolizione permette di nuovo il passaggio dei carri e delle vetture, la Commissione ritiene tale fatto un reato e chiede la ricostruzione dei pilastri (41). S'interroga il custode, il quale accusa i gabelloti di quel «barbaro mulino» e i mugnai al loro servizio di fare nelle grotte «sporcizia ad uso di bordelli»; mentre «i culti Oltramontani osservano la vastità e la magnificenza del Teatro», si vedono «stalle, passaggio di carretti, asini, cavalli, infiniti mugnai, passeggio di lavandiere in vari siti che si conducono in quella strada dei sepolcri» (42). Il pretore respinge però una nuova richiesta di perizia archeologica, escludendo la caratteristica di terreno demaniale del luogo e comunque condanna la Commissione alle sole spese del giudizio. Mentre i mugnai chiedono ai proprietari il risarcimento dei danni «causati dalle molestie della Commissione», questa a sua volta inizia le pratiche per l'esproprio forzoso del mulino della Grotta. Nel 1871 la Commissione è di nuovo chiamata in giudizio dal marchese Specchi, erede dei Sortino, benché nel '69 fosse stata pronunciata una sentenza con cui la Commissione veniva tenuta fuori dal giudizio. Si cerca allora di venire ad un accordo che però non si riesce a raggiungere; il Direttore del Contenzioso, richiesto di dare il suo parere, risponde che «un'amministrazione pubblica che conserva un monumento storico e provvede per prevenire maggiori danni in tutela della cosa pubblica, non commette un fatto colposo e perciò non può essere passibile di danni e interessi» (43).
Nel 1875, non essendosi ancora conclusa la vicenda, si riprendono le trattative per la «traslocazione del mulino della Grotta per liberare il celebre monumento da tale indecoroso ingombro che lo deturpa» (44). Inizia così un altro lunghissimo iter che si concluderà soltanto nel nostro secolo.
Dal 1880 è a Siracusa un dotto ed energico archeologo, divenuto poi Sovrintendente, Paolo Orsi, il quale, avendo già ripreso gli scavi nel teatro nel 1907, due anni dopo, nel 1909, chiede l'espropriazione dei due mulini che sovrastano il teatro, quello appunto della Grotta e quello detto Nuovo, il primo del marchese Specchi, l'altro dei Francica Nava (45). Il Prefetto dispone che si facciano le operazioni planimetriche, ma per il momento senza esito; nel 1913 l'Orsi rivolge «formale domanda» al Prefetto di Siracusa a norma degli articoli 83 e 84 della legge n. 2359 del 1865 per far dichiarare di «pubblica utilità» l'esproprio del mulino della Grotta (46). Non si deve dimenticare che nel 1914, su iniziativa del marchese Mario Tommaso Gargallo, cominciano le rappresentazioni classiche al teatro greco, ed è quindi comprensibile che s'intensifichino gli sforzi per liberare il monumento e presentarlo in tutta la sua grandiosità. L'Orsi in effetti riesce con R. Decreto 23 luglio 1914 (47) a far dichiarare di «pubblica utilità» l'esproprio. Viene eseguita una perizia nel novembre del '14, dopo che se ne era approntata già una nel 1912, e si fissa il prezzo in lire 16.200, non accettato però dallo Specchi, le cui pretese sono giudicate eccessive dal Ministero della Pubblica Istruzione (48).
Solo nel 1917 avverrà l'espropriazione del famigerato mulino della Grotta per la somma di lire 20.358,85, che, col consenso del proprietario viene convertita in titoli del prestito consolidato al 5% (49).
Nel 1916 viene deciso, sempre per «pubblica utilità» anche l'esproprio «del mulino Nuovo con tutte le sue pertinenze presso il teatro greco in contrada Paradiso», per cui si era già fatta una perizia nel 1912: la somma accettata da Giovanni Francica Nava è di lire 12.700 pagabile in tre rate dal Ministero della Pubblica Istruzione. L'ultima rata di L. 4700 fu pagata nel corso del 1918-19 (50).
Negli anni immediatamente precedenti si era anche conclusa la vicenda della piccola chiesa della Grotta o dei Mulini, ormai quasi diruta, appartenente per metà ai fratelli Francica Nava e per l'altra parte al marchese Specchi. Anche questa era stata una vicenda molto lunga, iniziata nel 1885, quando Lanza di Scalea, presidente della Commissione di Palermo, ora denominata «degli Scavi e dei Musei», dichiara necessaria la demolizione di quell'edificio.
La prima perizia, che stabilisce il prezzo in lire 298 (51) viene dichiarata assolutamente inaccettabile dai proprietari, i quali obiettano che hanno molte offerte per farne un magazzino e che inoltre l'amena posizione e la vicinanza alla città potrebbero trasformarla in «Casina di villeggiatura».
