Arabi a Siracusa-Giuseppe Rosano - Storia

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Storia araldica monete
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Arabi a Siracusa-Giuseppe Rosano

Arabi
Siracusa, da centro politico bizantino, capitola alla dominazione araba.
Camminando a passi lenti, attraversando l’attuale via Resalibera, che in Ortigia rappresenta lo spartiacque, nel luogo in cui: a sinistra si caratterizzano i labirinti dei vicoli ciechi e le strette e fitte stradine del quartiere della Graziella; e a destra, giungendo sino allo slargo della Spirdura, si scorge, sebbene siano trascorsi oltre undici secoli, un sorprendente scenario delle tracce lasciate dalla dominazione araba in Siracusa.
Immettendosi in Via Arizzi, laddove si aprono cinque straordinari cortili verosimilmente realizzati dall’urbanizzazione araba, sbucando nel centro storico della Graziella, nel quale, un tempo, primeggiava la Chiesa Madonna delle Grazie, costruita nel 1664 e di cui oggi non c’è più traccia, perché inspiegabilmente demolita nel 1864, attualmente è visibile un cartello che riporta una verità parziale (foto n.1). Ecco cosa si legge: “antico quartiere popolare della Graziella si estende nella parte nord-ovest di Ortigia, alle spalle del Tempio di Apollo. Esso è caratterizzato da un labirinto di vicoli e ronchi che riflette l’impianto di origine araba, con case basse e cortili”.
Il cartello riflette compiutamente il vero se si prosegue a leggere: “in tempi più recenti era abitato dai pescatori”. In realtà, i pescatori che affollavano il quartiere, negli anni 60/70 con le proprie famiglie si accodarono allo spopolamento di Ortigia che coinvolse buona parte degli oltre 50 mila residenti che l’abitavano.   
Ma qual è l’origine della Graziella?
Per la Graziella la ricerca archeologica non offre attualmente un sistema di indagini tale da poter comprendere o sceneggiare la configurazione urbanistica originaria dell’area. In base agli esiti di una recente ricerca (Giuseppe Scalora, Conservazione dei centri storici, 2010), si può ragionevolmente sostenere che il costruito della Graziella era originariamente organizzato secondo una maglia di derivazione romana composta da lotti rettangolari di circa 15-17 m x 24-28 m, con il lato corto sul percorso di adduzione orientato nella direzione Nord-Sud, e con la simmetria di comportamento delle fasce edilizie.
Nel tessuto urbano della Graziella non emergono le strutture viarie tipiche arabe come lo “shari” (grande via), il “darub” (la strada di quartiere chiudibile), l “aziqua” (vicolo cieco) “a nido d’ape” o “a grappolo”. Tuttavia, il vicolo stretto di età islamica, spesso piegato a gomito e privo d’uscita, che si dirama da una via principale, produce uno spazio riservato “a corte abitativa interna”, a volte coperta, rigorosamente riservata agli abitanti della casa, attorno alla quale si dispongono le stanze.

