I colori e le forme del sacro - Mostre Galleria Roma Siracusa

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I colori e le forme del sacro

MOSTRE 2013
Oggetto: Mostra Collettiva
Titolo: I COLORI E LE FORME DEL SACRO
Presentazione: Salvo Sequenzia
Luogo: Galleria Roma - Piazza San Giuseppe 2
Data: 30 marzo - 9 aprile 2013
Inaugurazione: 30 marzo  2013 ore: 18,30
Orario di Apertura: dal martedì alla domenica
17,00 - 20,30
Organizzazione e
Direzione Artistica:
Corrado Brancato
Addetto Stampa: Amedeo Nicotra

galleriaRoma
artecontemporanea siracusa


Sabato 30 marzo alle ore 18,30 il semiologo prof. Salvo Sequenzia, presenta la collettiva d'arte I COLORI E LE FORME DELL'ARTE  settima edizione.


IN COLLOQUIO CON IL SACRO


Nota in margine alla esposizione collettiva “I colori e le forme del sacro”




Il percorso espositivo della collettiva “I colori e le forme del sacro”, ideato ed allestito con sobrietà ed eleganza da Corrado Brancato nella Galleria d’arte contemporanea “Roma” di Ortigia, accoglie le opere di un gruppo di artisti che hanno testimoniato il loro rapporto con la dimensione del “sacro” attraverso i linguaggi, le tecniche, i colori, le forme e i simboli propri della loro esperienza artistica e della loro formazione.

Le opere presenti in mostra sono legate da un fine comune che è quello di dare “riconoscibilità” ed evidenza al “sacro” attraverso l’espressione artistica,  nella ricerca di una intima sacralità intrinseca al gesto creativo: ricerca  che si realizza sia nel recupero di alcuni modelli ed “exempla” della tradizione cristiana, restituita nella “teatralità” figurale, nella evocazione di vicende, momenti, personaggi e simboli della grande “narrazione” vetero-testamentaria e neo-testamentaria; sia in una riflessione più intima e personale, sciolta da ogni suggestione religiosa e culturale, ed aperta ad accogliere la dimensione del “sacer” in tutta la sua tremenda portata, nel suo mistero e nel suo “scandalos”.

In effetti, l’idea fondativa della mostra risiede nella riflessione compiuta da Mircea Eliade su quell’«ispessimento ontologico»  che caratterizza le società “post-secolari” come la nostra: ovvero il  fatto che il sacro, nell’arte contemporanea, è divenuto spesso irriconoscibile, camuffandosi in forme, propositi e significati che sono, apparentemente, ‘profani’ o che si sciolgono in un indistinto, vacuo  e confuso panismo esoterico e soteriologico; esso non si riconosce più immediatamente e facilmente, perché non è più espresso attraverso il linguaggio religioso convenzionale. Se queste sono le premesse teoriche, le opere presenti in mostra ingrediscono verso una più ampia comprensione dei limiti, dei significati e delle “potenzialità”, in senso spinoziano, che la parola ‘sacro’ ancora conserva ai nostri giorni nell’ambito dell’esperienza estetica ed artistica.

Ogni artista ha realizzato la propria opera consapevole che essa, a prescindere dai riferimenti culturali e religiosi, dai modelli di riferimento e dalle qualità stilistiche e compositive che la caratterizzano, definisce già, con la sua mera “presenza”, uno spazio di riguardo, inviolabile, “sacro”, nell’accezione che rinvia direttamente all’etimologia della parola: circoscritto, ristretto, separato. La distanza che ogni opera “delimita” – quand’anche non abbia a che vedere con una dimensione trascendente, o comunque ‘superiore’ – può essere sia meramente spaziale e fisica, sia temporale, sia culturale. In ogni caso, tuttavia, tale distanza permane invariabilmente a segnare una straordinarietà, un’eccezionalità: l’”aura”, ovvero una dimensione emergente, umbratile, pervasiva,  non ordinaria né quotidiana, sottratta alla morsa del tempo cosale e mondano, precipitata e assorta nello “spectaculum”, vale a dire nella contemplazione  e nella esperienza percettiva di  “qui spectat”, colui che guarda e intuisce attraverso lo sguardo.

Tale dimensione non è, contrariamente alle apparenze, avulsa dalla vita; anzi, alla sua immanenza è quasi impossibile resistere, sia essa fondata sull’incanto e sulla fascinazione, sia sul timore e sull’inquieto avvertimento del mistero e dell’ignoto. Limite e “soglia”, confine e passaggio, lo spazio sacro si costituisce sempre come rapporto – ora esclusivo e privato, ora collettivo e condiviso – tra mondi diversi; e come invito, per chi guardi, a lasciarsi trasportare, ad affidarsi all’opera e a sperimentare, così, una sorta di “straniamento” contemplativo o di empatica immedesimazione.

In tal senso, l’approccio al “sacro” che questa esposizione rivela è anche un “colloquio”.

Infatti, ciascun artista ha voluto significare – anzi, ribadire – nel proprio lavoro, che  l’essere dell’uomo è radicato essenzialmente nel linguaggio, cioè nella sua capacità di aprirsi all’Altro, nell’attitudine a poter dare  e  ricevere incondizionatamente,  nella disposizione ad accogliere l’Alterità e ad esserne “invaso”, penetrato, fecondato. Ciò si dà, nel modo più intimo e assoluto, entro la dimensione del “colloquio”, in quel silenzioso scambio che avviene attraverso le parole. Il parlare, il linguaggio, rendono possibile l’incontro. E l’arte propizia e sperimenta, nel tempo umano che ci è dato vivere, la forma più  assoluta e perfetta di “colloquio”. In questo suo carattere precipuo di apertura alla dimensione dell’Alterità, nel suo incamminarsi dentro l’oscurità del bosco e smarrirsi in essa, sino all’avvertimento e alla comprensione della luce della “radura”,  l’arte sperimenta il sacro, e ne diviene “ermenuta” e custode.     

Pluricità e diversità di linguaggi, di tecniche compositive, di modulazioni cromatiche e di declinazioni iconiche caratterizzano la mostra, in cui spiccano, accanto ad alcune riconoscibili “voci” del parterre artistico siracusano che si sono cimentate col tema, anche talenti inediti emergenti.

Pregevole la qualità degli esiti artistici, sia dal punto di vista della “rivisitazione” dei “topoi” e dei temi afferenti alla cultura religiosa, sia dal punto di vista formale e stilistico.

Al di là dei valori formali ed estetici, la mostra “Colori e forme del sacro” ha voluto rappresentare, per tutti noi, uno spazio di interrogazione e di indagine che scompagina posizioni semplicistiche e, spesso, opportunistiche distinzioni tra fede e scienza, tra credenti e non credenti: spazio fecondo ed aurorale di domanda, di fervida attesa, di incontro e di colloquio.

Alla deriva inarrestabile del “genocidio” culturale dell’Occidente, europeo ed italiano in particolare, è compito e missione della “communitas” degli artisti proclamare la verità e il mistero della bellezza, la sua “sacralità, nell’età del disincanto.

E questa mostra, realizzata con amorevole cura in una  galleria d’arte ormai storica nella piccola isola di Ortigia, non è venuta meno a tale compito, a questa missione.


Salvo Sequenzia
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