Dopo lunghe e laboriose trattative nel 1899 la somma viene elevata a lire 1546 da dividersi tra i comproprietari (52). Per complicate questioni catastali la parte spettante allo Specchi nel 1904 non era stata ancora pagata.
Gli ultimi edifici ancora esistenti intorno al teatro furono espropriati tra il 1921 e il 1922 per volontà del Ministero della Pubblica Istruzione, che era entrato nella determinazione di «procurarsi la libera disponibilità dei terreni circostanti l'insigne gruppo dei monumenti siracusani per renderne più decorosa la sistemazione» (54).
Si chiude così la lunga vicenda dei mulini del teatro, che se per tanto tempo avevano costituito un pittoresco elemento del paesaggio, ne avevano certamento limitato ed immiserito la grandiosità e l'imponenza che oggi possiamo ammirare, senza più trovarlo ingombro di «lordure fangose» e di animali al pascolo. Rimaneva solo la Torretta Nava, che tutt'oggi domina il teatro, divenuta parte integrante di esso, fusa ormai nel paesaggio così caro ad ogni Siracusano; in tempi non lontani durante le rappresentazioni dall'alto di essa si faceva talvolta apparire il «deus ex machina» che risolveva il nodo della vicenda tragica. Tuttavia anche questa venne espropriata per interessamento dell'Orsi, consenziente il proprietario, senatore Francica Nava, il quale, riguardo alla somma da pattuire si rimetteva «all'equità» del Sovrintendente, suo collega al Senato (").
Tale somma, secondo l'Orsi, doveva aggirarsi intorno alle 3500-4000 lire, che però né la Sovrintendenza di Siracusa né la Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti erano allora in grado di pagare. E l'Orsi stesso a suggerire al Prefetto di Siracusa di quel tempo, Edoardo Salerno, di trovare un cittadino o un Ente disposto a sostenere la spesa: ed è l'Istituto Nazionale per il Dramma Antico (INDA) sorto nel 1925 ad acquistarla per 3000 lire, in data 14 ottobre 1929.
La torretta non viene abbattuta, perché il presidente dell'INDA, on. Biagio Pace, pensa ad «una decorosa sistemazione della vecchia costruzione sì che essa possa essere adibita a provvisorio ufficio dell'Istituto durante il periodo delle rappresentazioni» (56).
Renata Russo Drago
NOTE
L. BERNABÒ BREA, Studi sul teatro greco di Siracusa, in «Palladio», a. XVII, n. I-IV gennaio- dicembre 1967, p. 97. Cfr. anche G. E. RIZZO, II teatro greco di Siracusa, Milano-Roma 1923,
pp. Ile 28. .
L. MAUCERI, Sul risanamento della città di Siracusa, Tonno 1891, pp. 30-31. Cir. ì numerosi articoli di G. AGNELLO sui mulini del teatro di cui segue la vicenda però solo fino al 1849: Pagine ignorate di storia del teatro greco di Siracusa in «Dioniso», a. 38, fase. 1-2, gennaio-giugno 1964; Il teatro greco di Siracusa visto da artisti e viaggiatori stranieri del 700 in «Siculorum Gymnasium», N.S., a. XVII, n. 2, Catania luglio-dicembre 1964; I primi tentativi per il riscatto del teatro greco di Siracusa, in «Dioniso», XLII, gennaio-dicembre 1968. Cfr. inoltre M. TROJANI, Le vicende del teatro, in L. POLACCO-C. ANTI, Il teatro antico di Siracusa, Rimini 1981, pp. 48-49.
V. MIRABELLA, Dichiarazione della pianta dell'antica Siracusa, Napoli 1613, p. 91.
T. FAZELLO, Storia di Sicilia, Palermo 1817, ristampa anastatica, Catania 1985, voi. I, p. 252.
D. V. DENON, Voyage en Sicile, Parigi 1785, p. 335.
J. HOUEL, Viaggio in Sicilia e a Malta, Palermo 1977, p. 114.
P. DE WINT, Sicilian Scenery, Londra 1823 (Tavola Ruines of the theatre at Syracuse).
A. DUMAS, Le Speronare. La Sicile, Impressions de voyage, Paris 1988, p. 179. Cfr. anche M. T. GARGALLO, A. Dumas a Siracusa, in «Momenti di storia siracusana», Siracusa 1961, p. 98.
G. POLITI, Siracusa pei viaggiatori, ovvero descrizione storica, artistica, topografica delle attuali antichità, Siracusa 1835, ristampa anastatica, Siracusa 1992, p. 9.
