Gelone
G
vedi anche:https://www.antoniorandazzo.it/stitutomediterraneostudiuniversitari/6-gelone.html
Nacque a Gela nel 540 a.C. da Dinomene, di famiglia sacerdotale, proveniente da Rodi.
Fu il maggiore di quattro fratelli, a lui seguirono lerone, Polizzello eTrasibulo.
Giovanissimo si distinse per doti militari e coraggio, tanto da diventare, in breve, comandante della cavalleria gelese, sotto il tiranno Ippocrate.
Fu lui a sconfiggere l'esercito siracusano ad Eloro nel 493 a.C. e ad organizzare l'assedio di Siracusa.
Morto Ippocrate, Gelone divenne tutore dei figli del tiranno; dominò la rivolta popolare che mirava alla proclamazione della repubblica e si fece nominare tiranno di Gela.
Nel 485 aiutò i Gamori di Siracusa a fare rientro nella loro città e a riprendere le terre loro requisite dai servi della gleba; si proclamò nel contempo tiranno di Siracusa, affidando Gela al fratello Ierone.
Sotto la sua guida, Siracusa divenne ricca e potente; magnanimo, ma allo stesso tempo fermo e giusto, estese i territori siracusani fino a tutta la costa orientale della Sicilia, esclusa Catania.
Sposò Damareta, figlia di Terone tiranno di Agrigento.
Alleato con il suocero sconfisse i Cartaginesi ad Imera, nella storica battaglia del 480 a.C. e con il ricco bottino fece costruire a Siracusa numerosi templi fra cui l'Athenaion, accanto a quello dorico già eretto, ma ancora incompleto.
Abbellì il tempio di Artemide e nella Neapolis ne eresse altri due dedicati a Demetra e a Core.
Fece coniare magnifiche monete, che dal nome della moglie si chiamarono Damaretee.
Governò fino al 478 a.C. anno della sua morte, sopraggiunta per un attacco di idropisia.
Il popolo costernato eresse in suo onore un monumento funebre (i Cartaginesi lo abbatteranno e Agatocle, geloso, farà sparire ogni traccia).
DA WIKIPEDIA
Gelone (in greco Γέλων; in latino Gelo, -onis; Gela, 540 a.C. – Siracusa, 478 a.C.) fu tiranno di Gela dal 491 a.C. e di Siracusa dal 485 a.C. alla morte. In qualità di figlio di Dinomene, fu il maggiore dei Dinomenidi; i suoi fratelli erano infatti Ierone I che sarebbe divenuto sovrano di Gela prima e di Siracusa dopo la sua morte, Polizelo futuro signore di Gela al posto di Ierone I e Trasibulo, succeduto a Ierone I nel ruolo di tiranno di Siracusa.
Figlio di Dinomene, appartenne ad una delle più illustri famiglie della sua città natale, Gela, nonché una delle più antiche, avendo infatti i suoi antenati partecipato alla fondazione della polis stessa. Iniziò la sua carriera militare come guardia del corpo del tiranno Ippocrate di Gela, distinguendosi nel corso delle varie campagne belliche condotte dal monarca fino ad ottenere la promozione a capo della cavalleria[1]. Quando il suo signore morì, nel 491 a.C., i cittadini geloi si sollevarono in rivolta contro i giovani figli del tiranno, suoi successori, nel tentativo deporre il governo tirannico. Gelone, allora, dapprima intervenne in difesa della causa dei figli di Ippocrate, soffocando la sollevazione cittadina, ma solo per assumere in seguito egli stesso il potere di signore di Gela, mettendo da parte i giovani legittimi successori. Successivamente a questo colpo di stato, pare che Gelone abbia governato indisturbato sulla città per qualche anno, fino allo scoppio di vantaggiosi dissidi interni alla polis siracusana, che gli permisero di interferire con le faccende della rivale. A Siracusa, infatti, il partito oligarchico dei Gamoroi, uscito sconfitto dalla lotta con la fazione oppositrice dei Killichirioi, era stato esiliato dalla città e si era rifugiato presso Casmene[2]. Gelone difese la loro causa e si adoperò, con una mobilitazione armata, per ottenere il loro rimpatrio; di rimando i cittadini sicracusani gli aprirono le porte e si sottomisero a lui senza alcuna opposizione (485 a.C.).
