Greci - Storia

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
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Greci

Greci
Fondazione di Siracusa-dove sbarcarono i coloni greci

NAVI GRECHE




Testo tratto da Siracusa 27 secoli di storia di Carlo Morrone Editore Maura Morrone
La storia di Siracusa e della Sicilia ha inizio nell'VIII secolo a. C.. con la colonizzazione greca.
Più di, cento furono le colonie fondate dai Greci e molte di queste eguagliarono in potenza e in civiltà la stessa madre patria.
Da Corinto proveniva Archia Bacchiadi quando sbarcò nella palude che circonda il porto intorno, all'isolotto di Ortigia, nel 734 a.C.
Più tardi coi suoi uomini occupò l'isolotto sottomettendo gli indigeni. Probabilmente sì trattava di Siculi, cioè popolazioni italo-meridionali immigrate in Sicilia nel XIV secolo a.C., respingendo all'interno e a occidente i preesistenti Sicani.
Si presume che allora in Ortigia («quaglia», dal greco) esistesse il piccolo scalo appartenente al centro di Hybla (oggi Pantalica) situato sull'acrocoro roccioso alle spalle di Siracusa; lo stesso scalo deve essere servito anche ai Fenici per i loro traffici commerciali.
Il nome «Siracusa» potrebbe derivare dagli acquitrini del fiume Anapo (etimo siculo); oppure dalla presenza di gabbiani sul litorale rupestre (etimo fenicio).
Molti erano i vantaggi che Ortigia offriva ai nuovi arrivati: l'acqua abbondava (fonte Aretusa; fiumi Anapo e Ciane) e l'isola si poteva difendere facilmente da ogni lato.
Molto presto fu stabilito un collegamento tra l'isola e la terraferma mediante un terrapieno, poi trasformato in ponte.
Dalla fusione tra i Greci e i Siculi nacquero una nuova stirpe e una nuova cultura, detta siceliota, che raggiunse l'apice dello sviluppo del V sec. a.C.
Pantalica nel territorio di Sortino a circa 34 chilometri da Siracusa

TRIREMI GRECHE



I GRECI IN SICILIA
(734 a.C.-213 a.C.)
I coloni della città ionica di Calcide, guidali da Teocle, sbarcarono per primi (734 a.C.) sulla spiaggia di Taormina e vi fondarono Naxos e successivamente Katane, Zancle e Leontinoi, i Dori di Corinto fondarono Siracusa, mentre i coloni di Megara fondarono la nuova Megara.
Coloni di Rodi e di Creta fondarono Gela (688 a.C. ).
Negli anni successivi queste colonie fondarono altre città. le sub-colonie:
716 a.C. nacque Mylai, fondata daZancle;
664 a.C. Akrai (Siracusa);
648 a.C. Imeras (Zancle);
644 a.C. Kasmenai (Siracusa);
630 a.C. Selinous (Megara);
598a.C. Kamarina (Siracusa);
581 a.C. Akcragas (Gela).

NASCE SIRACUSA






ARCHIA BACCHIADI FONDATORE DI SIRACUSA
(secondo la leggenda)