A proposito del Galermi, il FAZELLO, op. cit., p. 252, parla di «una fonte che veniva per condotti sotterrani, cavati con bellissimo artificio, la qual fonte avendo perduto il primo nome, si chiama saracinamente Galerme, che in lingua nostra vuol dire buco d'acqua ed oggi con voce corrotta si chiama Galermo». II CAVALLARI, nella Topografia archeologica di Siracusa, Palermo 1885, p. 105, scrive che le acque provenienti dalla sorgiva e dall'Anapo, per mezzo di un acquedotto sono condotte «sulla costa del pendio meridionale del monte Crimiti; arrivato sotto Belvedere prosegue a costeggiare la parte meridionale del rilievo siracusano ove s'immette dentro il piano della terrazza e raggiungendo il sito della casa chiamata dell'Acqua sopra il Ninfeo, le acque si distribuiscono nei vari mulini vicini al teatro greco e alla latomia del Paradiso». Cfr. anche A. VITTORIO, Toponomastica del territorio siracusano, Siracusa 1986, p. 57: «l'acquedotto del Galermi unisce le acque di due ruscelli, il Guciuno sotto Sonino e il Bottigliera sotto Pantalica e dopo circa 30 Km. arriva a Siracusa».
T. GARGALLO, Memorie Patrie, Firenze 1925, p. 45; cfr. anche Sortino e la famiglia Gaeta- ni, 1477-1796, a cura di L. MESSINA e C. CORRIDORE, Siracusa 1988: Licenza del tribunale del Real Patrimonio a Pietro Gaetani per la conduzione dell'acqua dal territorio di Sortino a quello di Siracusa, 15 dicembre 1576, p. 24; Licenza della Regia Secrezia a P. Gaetani per la costruzione di 6 mulini, 16 aprile 1577, p. 26. E inoltre S. RUSSO. Siracusa e i Gaetani nella seconda metà del secolo XVIII in «Archivio Storico Siracusano», serie III, 1988, p. 95.
Sortino e la famiglia Gaetani, già cit. Riedificazione dei mulini, 27 giugno 1694, p. 41.
Devo queste notizie alla gentilezza del prof. Bernabò Brea. Cfr. anche L. POLACCO-C. AN-TI, Il teatro antico di Siracusa, Rimini 1981, già cit. e G. LENA, Il problema geomorfologico, in Il teatro antico di Siracusa, pars altera, a cura di L. POLACCO, Padova 1990.
G. DI BLASI, Storia del regno di Sicilia, Catania 1981, voi. Ili, p. 499.
R. GRILLO, Su Mario Landolina e i R. Custodi delle Antichità della Val di Noto, in «Archivio Storico Siracusano», N.S. IV, 1975-76, pp. 178-79. Cfr. anche S. RUSSO, Viaggiatori stranieri ed età dei lumi a Siracusa in «Viaggio nel sud. Atti del convegno sui Viaggiatori stranieri in Sicilia», Siracusa 1992, p. 249 e segg. E inoltre G. AGNELLO, I primi tentativi per il riscatto del teatro greco di Siracusa, già cit.
Archivio di Stato di Siracusa (A.S.S.), Prefettura (Pref.), Pacco 779, lettera dell'avv. G. Adorno alla Commissione di Antichità e Belle Arti di Siracusa, Noto 6 aprile 1839.
A.S.S. Pref., Pacco 779, lettera del Presidente della Commissione di Antichità e Belle Arti di Palermo, 24 aprile 1839.
G. AGNELLO, Il teatro greco visto da artisti e viaggiatori stranieri del '700, già cit., p. 200; Pagine ignorate di storia del teatro greco di Siracusa, già cit., pp. 8-9.
A.S.S. Pref. Pacco 779, lettera della Commissione di Palermo a Siracusa, 27 maggio 1839.
A.S.S. Pref., Pacco 779, lettera della Commissione di Palermo, 11 luglio 1839.
A.S.S. Pref., Pacco 779, lettera della Commissione di Palermo, 17 ottobre 1843 e 14 maggio 1844.
A.S.S. Pref., Pacco 779, la Commissione di Siracusa all'Intendente di Noto, 10 giugno 1845.
A.S.S. Pref., Pacco 779, la Commissione di Siracusa al Presidente della Commissione di Palermo, 13 settembre 1846.
A.S.S. Pref., Pacco 779, l'Intendente di Noto alla Commissione di Siracusa, 13 luglio 1849.
A.S.S. Pref., Pacco 779, la Commissione di Siracusa al Presidente di Palermo, 2 marzo 1850.
A.S.S. Pref., Pacco 779, la Commissione di Siracusa al Presidente di Palermo, 16 giugno 1850.
A.S.S. Pref., Pacco 779, la Commissione di Siracusa al Presidente di Palermo, 29 luglio e 30 agosto 1851.