« Al tempo della tirannide di Ippocrate, Gelone, discendente del sacerdote Teline, era doriforo di Ippocrate assieme a molti altri, tra i quali Enesidemo, figlio di Pateco. In breve tempo per il suo valore fu nominato comandante di tutta la cavalleria; infatti quando Ippocrate assediò Gallipoli, Nasso, Zancle, Lentini, nonché Siracusa e varie città barbare, Gelone in queste guerre si distinse in modo particolare. »
(Erodoto, Libro VII, 154)
Affidata Gela al fratello Ierone, spostò la sede del proprio governo a Siracusa, concentrandosi da quel momento in poi all'accrescimento ed al potenziamento della città. Distrusse Camarina, ricostruita dal predecessore Ippocrate non molti anni prima, deportandone gli abitanti a Siracusa; deportò anche oltre la metà della cittadinanza geloa e, essendo cadute le città di Megara Ibleae di Eubea sotto il suo controllo, trapiantò tutti i loro cittadini più ricchi a Siracusa, riducendo in schiavitù coloro che lo erano meno[3]. In questo modo Gelone portò Siracusa ad un alto livello di benessere e prosperità, detenendo un forte potere tirannico che mai fu posseduto da un Greco fino a quel momento. Tale fu infatti la sua fama ed il suo prestigio, che a lui si rivolsero gli ambasciatori Spartani ed Ateniesi per richiedere sostegno in vista dell'imminente invasione della Grecia pianificata dal Gran Re Serse. In risposta Gelone offrì di concedere una flotta di 200 triremi e di 28.000 soldati solo a patto che gli lasciassero il posto di comando delle operazioni militari panelleniche, o almeno dei soli contingenti navali, ma gli ambasciatori non vollero sottostare a simili condizioni e respinsero la richiesta del tiranno, il quale ritirò la propria offerta e non intervenne in aiuto delle metrepoleis durante la seconda guerra persiana[4].
Quando Terillo, signore di Imera, venne scacciato dalla proprio città dal vincitore Terone, tiranno di Agrigento, e chiamò in suo aiuto i Cartaginesi, pare che un poderoso dispiegamento di 300.000 uomini si sia mosso dalle coste africane sino in Sicilia, giungendo senza alcun intoppo al porto di Palermo. L'armata, guidata dal cartaginese Amilcare I, arrivò alle mura di Imera, sottoponendo la città ad un minaccioso assedio, a cui oppose una tenace resistenza lo stesso agrigentino Terone. Poiché egli, poco tempo prima, aveva stretto alleanza con Gelone, offrendogli in sposa la figlia Damarete in segno di amicizia tre le due famiglie tiranniche, non passò molto perché il Dinomenide giungesse ad Imera a capo di un esercito alleato costituito da 50.000 uomini appiedati e 5.000 cavalieri. La battaglia che ne seguì, per quanto numericamente impari, terminò con una totale disfatta per le truppe cartaginesi e con un'inattesa vittoria degli alleati siracusani ed agrigentini (480 a.C.). Persino le città greche fino a quel momento avverse alla politica di Gelone, dopo quest'episodio bellico, si dimostrarono benevole nei confronti del tiranno, che raggiunse l'apice del proprio potere e della propria fama da regnante. Benché vittorioso, Gelone non intraprese nessuna campagna militare in risposta all'inglorioso tentativo cartaginese né pretese onerosi indennità di guerra: pare infatti che, su consiglio della moglie Damarete, durante le trattative di pace abbia solo richiesto che presso di loro avesse fine la consuetudine di sacrificare agli dei esseri umani. Il corposo bottino di guerra, costituito da un gran numero di schiavi e di altre ricchezze, gli consentì di abbellire Siracusa con nuovi templi e monumenti, e di inviare in dono a Delfi una ricca offerta di ringraziamento votivo per la vittoria conseguita.