In epoca greca, la Graziella era assimilata al Tempio di Apollo: sostanzialmente l’intero contesto abitativo era contemplato come zona sacra.
Ma in realtà l’ipotesi di una fondazione romana del quartiere trova conforto anche dalle fonti storiche. Con l’assedio romano del 212 a.C. il quartiere assume una configurazione urbanistica tipica dell’Impero e fu destinato alle unità della legione romana per edificare le proprie dimore e le botteghe artigiane.
In questo senso si spiegano i cinque cortili che si aprono su via Arizzi, l’ingresso del sesto è su via Resalibera, ma anche gli altri cortili su via delle Grazie sono coordinati da una stessa impostazione urbanistica. In particolare, il tratto terminale di via Arizzi (percorso a spezzata) fa emergere il probabile confine dell’originaria edificazione.
A latere del quartiere Graziella, attiguo allo stesso Tempio di Apollo, i romani eressero il decumano decumanus (Via Dione), ossia l’asse della via sacra che fiancheggiando i due Templi greci: Athena dorico (l’attuale Duomo) e l'Artemision Jonico (Piazza Minerva), giungeva sino al rione Tubba (Via Roma) e di fatto suddivideva l’isola di Ortigia in due tronconi. I romani rifinirono la composizione urbanistica al crocevia dell’attuale Piazza Archimede, intersecando il decumano, con: a sinistra il cardo che da Via Maestranza si estende sino al mare di levante; a destra il cardo che percorre Via Amalfitania, sino al mare di ponente del Porto Grande.
Attraverso i secoli successivi alla dominazione araba, in particolare durante l’ultimi cent’anni, il quartiere Graziella è stato massacrato da interventi di opere edilizie devastanti, perpetrate in oltraggiose modiche alle facciate, murando cortili (dei cinque creati dagli arabi ne sono rimasti solo tre), interventi di (mal)risanamento peggiorativi e realizzazione di nuove costruzioni per buona parte abusive, tanto riprovevoli da stravolgere la Graziella in un luogo antropologicamente non luogo. (foto n. 2).
Nell’oggi contemporaneo, resiste un puzzle di ricomposizione sparpagliata del quartiere, che potremmo definire il tessuto pessimo e sfigurato di una compromessa immagine turistica.
Ma cos’era Siracusa prima dell’assedio arabo in Sicilia dell’827, capeggiato dal persiano Asad ibn al-Furat?
È bene ricordare che Siracusa, e con essa la Sicilia, oltre a richiamare i migliori uomini di cultura, è stata soprattutto meta di conquistatori; ed è forse per questo motivo che l’isola e in modo particolare la città aretusea, abbia vissuto brevissimi periodi di democrazia, da somigliare (limitatamente), a quella ateniese, influenza da Pericle.
Il nobile tentativo di democratizzare Siracusa, lo perseguì persino Platone, il quale giungendo nella città aretusea, per ben due volte, tra il 388 e 360 a.C. aspirava a costituire la (sua) “Repubblica dei Filosofi".  
Siracusa in quell’epoca era capitale della Magna Grecia, contendendosi il Mediterraneo con Atene e successivamente con Roma.
A seguito della vittoria del console Marcello, nel 212 a.C. la città di Archimede, perse la propria indipedenza cedendo il dominio del Mediterraneo ai romani.
Successivamente, Siracusa e buona parte della Sicilia, soggiacque ai periodi delle tirannie Barbari: prima con l’arrivo dei saccheggiatori Vandali nel 440 sino al 493 e in seguito con gli Ostrogoti, che nel 535 si vantavano di essere i padroni della trinacria.  
Con l’arrivo del generale bizantino Flavio Belisario nel 535, tra conquista e rioccupazione, la Sicilia riuscì a liberarsi degli Ostrogoti.
All’approssimarsi della metà del sesto secolo, Siracusa, per la sua posizione geografica, il prestigio strategico militare e religioso di cui godeva, insieme alla sfera geopolitica di influenza, era considerata in tutto il Mediterraneo una grande potenza e simbolo della continuità con l’antico Impero Romano.
E non a caso il barbuto imperatore bizantino Costante II, detto Pogonato, la volle: capitale dell’Impero Romano d’oriente.
La Sicilia essendo stata per millenni terra di “assoggettamento”, non sfuggi alla dominazione araba, sviluppatasi in progressione e in tempi diversi dall’827 al 1091, prevalentemente con la dinastia musulmana: Aghlabidi detta anche Aglabita, riconducente al capostipite: Ibrahim ibn al-Aghlab.
Provenienti dalla Tunisia nel’827 gli arabi approdano, con circa 100 navi, 10.000 fanti e oltre 500 truppe a cavallo: dapprima a Mazzara del Vallo conquistandola e successivamente occuparono Marsala.
L’assedio di Siracusa, allora bizantina, da parte delle armate arabe, non fu, tuttavia, né facile e neppure fulmineo, come al contrario avvenne nell’831 - “senza particolari scontri” - la conquista di Palermo; città successivamente scelta quale capitale del dominio musulmano in Sicilia.
Si narra che i palermitani accolsero, all'opposto dai siracusani, i saraceni come liberatori, subendone dominio e significativa influenza.
Infatti, dopo oltre quattro decenni di permanenza in Sicilia, gli arabi puntarono alla conquista di Siracusa: in quell’epoca sede del governo bizantino, reputata città opulenta e lussureggiante.
La storia islamica-araba riconosce che i musulmani arabi e berberi invasori, lottarono ostice battaglie per sottrare Siracusa dal controllo dell'imperatore Basilio il Macedone. Estenuanti combattimenti tra le opposte fazioni, si protrassero per oltre nove mesi: dall’agosto 877 al maggio 878.
Come riportato dalle narrazioni storiche, lo stesso Basilio (foto n.3) dopo aver conquistato Siracusa, incautamente, lasciò la città al comando dello sprovveduto ammiraglio Adrianon. Quest’ultimo, verosimilmente, terrorizzato dalla ferocia degli islamici lasciò la città sola a difendersi, riducendo alla fame combattenti e abitanti.
In difesa della città dai continui attacchi via terra opposero resistenza l’intera popolazione siracusana, asserragliandosi sulle alte mura della Basilica di San Giovanni.
Alle estenuanti battaglie parteciparono molti temerari e spavaldi giovani appartenenti a diversi ceti sociali, molti di essi nobili: e grazie alle loro strategie e a nuove tecniche di combattimento, per qualche tempo, fronteggiarono al meglio l’esercito arabo.
Foto 3 - Effige dell’Imperatore Basilio I il Macedone
A determinare l’esito delle numerose battaglie via terra, contribuirono gli armamenti più potenti e il numero di combattenti saraceni, meglio equipaggiati e corredati di armature di gran lunga superiore a quelli insufficienti e inadeguati dispensati dai bizantini ai siracusani. (foto 4)
Siracusa rimase senza un adeguato apparato logistico che i bizantini avrebbero dovuto garantire, tanto per mantenere le condizioni di efficienza dei guerrieri, tanto più per offrire continuità al rifornimento di mezzi di trasporto, armi e medicamenti, nonché la fornitura di acqua e viveri necessarie per motivare al meglio combattimenti e residenti.
L’esito sfavorevole, che segnò il punto di svolta dell’occupazione araba, si completò determinando una vera e propria ecatombe della popolazione siracusana.
Foto 4 - La presa di Siracusa secondo lo storico bizantino Giovanni Scilitze  

