Rizzo Emanuele Giulio
personaggi 800 siracusano
Giulio Emanuele Rizzo,
uno dei più insigni archeologi e numismatici che Siracusa abbia avuto, cui è stata però intitolata una via che non è nella zona che ricorda quelle figure più rappresentative, cioè la zona di Ortigia che gravita nella prima parte dell’isola, dopo il ponte Umbertino: Giulio Emanuele Rizzo: è la via che va da via Necropoli Grotticelle a largo E. Mauceri. Se per la dislocazione dell’abate don Emilio Bufardeci non troviamo nessuna motivazione perché non sia stato messo assieme agli altri tra le vie che ricordano le altre figure siracusane rappresentative del Risorgimento, per Giulio Emanuele Rizzo una motivazione plausibile esiste: egli visse a cavallo dei due secoli e la via che gli è stata dedicata è nei pressi del teatro greco. Gli è stata dedicata quella , perché - come quella che è stata dedicata a Paolo Orsi, o quella che è stata dedicata a Francesco Saverio Cavallari è nei pressi del teatro greco, quindi in una zona che ha perfettamente da fare con l’attività che svolsero i nostri tre primi grandi archeologi; solo che i primi due non erano Siracusani, mentre Giulio Emanuele Rizzo nacque nella provincia di Siracusa, a Melilli, a pochi chilometri dal capoluogo aretuseo. 116 Si può dire che sia stato il più grande archeologo che Siracusa abbia mai avuto, perché gli altri sono venuti tutti da fuori. Si può dire anche che, mentre a Siracusani operarono insigni archeologi provenienti dalle altre città, l’archeologo siracusano svolse la sua preziosa attività di docente universitario tutta in continente, o , comunque, al di fuori della nostra provincia. E tuttavia fu proprio Giulio Emanuele Rizzo a studiare per primo il teatro greco. Questo dopo la distruzione di Siracusa operata dai Romani, durante la loro dominazione aveva subito radicali trasformazioni E altre trasformazioni e defraudamenti nelle sue strutture subì nel Medio Evo e nel Rinascimento, per cui ai tempi del Rizzo era quasi del tutto sepolto e nella cavea crescevano rigogliosi persino degli alberi. E addirittura vi erano stati costruiti dei mulini, che funzionavano con l’acqua che vi facevano pervenire dall’acquedotto Galermi, che passava proprio per la gradinata. I primi saggi per la restituzione del teatro erano stati fatti dal Landolina, dal Logoteta, dal Capodieci, fino al Cavallari: Solo Paolo Orsi, comunque, era riuscito , a ridargli in qualche modo l’aspetto di teatro, ma non a restituirgli, almeno in parte, l’aspetto originale. Ma anche quando Tommaso Mario Gargallo ed Ettore Romagnoli vollero organizzarvi il primo ciclo di tragedie con la rappresentazione dell’Agamennone, il teatro continuava a rimanere l’illustre sconosciuto. Fu proprio lo studio che ne fece Giulio Emanuele Rizzo che illustrò il monumento in modo esauriente, meritando di vincere il premio bandito dall’Accademia dei Lincei, con la monografia “ Il teatro Greco di Siracusa”, le cui deduzioni furono si può dire di carattere definitivo. Giulio Emanuele Rizzo nacque a Melilli il 28 maggio 1865, cioè dopo la formazione dell’Unità d’Italia , per cui non si può dire effettivamente uomo del nostro Risorgimento, ma del Risorgimento ebbe tutto lo spirito libero, che non si piegava a certe imposizioni di regime, abituato com’era per discendenza di sangue ad essere un liberale autentico. Il padre, l’avv. Gaetano Rizzo, figura di primo piano della Melilli risorgimentale, voleva farne un legale come lui; ma il giovane, che già a 16 anni aveva ottenuto la maturità classica, avrebbe voluto intraprendere gli studi umanistici, per cui sentiva la massima inclinazione. Laureatosi in legge a Catania, comunque, approfondì gli studi dei classici che nel frattempo non aveva trascurato, pur dedicandosi agli studi giuridici; pertanto si trasferì a Palermo e frequentò la facoltà di lettere classiche in quell’università e ssi laureò brillantemente discutendo una tesi su “ Imerio il Sofista”, che poi venne pubblicata nella Rivista di filosofia e d’istruzione nel 1898. Le sue prime esperienze di archeologo e gli elogi fattigli dal Palo Orsi Ritornando a Melilli, nel 1889 doppiamente laureato, assistette alla campagna di scavi che stava allora conducendo Paolo Orsi a Megara Iblea. Essendo egli del posto e avendo avuta l’opportunità di conoscere a fondo il territorio, dove i suoi avevano una proprietà, fu di prezioso aiuto all’insigne archeologo