Nel 734. proveniente da Corinto, Archia raggiunse le coste orientali della Sicilia.
Facevano parte della "comitiva" la nobile famiglia degli Jamidi, il poeta Eumelo, un profeta di Olimpia, artisti e architetti oltre ad un centinaio di amici e soldati.
Sbarcati, probabilmente nei pressi della foce del fiume Anapo, i Dori spinsero verso le montagne gli abitanti dell'isoletta di Ortigia e di alcuni villaggi di Siculi che si trovavano nelle zone del Plemmirio e del Cozzo Pantano.
Le tribù indigene furono costrette ad arretrare fin sulle alture della valle dell'Anapo.
Secondo Tucidide, la stessa sorte toccò ai Fenici ma di questo popolo non sì è trovata traccia; evidentemente si trattava di piccole comunità commerciali che abitavano l'isoletta di Ortigia per pochi mesi l'anno, senza quindi stanziamenti fissi.
Il Beloch ha escluso categoricamente la presenza dì Fenici nella Sicilia orientale in tempi preellenici e sostiene che quelli che Tucidide chiama "Fenici" altri non erano che viaggiatori e commercianti Egeo-Micenei.
Il nome Siracusa viene fatto derivare dal dialetto fenicio: sur ( scoglio) e acco (caldo), ma i più sono propensi ad accettare la teoria di Stefano Bisanzio, secondo la quale il nome deriva da Syraco, come si chiamava la palude non molto distante da Ortigia, nei pressi dei "Pantanelli".
Oltre alle case e agli edifici pubblici, i Corinzi innalzarono, come consuetudine, numerosi templi: sull'Acropoli (la odierna piazza Duomo) sorse l'Athenaion nei pressi del porto piccolo, l'Artemision; sulla collinetta che domina la foce dell' Anapo sorse l'Olimpeion (la zona oggi nota come "Due colonne"); all'imboccatura del porto grande, dove è oggi il castello Maniace, sorse il tempio dedicato a Era (Heraion) e, proprio di fronte (al "Plemmirio"), quello dedicato ad Eracle (Erarcleion).
Originariamente Siracusa si governò a "repubblica aristocratica", amministrata cioè dai cittadini più colti e nobili, a somiglianza della città madre; ma lentamente divenne una "repubblica timocratica"; presero cioè il sopravvento i ricchi proprietari terrieri: i Gamori o Ottimati.

SIRACUSA SI ESPANDE
Meno di un secolo dopo la sua fondazione, Siracusa aveva raggiunto una tale potenza ed una tale prosperità, da potersi permettere dì fondare essa stessa nuove città: nel 664 a.C. sorse Akrai, l'odierna Palazzolo "Acreide". nel 644 a.C. Casmene (nei pressi dell'attuale Scicli) e nel 599 a.C. Camarilla (l'odierna S. Croce Camerina).
Fu proprio quest'ultima "figlia" a creare i primi seri problemi a Siracusa; dopo appena cinquant'anni dalla sua fondazione, insorse chiedendo libertà ed autonomia.
Siracusa domò la rivolta e riportò alla ragione la città ribelle.
Ma, poco dopo, con una mossa a sorpresa Camarilla accettò la protezione di Ippocrate di Gela, sfidando ancora una volta la repubblica siracusana.
L'esercito siracusano, partito alla volta di Camarilla, fu però bloccato da quello gelese, nei pressi del fiume Eloro.
Fu un massacro; gli scampati furono condotti in catene a Gela.
Vale la pena ricordare che la cavalleria gelese in quell'occasione era guidata da un nobile generale: Gelone.
Ringalluzzita da questa facile vittoria, l'armata gelese si diresse alla volta di Siracusa per darle il "colpo di grazia" e sarebbe riuscita nell'intento, se le repubbliche di Corinto e di Carcica non fossero intervenute per tempo.
Non vi fu scontro armato, si raggiunse una pace mediata tra le due città alle seguenti condizioni: Gela teneva la città di Camarilla. Siracusa riaveva tutti i prigionieri della battaglia di Eloro.

GRAVI CONTRASTI INTERNI

GELONE

Risolto temporaneamente il problema Gela-Camarina, un altro minò la sicurezza interna di Siracusa: i Cilliri, servi della gleba addetti ai lavori nei campi, esasperati dall'atteggiamento prepotente dei Gamori, nel 486 insorsero e li espulsero dalla città.
I fuoriusciti rientrarono in città con l'aiuto di Gelone che, nel frattempo, era divenuto tiranno di Gela.
In quella occasione Gelone si proclamò tiranno di Siracusa, affidando Gela al fratello Ierone (485 a.C.).
Gelone si dedicò con entusiasmo all'ingrandimento e all'abbellimento della sua nuova conquista; nel 492 a.C. distrusse Megara e trapiantò i cittadini nei nuovi quartieri di Siracusa.
Aiutato dal suocero Terone, tiranno di Agrigento, sconfisse i Cartaginesi ad Imera, era il 480 a.C,, e nello scontro perse la vita lo stesso generale punico Amilcare.
Fra le condizioni di resa, imposte ai vinti, figurava il divieto di sacrificare agli dei esseri umani.
I prigionieri furono impiegati, fra l'altro, nella costruzione dei templi di Agrigento.
Anche Gelone, per celebrare degnamente questa vittoria, fece erigere nella parte più alta della sua città un tempio dedicato ad Athena.
Una grave ed improvvisa malattia portò alla morte Gelone all'età di 62 anni .
Il popolo, che stimava ed amava il grande comandante, eresse in suo onore un imponente sepolcro turrito, nei pressi dell'Olimpeion.