Combattimenti impari avvennero pure per mare.
Il naviglio dei siracusani, sebbene contasse uno sparuto numero di barche: la flotta della marina battente bandiera bizantina, intenzionalmente si era dileguata, riuscì per parecchi mesi a contrastare sanguinosi scontri navali con disparità di flotta ed equipaggiamento militare.
Gli assedianti arabi disponevano di possenti e robuste imbarcazioni da guerra e avevano a bordo marinai molto abili, addestrati ed esperti (foto n. 5).  
Si narra che alla fine dei duri scontri armati, il mare che delimitala il porto grande di Siracusa era diventato di colore rosso-sangue, ingombro di morti galleggianti e intasato da navi spezzate e incendiate.
Foto 5 - Combattimenti navali tra gli assedianti arabi e siracuani
All’approssimarsi della primavera dell’878, con l’occupazione del porto grande che rappresentò la chiusura dell'ultima via di accesso per i rifornimenti, il destino di Siracusa apparve segnato.
Malgrado l’eroica resistenza e l’inspiegabile mancata difesa bizantina, il 21 maggio dell’878, gli islamici al comando dell'emiro Giafar Ibn Muhammed, irruppero dal Forte Campana (l'attuale Porta Marina), conquistando definitivamente la città: le bandiere con il simbolo bizantino (foto n. 6), furono definitivamente ammanniate.
Foto 6 - Bandiera bizantina innalzata sui pennoni delle navi
I documenti del tempo, riportano che il condottiero Giafar, dopo il vittorioso assedio, per la sua vanteria di aver conquistato Siracusa, anziché essere premiato, fu ucciso al suo ritorno a Palermo.
Per stessa ammissione araba, Siracusa, dopo molteplice fiaccante battaglie: “cadde non per resa ma per conquista”. (foto n. 7)
Foto 7 – Sbarco vittorioso delle armate navale arabe al Porto Grande   

La storia racconta, che alla stenuante difesa di Siracusa, partecipò in prima persona Teodosio, monaco cristiano siracusano (foto n.8), il quale prima di essere condotto a Palermo in catene, insieme all’arcivescovo Sofronio, trascrisse gli orrendi crimini perpetrati dagli arabi durante l'assedio dell'878:
L’uccellame domestico era consumato; conveniva mangiar come si potea di grasso o di magro; finiti i ceci, gli ortaggi, l’olio, la pescagione cessata dal dì che il nemico insignorissi dei porti. Ormai un moggio di grano, se avveniva di trovarlo, si comperava centocinquanta bizantini d’oro; uno di farina, dugento; due once di pane, un bizantino; una testa di cavallo o d’asino, da quindici a venti. Un intero giumento trecento. I poveri, poiché mancavano loro i salumi e le erbe solite a mangiarsi, andavano scerpando le amare e tristi su per le muraglie; masticavano le pelli fresche; raccoglievano le ossa spolpate, e pestate e stemprate con un po’ d’acqua le trangugiavano; rosicavano il cuoio; poi soverchiato dalla rabbiosa fame ogni ribrezzo, ogni sentimento di religione e di natura, dettero di piglio ai bambini; mangiavano i cadaveri dei morti in battaglia: sol nutrimento di cui non fosse penuria. Ingeneravasi da ciò una epidemia crudemente diversa dalla quale chi subitamente moriva in orribili convulsioni; chi enfiò com’otre; chi mostrava tutto il corpo foracchiato di piaghe; altri restava paralitico.”
(la traduzione appartiene a Michele Amari.
Foto 8 -Teodosio viene soccorso dal vescovo di Siracusa
Dopo la conquista della città, migliaia di combattenti e cittadini furono fatti prigionieri e molti altri ridotti alla schiavitù e deportati in Africa.
La caduta di Siracusa in mani araba, assai di più di quanto fosse avvenuto in precedenze per Mazzara del Vallo, Marsala e della stessa Palermo, creò grande apprensione in Italia e in tutta la cristianità bizantina.
A Costantinopoli, a quel tempo capitale dell’Impero Romano d’Oriente, Basilio, addolorato, reagì con ira nei confronti di Adrianon ammiraglio della flotta bizantina al quale fu imputato, invece di combattere a fianco dei siracusani, di avere codardamente abbandonò la città, facendo ritorno in patria.
Basilio fece frustare pubblicamente Adrianon, e privandolo dai gradi e dagli onori militari, lo spedì successivamente in esilio,