di Rovereto che ne ammirò la grande preparazione globale e la particolare inclinazione per l’opera di ricerca archeologica. Ne nacque una sincera amicizia che durò fino alla morte dell’Orsi e che diede l’occasione ai due di scambiarsi una fitta corrispondenza. Così i risultati di quella campagna di scavi furono pubblicati con le relazioni dell’Orsi e del Cavallari e recensiti da Giulio Emanuele Rizzo nel 1895. Tuttavia nei primi anni della laurea dovette adattarsi all’insegnamento delle lettere nei 117 licei e insegnò a Trapani, a Palermo, a Messina, a Girgenti e a Catania. Questi continui spostamenti da città a città gli giovarono molto perché dovunque giungeva si metteva a contatto con gli uomini più rappresentativi e arricchiva la sua cultura e la sua esperienza, per cui gli fu facile poi conseguire la libera docenza in letteratura greca. Ad Agrigento e a Catania potè dedicarsi agli studi sui vasi e sulle statue fittili; visitando più volte Siracusa si potè dedicare allo studio di “ Vasi greci di Sicilia”, per cui la sua preparazione personale nel campo dell’archeologia era divenuta veramente eccezionale. Paolo Orsi, che, come abbiamo detto, ne conosceva la preparazione, gli consigliò di lasciare l’insegnamento per fargli assumere l’incarico di Ispettore del Museo di Napoli. E fu lì che possiamo dire si fece le ossa, perché in quel museo trovò un vero caos, che si diede subito a ordinare. Ma presto fu trasferito a Roma con l’incarico di Direttore del Museo Nazionale Romano e del Museo delle Terme Diocleziane. Dirigendo il Museo Nazione ebbe modo di partecipare anche alla campagna di scavi si allora si stava svolgendo nel Foro Romano , con la qualifica di Ispettore incaricato dello scavo dell’Ara Pacis.. A dirigere tutti i lavori era Felice Bernabei, figura di primo piano nel campo dell’archeologia ma anche della politica, essendo anche deputato e consigliere di Stato, al quale il Rizzo non era gradito perché il nostro collaborava anche con una società tedesca istituita a fini esclusivamente scientifici, per cui aveva accettato di partecipare con i tedeschi in una campagna di scavi in Turchia e in Grecia.. Ora, avendogli il Bernabei espresso il suo disappunto per questa sua collaborazione, il Rizzo rispose dicendo con molto coraggio che egli non dipendeva da nessuno e che poteva offrire la sua collaborazione scientifica a chi voleva e che “nessuno può pretendere, per ciò, la mia gratitudine, né la mia devozione…” Un’altra dimostrazione del suo spirito libero fu la sua chiara avversione al regime fascista e quando firmò il Contromanifesto dettato dal Croce in opposizione a al Manifesto inneggiante al fascismo firmato da Giovanni Gentile. Egli fu ospite diverse volte a colazione del re Vittorio Emanuele, che era un numismatico e un grande amatore dell’archeologia in genere.. Avendo vinto il concorso per la cattedra di Archeologia all’Università di Torino, accettò anche se malvolentieri, avendo preferito rimanere a Roma. Ma proprio a Torino iniziò quella che è stata ritenuta l’opera sua più grande: Storia dell’Arte Greca” per l’apporto dato agli studiosi italiani di liberarsi dalla… supremazia tedesca; opera che venne elogiata anche da Benedetto Croce. Lasciata finalmente Torino, dopo 7 anni, ritornò a Napoli dove assunse la cattedra di Archeologia e dove pubblicò diverse altre opere, meritando di essere accolto come socio nell’Accademia di Architettura, Lettere e Belle Arti, poi in quella dell’Accademia Francese e infine in quella dei Lincei. Nel 1925 potè ritornare a Roma che per lui era la città ideale, come docente di Archeologia e di Storia dell’Arte Antica. Nel 1933 fu nominato membro del Consiglio Direttivo dell’Istituto Italiano di Archeologia e Storia dell’Arte. Esonerato dall’insegnamento, potè dedicarsi a quell’altra colossale opera che fu “ L’arte delle monete della Magna Grecia e della Sicilia”, cui seguì “ Monete greche della Sicilia descritte ed illustrate da G.E. Rizzo” ,preceduta da saggi preparatori, ma pubblicata solo nel 1946. L’anno prima era stato eletto presidente della ristabilita Accademia dei Lincei, in sostituzione del Croce; ma presto si dimise per non essere soggetto a nessuna pressione. Morì a Roma l’1 febbraio del 1950. Quest’anno, cinquantesimo anniversario dalla sua morte, a Siracusa pare che nessuno se ne sia ricordato, se non con una breve monografia dal titolo “ Il maestro Sikelio”