Gelone accompagna i Gamori a Siracusa (dis. di S.Seggi)




IL DOPO GELONE

IERONE PRIMO L'ETNEO




A Gelone subentrò Ierone I che proseguì l'opera di abbellimento della città egregiamente iniziata dal fratello.
Attuò una politica di espansione che, ripresa dai suoi successori, porterà Siracusa a divenire una delle potenze più ricche e più temute del Mediterraneo.
Sebbene alleato di Imera, lasciò che Terone la distruggesse e trucidasse gran parte della popolazione; fu valoroso soldato; inferse agli Etruschi nel 474 a.C una clamorosa sconfitta presso Cuma; sconfìsse anche Trasideo di Agrigento che aveva tentalo di attaccare Siracusa. Ricostruì la città di Catania, che egli stesso aveva raso al suolo, ribattezzandola, Aetna (da qui l'appellativo "l'Etneo").
Alla morte gli successe il quartogenito della sua famiglia, Trasibulo (il terzogenito, Polizzello, era nel frattempo morto), uomo facinoroso e violento che non riuscì a governare per più di undici mesi, perchè espulso dalla città.
Sospettoso di tutti, assoldò mercenari e spie facendo trucidare tutti quelli che, secondo le "informazioni", minacciavano il suo governo.
Catturato, vigliaccamente implorò pietà per sé e per la famiglia; ottenutala, si rifugiò a Locri dove visse il resto della sua vita, dimenticato da tutti.
I Siracusani per l'occasione organizzarono solenni festeggiamenti che furono riproposti tutti gli anni.
Assieme a Trasibulo furono allontanali dalla città i mercenari da lui assoldati; lo stesso fu fatto da tutte quelle città della Sicilia, mano mano che andavano liberandosi dalla tirannide.
I mercenari, in massima parte campani, andarono a stanziarsi nella città di Zancle, dove col tempo formarono il popolo dei Mamertini (figli di Marte).
I Neopoliti, forestieri che avevano ricevuto dai vari tiranni la cittadinanza siracusana, crearono altri guai.
Insofferenti per non riuscire ad integrarsi nel tessuto sociale della città, con una arditissima mossa riuscirono a trincerarsi in Ortigia e in Acradina. dopo avere trascinato fuori l'intera popolazione.
Fu in tale occasione che il quartiere Tiche (così detto per via del tempio della dea Tyche che lì era stato eretto) fu cinto da mura e si arricchì di case.
Sorse nel contempo anche la quarta Siracusa, Neapolis.
I Neopoliti dalla posizione di conquistatori, ben presto si trovarono in quella di assediati e, in quanto tali, destinati a soccombere; infatti, in una sortita, furono sopraffatti dai Siracusani.
Quelli che riuscirono a salvarsi dal massacro, furono banditi dalla città.


ANCORA GUAI PER I SICULI ANCORA GUAI PER I SICULI

DUCEZIO in una elaborazione computerizzata di una moneta



I Siculi che avevano dovuto cedere le loro terre ai coloni greci che giornalmente raggiungevano la Sicilia, erano in fermento e pronti a combattere per liberare le loro città e le loro terre dal nemico invasore.
Ducezio di Neas era riuscito a risvegliare in essi l'amor patrio e a fondare una lega alla quale aderirono quasi tutte le città Sicule.
L'operazione, iniziata nel 459 a.C., dopo numerosi successi iniziali (erano riusciti ad impossessarsi di Enna, Morgantina, Catana e Inessa), si tramutò in disfatta.
Lo stesso re fu catturato mentre tentava di prendere Motya; gli fu risparmiata la vita per gli alti meriti culturali che gli stessi nemici gli riconobbero, ma fu mandato in esilio a Corinto.
Tulle le città che avevano preso parte all'azione militare furono sottomesse da Siracusa e costrette a pagare un tributo annuo.
In particolare la furia siracusana si abbattè su Trinakia, la più grande delle città sicule, situata nei pressi di Morganzio.
Dopo un breve assedio, vi fu uno scontro di inaudita violenza; l'intero esercito siculo fu sbaraglialo, dei soldati nessuno si salvò, decisi come erano a salvare la città o a morire con essa.
La determinazione sicula provocò ingenti perdite anche all'esercito siracusano che, alla fine, vittorioso si precipitò nella città vinta per il consueto saccheggio.
Ancora una sorpresa aspettava i soldati: tutti gli uomini che non avevano potuto combattere, le donne, i vecchi e i bambini di Trinakia. si erano reciprocamente uccisi o suicidali.
Superato il primo momento di raccapriccio, i soldati saccheggiarono la città morta.