SIRACUSA DOPO L’OCCUPAZIONE ARABA
Pochi i segni distintivi lasciati dagli arabi nel corso della loro permanenza in Siracusa.
In epoca greca Siracusa era considerata la città più influente del Mediterraneo e vantava una quantità di ricchezze monumentali, artistiche ed economiche da impressionare i rudi arabi, dopo la sofferta conquista.
Lo stesso comandante Giafar al termine dell’assedio vincente, allorquando andò a esplorare la città rimase affascinato dall’intrinseca bellezza della città e dell’attestazione di ricchezza dell’architettura greca e romana, nonché dalla grandiosità di monumenti ed emblemi testimoni dei passaggi storici avvenuti prima dell’avvento arabo.
Gli arabi, tuttavia, dopo l’espugnazione di Siracusa vaporizzarono di fatto il potere bizantino rappresentato dalla città aretusea, capitale e sede metropolitana di tutte le chiese cristiane dell’isola; e senza scrupolo alcuno intrapresero la distruzione delle fortificazioni delle città, iniziando dalle mura dionigiane (foto n.9), poste all’ingresso dell’isola di Ortigia
Foto 9 -Resti delle mura dionigiane a Siracusa (sono visibili, appena si accede in Ortigia sul lato dstro),
Saccheggiano l’imponente Tempio di Apollo, costruito all’inizio del VI secolo a C., in epoca ellenica, che rappresentava e rappresenta ancora oggi il primo e più antico tempio dorico in Sicilia, divenuto in seguito chiesa bizantina.
Nel secolo decimo il tempio fu trasformato in moschea islamica.
Tuttora, sono visibili su alcuni lastroni di pietra calcare alcune iscrizioni arabe (foto n. 10), testimonianza delle modificazioni apportate dai saraceni al Tempio greco dedicato ad Apollo.
Foto 10 - Iscrizioni arabe presenti all’interno del Tempio di Apollo
Lo stesso Tempio di Athena, innalzato dal tiranno Gelone a seguito della vittoria a Imera nel 480 a.C., contro i Cartaginesi, fu modificato anch’esso in moschea. All’interno del Duomo di Siracusa si conservano, ancora oggi, mosaici arabo-normanni, collocati nella cappella del Battistero. (foto n. 11)
Foto 11 -mosaici arabo-normanni

Siracusa, nonostante fosse stata spogliata dalla rispettabilità di capitale dell’isola, riprese lentamente la propria vita sociale e in parte economica, grazie al posizionamento del porto, che continuò ad affermarsi con il traffico marittimo di navi mercantili provenienti da ogni parte del Mediterraneo.
Ma ciò non impedì a Siracusa, come del resto avvenne in quasi tutta la Sicilia orientale, di attraversare nel corso della dominazione saracena una rozza regressione culturale e soprattutto di mutare le agiate condizioni socioeconomiche che vantava.
E fu così che Siracusa, subito dopo l’occupazione araba, precipitò in uno stato di povertà assoluta.
La città, nel subire l’umiliante sconfitta, perse la tangibile testimonianza di civiltà bizantina, precipitando in una involuzione sociopolitico mai rappresentata dalle sue origini.
In Siracusa e in tutta la Val di Noto, si generarono discenti dei diversi emirati arabi. Molti siracusani furono costretti a farsi crescere lunghe barbe.
I musulmani e coloro che avevano abbracciato la fede islamica, alla loro morte, venivano seppelliti, dopo il lavaggio del corpo, in aree appositamente dedicate e con la deposizione del corpo rivolto verso est, ossia in direzione Qibla: la mecca.
La foto 12 documenta alcune sepolture di rito musulmano, rinvenute dagli archeologi nel territorio di Noto.
Foto 12 - Sepolture arabe rinvenute in Val di Noto

COSA HA LASCIARTO IN EREDITA’ LA DOMAINAZIONE ARABA?
Gli arabi, nei primi decenni dell’invasione, nel silenzio del parlare e in qualche caso nel silenzio delle azioni, furono giudicati da molti siciliani soggetti senza anima.
I nuovi padroni non persero tempo a disporre lo spostamento della capitale bizantina da Siracusa a Palermo, facendo divenire Palermo una città prosperosa popolata da circa 200 mila abitanti e da circa 300 moschee; in quell’epoca fu definita “città splendida”.
Ad avvenuta conquista di Siracusa, gli arabi, suddividendo la Sicilia in tre dipartimenti denominati “Valli”:
- Val di Mazzara con capitale Palermo, che di fatto divenne sede della nuova capitale del dominio musulmano:
- Val di Noto con capitale Siracusa;
- Val Demone con capitale Messina.
La spartizione in aree di influenza, soprattutto nel territorio siciliano della costa nord-ovest, mirava alla “conversione” della popolazione all’islamismo. Ma di fatto ebbe scarso successo, in quanto le tendenze volontarie al cambiamento di fede, in taluni casi, si rilevarono infruttuose.
La politica Kalbita, di estendere le colonie nel Val di Noto per contrastare l’egemonia cristiana si rilevò un grande fallimento, sicché si può affermare che l’islamismo non intaccò né le classi colte né tanto meno quelle plebee.
Con la conquista di Siracusa, gli arabi, completarono la dominazione in Sicilia.
Quasi tutte le località, pure quelle più sperdute all’interno dell’isola, caddero sotto il dominio degli islamici.
A ciascuna città conquistata i saraceni cambiarono il toponimo di origine greca, per come meglio illustrato nella info grafica n13.
Foto 13 - Siracusa nel toponimo arabo divenne Saracusa.