A.S.S. Pref., Pacco 779, la Commissione di Siracusa al Presidente di Palermo, 28 gennaio 1853.
A.S.S. Pref ., Pacco 779, la Commissione di Siracusa al Presidente di Palermo, 21 settembre 1855.
A.S.S. Pref., Pacco 779, il Presidente della Commissione di Palermo a Siracusa, 13 settembre 1856.
A.S.S. Pref., Pacco 779, la Commissione di Siracusa al Presidente di Palermo, 11 dicembre 1856. La Commissione aveva certamente ragione nello stigmatizzare quella strada, infatti il POLACCO, op. cit., p. 128, parla di «un viottolo a rozze intacche creato un po' alla volta dagli animali da soma... che salivano ai mulini soprastanti. Questa strada è stata motivo anche di altri guasti. Poiché l'antica strada periferica al teatro, a causa dell'azione delle acque, si era fatta ripida e impraticabile nel suo estremo tratto... si creò un tornante... a monte del tratto abbandonato; a tale scopo si intaccò in quel punto la roccia... Per agevolare poi l'ingresso dei carretti... se ne distrusse la testata e la fronte per un tratto di circa m. 6.00. Infine qua e là... si riconoscono i segni di una mulattiera che scendeva quasi obliquando attraverso la gradinata».
A.S.S. Pref., Pacco 779, la Commissione di Siracusa a Palermo, 11 dicembre 1856.
A.S.S. Pref., Pacco 779, il Presidente della Commissione di Siracusa a D. Francesco Gargallo di Castellentini, 19 aprile 1858.
Vedasi nota 31, lettera della Commissione di Siracusa, già citata..
A.S.S. Pref., Pacco 776, il custode Rosano alla Commissione di Siracusa, 14 luglio 1854.
A.S.S. Pref., Pacco 777, lettera di Gioacchino Arezzo alla Commissione di Siracusa, 8 gennaio 1853.
A.S.S. Pref., Pacco 779, l'ing. Tarantello alla Commissione di Siracusa, relazione per l'esercizio 1857.
A.S.S. Pref., Pacco 776, il custode Rosano alla Commissione di Siracusa, 15 febbraio 1859.
A.S.S. Pref., Pacco 778, il Pretore di Siracusa al Prefetto, 8 giugno 1866.
A.S.S. Pref., Pacco 778, sentenza del Pretore, 23 febbraio 1867.
A.S.S. Pref., Pacco 778, il Prefetto di Siracusa al Procuratore del Re, 29 maggio 1867.
A.S.S. Pref., Pacco 777, il custode Rosano alla Commissione, 5 dicembre 1868.
A.S.S. Pref., Pacco 778, il Direttore del Contenzioso Finanziario alla Commissione di Siracusa, 29 marzo 1871.
A.S.S Pref Pacco 778, il Presidente della Commissione di Palermo alla Commissione di Siracusa, Palermo 18 dicembre 1875.
A.S.S. Pref., Pacco 2384, il Soprintendente Paolo Orsi al Prefetto, 10 dicembre 1909. (Nel 1881 il barone Francesco Beneventano del Bosco, successo a Corrado, faceva cessione dei suoi beni ai fratelli Giovanni e Orazio Francica Nava, Archivio Privato Francica Nava, busta 34).
A.S.S. Pref., Pacco 2384, foglio degli Annunzi Legali della Provincia di Siracusa, n. 22, 17 settembre 1913.
A.S.S. Pref., Pacco 2384, R. Decreto 23 luglio 1914, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'I settembre 1914.
A.S.S. Pref., Pacco 2384, il Ministro della Pubblica Istruzione al Prefetto di Siracusa, Roma 6 giugno 1915.
A.S.S. Pref., Pacco 2384, il Direttore della Banca d'Italia al Prefetto, Siracusa 16 marzo 1917.
A.S.S. Archivio Privato Francica Nava, Buste 1, 2, 3.
A.S.S. Pref., Pacco 1672, Corpo Reale del Genio Civile di Siracusa, perizia per l'esproprio della Chiesa detta della Grotta.
A.S.S. Archivio Privato Francica Nava, Buste 1, 2, 3.
A.S.S. Pref., Pacco 2385, il Ministero della Pubblica Istruzione al Prefetto, Roma 8 aprile 1921.
A.S.S. Pref., Pacco 3893, P. Orsi al Prefetto di Siracusa, Roma 9 maggio 1929.
A.S.S. Pref., Pacco 3893, il Soprintendente Orsi al Prefetto, 6 giugno 1929.
A.S.S. Pref., Pacco 3893, P. Orsi al Prefetto, 18 agosto, 29 settembre, 25 novembre 1929.