AGATOCLE



La repubblica democratica, istituita da Timoleonte, durò appena vent'anni; nel 317 a.C., infatti, sopraggiunse una nuova sventura di nome Agatocle.
Espulso da Siracusa già da semplice cittadino, perché ritenuto "elemento pericoloso", vi fece rientro con la forza.
Con una serie di sotterfugi, riuscì a farsi nominare stratego della città.
Convinto che la strada della tirannide fosse disturbata "solo" dai seicento nobili del governo repubblicano, li fece uccidere tutti in una sola notte e, nel contempo, eliminò altre settemila persone che in qualche modo potevano disturbare i suoi piani. Fu proclamato tiranno di Siracusa!
Gli eccidi furono il suo forte; assediato dai Cartaginesi, anziché fronteggiarli, guidò personalmente una flotta in Africa, lasciando in città lutti i soldati originari di Siracusa e portando con se i mercenari ed i figli dei ricchi e nobili siracusani in ostaggio.
Parecchie città cartaginesi caddero nelle sue mani ed il bottino che riuscì ad accumulare fu ingentissimo. Agatocle non riuscì comunque ad espugnare Cartagine.
Rientrato in Sicilia, ordinò il massacro delle famiglie che, in sua assenza, avevano tramato contro di luì.
Fece ritorno in Africa perche le città conquistate si erano ribellate e, quasi tutte, avevano ripreso la propria autonomia; ma, vista l'impossibilità di venire a capo di una situazione divenuta insostenibile, abbandonò l'esercito e i suoi stessi figli sulle spiagge africane e fece ritorno a Siracusa con una sola nave. Ovviamente la rabbia dei soldati si riversò proprio sui figli del tiranno e questi, saputa la notizia, fece uccidere i parenti dei soldati "assassini".
Sopite le velleità espansionistiche, Agatocle si dedicò alla sua città: costruì in Acradina un reggia, detta "dei sessanta letti" dal numero dei letti contenuti nella sala del triclinio. Ma pensò anche a fortificarla; costruì infatti due fortezze a guardia del porto piccolo, una in Ortigia e l'altra di fronte, in Acradina. Sottomise gran parte della Calabria.
Si imparentò con Pirro, re dell'Epiro, dandogli in sposa la figlia Lanassa. Questo matrimonio, a causa della dissolutezza e della ostentata infedeltà del re, finì presto: Lanassa che aveva avuto un fìglio da Pirro, passò a nuove nozze con Demetrio Poliocerte, re della Macedonia.
Nel 289 a.C. Agatocle finì i suoi giorni avvelenato da Menone, uno dei suoi favoriti.
Fu ripristinata la repubblica e, come usciti da un incubo, i Siracusani si dettero scancellare i segni della tirannide: distrussero lutti i monumenti che raffiguravano il vecchio Agatocle e abbatterono le costruzioni da lui volute.
I mercenari e i più fidali soldati del tiranno abbandonarono la città e occuparono Messena, formando con gli altri mercenari che abitavano la città, il popolo dei Mamertini.

ANCHE PIRRO CI PROVA
PIRRO RE DELL'EPIRO

Pirro, raffigurato come Marte. Statua marmorea del I sec. d.C. conservata presso i Musei Capitolini.