Fu cambiato pure il toponimo di quasi tutte le sorgenti d’acqua, con nome arabo. Gli arabi, e di ciò bisogna dare loro merito, costruirono un eccellente sistema di irrigazioni, realizzato a canali “saje”, allora sconosciute ai siciliani. (foto n.14)
Foto 14 - Modello irriguo utilizzato dagli arabi
Ancora oggi in molte località del centro terra isolano, resistendo nei secoli, sono visibile: torri serbatoio, cisterne e le famose ghabia (gèbbia) realizzate per convogliare parimenti le acque piovane occorrenti per la messa a coltura del riso; alimento mai più messo in piantagione in Sicilia. In epoche successive il riso verrà coltivato con successo, principalmente in Piemonte, Lombardia e Veneto.
Grazie ai nuovi impianti e alle tecniche realizzati dagli arabi, l’economia agricola isolana ebbe una sostanziosa spinta, accrescendo la produttività di ogni tipo di seminato.
Inoltre, in quasi tutte le tre capitali delle Val e ugualmente in altri luoghi della Sicilia, furono realizzati: orti e giardini di straordinaria bellezza.
Un altro positivo cambiamento radicale, rispetto ai sistemi arcaici utilizzati fino a quella epoca dai siciliani sotto le diverse dominazioni, gli arabi lo apportarono istituendo vere e proprie industrie minerarie: a quel tempo concentrate nel perimetro dell’Etna, laddove valorizzarono l’estrazione del piombo, mercurio e persino, seppur in piccole quantità, argento.
Iniziarono ad esportare, al di fuori delle acque del Mediterraneo: zolfo, vetriolo, allume, blocchi di antimonio e il famoso sale d’ammonio.
Ai siciliani gli arabi insegnarono, inoltre, l’infallibile tecnica per catturare i tonni a branco. La pesca, capeggiata dal rais, avveniva a mezzo di natanti da loro stessi progettati e si eseguiva - come del resto si realizzava sino a poco tempo fa - attraverso un intreccio di reti che conducevano i panciuti e pregiati pesci sino alla camera della morte, per poi ucciderli praticando la feroce mattanza, attraverso uncini da loro ideati.
Oltre a ciò, gli arabi insegnarono ai siciliani metodologia e maestria per la conservazione di ogni genere di pesce: salato e affumicato,
Nel corso delle varie dominazioni, tutte eterogenee tra loro, che si sono succedute in Sicilia e in particolare a Siracusa, sono ancora molte le parole delle lingue dei popoli dominatori che hanno influenzato il parlare siciliano e di cui ancora oggi troviamo traccia.
Ecco, alcune vocaboli arabi, che hanno ispirato il dialetto siciliano e quindi anche quello siracusano:
Parola araba – (in siciliano) = in italiano
arus - (arrusu) o iarrusu = pederasta;
habb aziz - (cabbasisi) = mi hai rotto i cabbasisi, (coglioni);
cafìszu – (cafisu) = misura da olio;
capu-rrais - (rais) = capo di tonnara-leader;
damus - (dammùsu) = volta rotonda casa a volta;
fadha - (fara) = ondata di calore insopportabile;
ghabia (gèbbia) = serbatoio per la conservazione dell’acqua per irrigazione;
mamluk - (mammaluccu) = sciocco;
miskīn - (mischinu) = poverino, persona poco fortunata;
naq’ah - (naca) = culla;
qala - (càlia) = ceci tostati;
sa’ra-harrafh - (sciara) = colata lavica;
sebbara - (zabbara) = agave, piante a fibre tessili;
soth - (zotta) = frusta;
sùkkar - (zuccaru) = zucchero;
ṭalaʿa´ - (taliari) = guardare, osservare;

E poi tante altre parole ancora in contemporaneo uso: ammucciàri = nascondersi; annacàri = muoversi; babbalùci = lumache; balàta = lastra di pietra utilizzata per realizzare le strade; cammìsa = camicia; giuggiulena = semi di sesamo.
Nessuno potrà negare che nel corso della loro dominazione, la dinastia islamica sciita Kalbiti abbia messo in opera un’accurata rete idrica, in quell’epoca quasi inesistente in Sicilia.
Così come viene riconosciuto agli arabi le innovative tecniche di irrigazione.
Nel campo di nuove piantagioni, agli islamici è riconosciuto l’importazione in Sicilia di: albicocco, pistacchio, carciofo, menta, canna da zucchero e i gelsi per coltivazione del baco da seta.
E poi molti alimenti, tipico il cous cous, la pasticceria: la cassata siciliana e la stessa granita affondano radici arabe. La combinazione del cibo di strada oggi in circolo in Sicilia e altrove, come la buona e tipica arancina (al femminile panciuta a Palermo), arancino (al maschile e a forma di cono a Siracusa e Catania).
E non ultimo va citato il tè. In particolare, l’infuso verde alla menta: avvolgente nel profumo e rinfrescante in estate, che dalla teiera (foto 15) veniva versato in bicchierini, anche in segno di convivale.
Foto 15 – antica teiera araba
Nel corso della loro dominazione gli arabi per coniare le monete utilizzarono il sistema monetario improntato dal coevo bizantino, avvalendosi del bimetallico, il cui impianto era già stato sperimentato e coniato a Siracusa.
Nella sostanza, gli arabi imitarono il conio delle esistenti monete bizantine, mutandone il nome in: quarto dinar, soprannominato tari che vuol dire fresco di conio.
Diffuse anche le emissioni in rame, quali i "fals", sulla falsariga dei folles bizantini. Immisero sul mercato, quale innovazione, pure l'uso di gettoni di vetro.
Molti esemplari di questi gettoni-moneta, raffigurate da scritte in arabo, per la loro resistenza, in anni recenti sono stati ritrovati sotterrati tra le campagne siciliane.
Le monete presentavano al dritto la professione di fede, al rovescio il nome dell'autorità emittente e la data del conio.
All’interno del “medagliere” del Museo Paolo Orsi di Siracusa, si trova custodita una raccolta del conio arabo.
Per la compravendita di pietre preziose e di gemme colorate, per la pesatura, gli arabi si servivano dei semi contenuti all’interno della carruba, in quanto i chicchi del carrubo hanno tutti lo stesso peso specifico.

STRASCICHI DELLA DOMINAZIONE e CAMBIAMENTO CULTURALE  
Il cambiamento delle abitudini e la prevaricazione della culturale araba, assai ostiche da abbracciare, travolsero i siracusani in un segnato decadimento che rischiò di incidere sulle loro prospettive future.
Rilevante si avverti tra la popolazione il disagio, rabbia e rancore, accompagnato da un forte risentimento nei confronti dei saraceni.
Assai marcato fu l’acredine esternato dai siracusani nei confronti degli islamici, perché si prospettata l’istaurazione del principato ereditario, destinato a dominare per gli anni successivi l’isola e con essa Siracusa.
Come, d’altronde, compirono (per fortuna non tutte) le altre dominazioni succedutesi in Sicilia, anche gli islamici saccheggiarono, in ogni città occupata, ricchi bottini.
La preda di guerra degli arabi nell’espugnare Siracusa, come confermano gli storici, ammontò a più di 1.000.000 di monete bizantine d’oro (bisanti) e alla razzia di materiale sacro per circa 5.000 libbre di bottino, circa una tonnellata e mezzo, maltolto mai conquistato nel corso delle loro invasioni.
Le battaglie combattute dagli arabi per sottomettere al loro volere la città di Archimede, assunsero carattere demoniaco, simile a quello che i greci definivano “phthonos”, ossia: invidia, rancore nei confronti dei siracusani che per oltre nove mesi con zelo e ancipite caratterizzazione avevano difeso con personificata tyche sé stessi e i bizantini, rinunciando ad arrendersi.
Ed è per questa ragione che gli islamici, ad avvenuto insediamento in Siracusa, eliminarono ogni insegna di cristianità: distrussero case, incendiarono chiese cristiane, mutilarono buona parte delle sculture e delle raffigurazioni di divinità greche, romane e bizantine, della tendenza del tempo.
Molti siti archeologici vennero trasformati, attraverso opere edili precari e di discutibile valore architettonico, in luoghi di culto islamico.
I cittadini di Siracusa, come del resto avvenne nelle diverse città siciliane, furono costretti a pagare copiose tasse, tra le quali la Gesia; tributo musulmano per eccellenza.  
Coloro che si opponevano e non si piegavano al loro regime, alle nuove leggi e alla nuova religione, venivano imprigionati; i più ostinati, tra i quali molti ebrei, che si rifiutarono di cucire sugli abiti e/o di tinteggiare sulle porte delle case il segno di identificazione islamico, furono privati della loro libertà: molti incarcerati per parecchi anni nelle prigioni palermitane, altri spediti in catene in nord-africa.
Costrinsero molti siciliani e tra essi numerosi siracusani a convertissi alla religione islamica praticando ai maschi adulti il khitan, il rito della circoncisione.
Molte le donne obbligate con violenza a cambiare religione.
Le femmine che si opponevano all’islamismo, e furono in tante, venivano stuprate e sottomesse alla schiavitù. Le giovani di spiccata bellezza ottenevano il bene placido di concubina e asservite all’interno del gineceo degli harem degli emiri invasori.
Ragazze, talune ancora minorenne, furono costrette, contro la loro volontà, a sposare i barbuti invasori arabi.
“Il diritto Malakita”, nel mentre impediva ad una donna mussulmana di sposare un uomo non mussulmano, consentiva ad un uomo mussulmano di sposare una cristiana o un'ebrea.
In virtù di codesto unilaterale diritto, nel corso del dominio arabo in Sicilia e quindi anche in Siracusa, molti furono i matrimoni intrecciati tra musulmani, anche di pelle nera e donne isolane.