Un nuovo ed inatteso attacco cartaginese, portò i Siracusani a chiedere aiuto a Pirro, genero di Agatocle, che accettò l'incarico ben volentieri, per il semplice fatto che gli si presentava l'occasione di realizzare un suo antico sogno: unificare sotto il suo scettro i Greci d'Occidente e quelli d'Oriente.
Accolto come liberatore, Pirro giunse in Sicilia nel 278 a.C. con un consistente esercito e i proverbiali elefanti; i Cartaginesi non attesero l'arrivo dell'epirola e tolsero l'assedio.
Il nuovo re non trovò in Sicilia quella collaborazione da lui auspicata per combattere i Cartaginesi per cui, improvvisamente, mutò atteggiamento nei confronti dei siciliani al punto che molte città, avvedutesi dell'errore commesso, chiesero aiuti impensabili: si rivolsero ai Mamertini di Messena e agli stessi Cartaginesi.
Pirro, confuso da queste anomale alleanze, sì ritirò dapprima a Siracusa e poi nel 275 a.C. abbandonò ogni cosa anche perché richiesto dai Tarantini nella guerra contro Roma.
Siracusa ricostituì la repubblica e per sei anni visse governata da strateghi finché, con una mossa a sorpresa, l'esercito, alla morte di Liparo, impose alla popolazione uno stratego di fiducia: Ierone. Il senato accettò di buon grado "l'imposizione" dall'esercito, soprattutto perché Ierone era ben noto e stimato da tutti.
Una delle prime azioni promosse da Ierone II tu la stipula di un trattato di pace con i Cartaginesi, che garantì alla città lunghi anni di tranquillità.
Depurò la città di tutti gli elementi indesiderabili, inviandoli in una missione impossibile contro i Mamertini; la spedizione si tramutò, come aveva previsto, in una disfatta sul fiume Dittaino.
Con i soldati siracusani e con quelli fidati formò un corpo disciplinato col quale portò un attacco ai Mamertini: assediò Messena, ma la sua operazione fu ostacolata dai Romani e Ierone fu costretto ad abbandonare l'operazione, parecchio deluso del fatto che Roma, città potente e nobile, avesse accettato di proteggere un popolo di "ladroni e vili assassini". L'azione a favore dei Mamertini rappresentava per Roma solo un pretesto per mettere piede in Sicilia.

ARCHIMEDE DA SIRACUSA

ARCHIMEDE PDF




Archimede viene ucciso da un soldato romano Raffaele Persichini 1794-1861
Nacque a Siracusa nel 287 a.C. Delle sue origini non si sa quasi nulla; secondo Plutarco era parente di Ierone II, ultimo tiranno di Siracusa.
Viaggiò attraverso la Grecia, l'Egitto e l'Asia Minore, per ampliare le conoscenze. Studiò alla scuola dei "continuatori" di Euclide ad Alessandria, alla corte dei Tolomei.
Strinse legami di amicizia con l'astronomo Conone e con il geometra Dositeo.
Si occupò di aritmetica e di geometria; studiò, fra l'altro, la quadratura del cerchio e della parabola, il volume della sfera in rapporto a quello del cilindro circoscritto e, con gli studi e la sperimentazione, gettò le basi della statica e dell' idrostatica.
Risolse il problema, ampiamente dibattuto al suo tempo, riguardante il numero dei granelli di sabbia che compongono il globo terrestre, dimostrando l'inadeguatezza della numerazione greca.
Fra le sue invenzioni, le più famose sono la coclea, che è nota con il nome di "vite di Archimede", la ruota dentata ed il paranco differenziato col quale si sarebbero potute varare pesantissime navi.
Studiò i fenomeni della rifrazione e della riflessione. Osservando i fenomeni provocati dall'addensamento dei raggi luminosi, pervenne alla invenzione degli "specchi ustori" coi quali, pare dall'alto delle mura del castello Eurialo, danneggiò seriamente la flotta romana.
Inventò e costruì una macchina per lanciare grossi massi, la catapulta. Studiò le leve, la carrucola, la spirale, l'elica, traendo delle conclusioni utilizzate dalla scienza moderna.
Condusse studi sui corpi galleggianti e sui pesi specifici. "Nihil non dicendi Archimedi credam" (non credo a nulla che non sia detto da Archimede), era la frase che soleva ripetere Ierone II, a dimostrazione della fiducia e della stima che egli nutriva per lo scienziato.
Morì nel 212 a.C. ucciso da un soldato romano, durante il saccheggio di Siracusa.



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