FINISCE LA DOMINAZIONE ARABA
Dopo oltre 160 anni di dominio arabo la riconquista di Siracusa e in parte della Sicilia la compì, con avventurosa approssimazione, il generale bizantino Giorgio Maniace (foto 16); taluni storici asseriscono che era orbo da un occhio.
Foto 16 – Giorgio Maniace - generale strategos autocràtor
Ma fu di breve durata.
A causa delle intrecciate lotte (tipiche del bizantinismo) tra i reali di Bisanzio, Siracusa dopo appena due anni, finì nuovamente nelle mani dell’emiro Ibn ath-Thumna.
Quest’ultima (ri)conquista si rileverà però salutare per la città aretusea, dato che quest’ultimo governatore arabo per mantenere il proprio potere, chiamò in suo soccorso i Conti di Altavilla; importante dinastia di origine Normanna.
Ma per respingere definitamente il dominio arabo in Siracusa, si assunse l’onere Ruggero I (foto 17), il quale all’interno del porto grande, con il suo naviglio, in una acerrima battaglia navale, affrontò la flotta islamica capeggiata da Ibn Abbàd, detto Benavert.
Foto 17 – Ruggero I
Si narra che il comandante arabo tentò personalmente l’arrembaggio sulla nave di Ruggero; stratagemma fallito che vide Benavert finire annegato appesantito dalla spessa armatura.
Con la successiva riconquista di Noto, sempre guidata dalle truppe di Ruggero I, Siracusa e con essa la Sicilia vennero definitivamente liberati nel 1091 dalla dominazione araba
Tornando alla figura di Maniace, c’è da dire che i siracusani non hanno mai nutrito simpatia per l’orbo Maniace, il quale, prima di essere richiamato in patria, per poi essere imprigionato per volere dell’Imperatore Michele IV, trafugò in maniera ingannevole le reliquie di Santa Lucia per consegnarle a Costantinopoli all’Imperatrice Teodora, quale segno di (falsa) vittoria sugli arabi. Maniace depredò, in ugual modo, diverse opere d’arte in marmo, bronzo e argilla di estimabile valore.
Nonostante ciò, Siracusa ha (maldestramente) dedicato a Maniace il Catello che immettendosi via mare nel porto lo si trova sulla punta destra di Ortigia; fortezza successivamente riedificata con lo stile tipicamente (del rinascimento) federiciano, ossia di Federico II (foto 19)
Foto 19 – Federico II
CONCLUSIONE
Una cosa è sicuramente inconfutabile, e va detta.
Difficilmente nel corso dei diverse dominazioni che si sono succeduti in Sicilia si è mai visto un popolo difendere la minaccia esogena di estinzione da una dominazione straniera, contro un altro potere dominate anch’esso egemonizzante.
Ciò accade a Siracusa, in occasione dell’assedio arabo; circostanza in cui l’intera collettività, di ogni ordine civile, politico e intellettuale: dai nobili, alla borghesia e al proletariato, attraverso quello che oggi si definisce friend shoring, si mobilitò con i giovani in prima linea per difendere la cultura assimilata dai bizantini, impegnandosi in una stenuate, furiosa e sanguinaria guerra contro il dominio saraceno.
Lungi da me, in conclusione, formulare “giudizi” sul comportamento degli occupanti di fede islamica guidati dal supremo Maometto.
Nel 1300 ci penserà Dante, il quale conoscendo bene cosa accadde in Sicilia in occasione dell’occupazione araba, nella fossa infernale dell’ottavo cerchio, non esita a ridicolizzare il dannato Maometto, quale seminatore di discordia.  
Nella Divina Commedia nella bolgia, lì dove Dante riferendosi a coloro che “ebbero colpa nello "”sconnettere”" nel creare divisioni e discordie: Maometto aprendosi il petto, chiede clemenza allo stesso Dante.
Ma Dante s’indigna a tal punto che con la più volgare delle perifrasi dei cantici l’apostrofa: “'l tristo sacco / che merda di quel che si trangugia”.

«Or vedi com' io mi dilacco! vedi come storpiato è Mäometto!»
(XXVIII, vv. 30-31). Illustrazione di Paul Gustave Doré

La Sicilia essendo al centro del bacino del Mediterraneo è stata meta di popoli e culture assai diversi ed eterogenee tra loro.
A cominciare dalla preistoria si contano oltre venti dominazioni. Tra i diversi conquistatori si annovera, inizialmente, la presenza di etnie indigene provenienti dal nord Europa.
Nel corso dell’Età del Bronzo, giunsero in Sicilia le prime civiltà indoeuropei e poi gli antichi popoli dei Sicani, Siculi, Elimi, Morgeti e Ausoni.
Intorno al 1200 a.C. e nei secoli successivi, sbarcano in Sicilia: fenici, greci, romani e in straordinaria successione altre 14 dominazioni di popoli, sino ad arrivare all’unificazione d’Italia del 1860.
La convivenza dei siciliani con le diverse dominazioni è stata plasmata nel corso dei secoli tra la pluralità dell’identità degli occupanti e le contrapposizioni intrecciate e aggrovigliate dei siciliani, influenzati da elementi instabili e mutevoli.
Talvolta, i siciliani hanno innescato storici processi rivoluzionari, compiuti senza mai abbassare la testa, pronti a insorgere con dignità distintiva, come riconobbe Karl Marx: “nessuno ha lottato in modo tanto indomabile per la propria emancipazione come la Sicilia e i siciliani”.
Se gli storici, contemporanei e futuri, quelli del passato con sfumature diverse l’hanno già arato, si prenderanno la briga di interpretare, con un processo stocastico, il perché la Sicilia per millenni sia stata terra di dominatori, a cui va riconosciuto il merito di averci fatto parlare le loro lingue, insegnato: pesca, allevamento, nuove tecniche in agricoltura e industria, nonché di averci affidato un inestimabile patrimonio: archeologico, storico, artistico e culturale di elevata ricchezza, oggi fonte di benessere turistico, nessuna egemonia è riuscita a mutare e migliorare lo stato sociale ed economico della popolazione isolana.
E a tale motivo viene spontaneo domandarsi: perché?
Perché, nessuno tra i tanti conquistatori, abbia mai generato opulenza per i siciliani; quel benessere che altre regioni italiane, grazie anche ai loro invasori, sono riusciti ad acquisire avvantaggiandosene?
Perché il segno caratterizzante della Sicilia, per quanto si è cercato di intraprendere febbrili rivendicazioni di limitato esito, a tutt’oggi è contrassegnato dallo stigma declassante del sottosviluppo in cui attualmente soccombe?
Perché non si è riusciti a modificare l’attuale condizione socioeconomica, politica e morale di arretratezza e povertà?
Talune significative “risposte” che racchiudono tanti altri “perché” sono documentati all’interno del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa:
<<…  il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali …i Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti: la loro vanità è più forte della loro miseria; ogni intromissione di estranei sia per origine sia anche, se si tratti di Siciliani, per indipendenza di spirito, sconvolge il loro vaneggiare di raggiunta compiutezza, rischia di turbare la loro compiaciuta attesa del nulla; calpestati da una decina di popoli differenti essi credono di avere un passato imperiale che dà loro diritto a funerali sontuosi….>>
Un’altra amara “risposta”, che annoda tante altre, lo motivò Giovanni Giolitti, cinque volte presidente del Consiglio dei ministri: “la Sicilia è popolata da presuntuosi, abili solo alle lagne, lagne e piagnistei…”
Ma c’è anche chi, come l’amico Antonio Randazzo cantastorie siracusano, mette in versi una “risposta”, incorniciata in una bellissima poesia dialettale, invitando la Sicilia ad “alzarsi”:
Trinacria susiti
Num viri ca tutti ti pistunu ?
Susiti
Isatilli ‘ssi rinocchia
Unn’ iè u curaggiu anticu ri l’omini to?
Quantu ancora a soffriri pi viriri luci?
Nenti nenti co sangu s’annacquò ca panza china ri tanti?
Quann’ è c’arriva u tezzu jonnu?
Quantu voti a moriri?
A vò luvari ‘ssa crozza i ‘ssu cantuni?
Stennili ‘ssi frazza ma pi pigghiaritilla!
U sai ca u saziu nu’ criri o riunu?
U beddu mari tu vinnisti pi soddi
pi bisognu ti vinnisti l’anuri
co cimentu cangiasti ‘a terra
mancu aceddi cantunu chiù
Isili si rinocchia!
Riodditi co Suli spunta macari pi tia
Isili s’occhi a cu ti Criò
Iddu ti runa a fozza ma u restu mettaccillu tu
Nu’ mannari chiù se voi vai
Senti ‘u vespru sona pi tia!

Giuseppe Rosano


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