Risale a questa fase della sua tirannia l'aneddoto secondo cui egli, in dimostrazione della sua condotta non dispotica, disarmato, si presentò dinnanzi all'esercito ed alla cittadinanza siracusana riunita in assemblea dichiarando di lasciare nelle loro mani il potere e di restituire loro il governo della città, venendo tuttavia immediatamente dopo riconfermato tiranno per acclamazione del popolo intero[5].
Gelone morì nel 478 a.C., solo due anni dopo la vittoria di Imera e sette dalla data di inizio della sua tirannia. Sebbene avesse un figlio, lasciò in eredità al fratello minore Ierone I il potere e la moglie Damarete, ed a Polizelo il comando dell'esercito.
Il governo di Gelone [modifica]
Durante il suo governo avviò una vasta monumentalizzazione di Siracusa urbanisticamente spostò l'agorà da Ortigia al quartiere Acradina, inoltre fece costruire il tempio di Demetra e Kore vicino al teatro greco, e in onore alla vittoria contro Himera eresse il tempio di Athena e l'acquedotto Galermi.
Considerato un tiranno moderato e giusto, non ebbe difficoltà a governare il suo popolo e dopo la sua morte ebbe un culto da eroe. Ad un certo punto del suo governo, egli radunò il popolo in assemblea per rimettere il comando della città. Disarmato chiese di mantenere il potere o di farselo togliere, alché il popolo per acclamazione lo invitò a restare il sovrano di Siracusa[6][7].
Alla sua corte attresse molti poeti e drammaturghi, favorendo anche la costruzione del teatro greco di Siracusa. Ebbe anche una grande fama all'estero, poiché i cartaginesi erano alleati dei persiani, che da anni conducevano una guerra contro gli ellenici. Gli succedette Gerone I.
Fu il maggiore di quattro fratelli, a lui seguirono lerone, Polizzello eTrasibulo.
Giovanissimo si distinse per doti militari e coraggio, tanto da diventare, in breve, comandante della cavalleria gelese, sotto il tiranno Ippocrate.
Fu lui a sconfiggere l'esercito siracusano ad Eloro nel 493 a.C. e ad organizzare l'assedio di Siracusa.
Morto Ippocrate, Gelone divenne tutore dei figli del tiranno; dominò la rivolta popolare che mirava alla proclamazione della repubblica e si fece nominare tiranno di Gela.
Nel 485 aiutò i Gamori di Siracusa a fare rientro nella loro città e a riprendere le terre loro requisite dai servi della gleba; si proclamò nel contempo tiranno di Siracusa, affidando Gela al fratello Ierone.
Sotto la sua guida, Siracusa divenne ricca e potente; magnanimo, ma allo stesso tempo fermo e giusto, estese i territori siracusani fino a tutta la costa orientale della Sicilia, esclusa Catania.
Sposò Damareta, figlia di Terone tiranno di Agrigento.
Alleato con il suocero sconfisse i Cartaginesi ad Imera, nella storica battaglia del 480 a.C. e con il ricco bottino fece costruire a Siracusa numerosi templi fra cui l'Athenaion, accanto a quello dorico già eretto, ma ancora incompleto.
Abbellì il tempio di Artemide e nella Neapolis ne eresse altri due dedicati a Demetra e a Core.
Fece coniare magnifiche monete, che dal nome della moglie si chiamarono Damaretee.
Governò fino al 478 a.C. anno della sua morte, sopraggiunta per un attacco di idropisia.
Il popolo costernato eresse in suo onore un monumento funebre (i Cartaginesi lo abbatteranno e Agatocle, geloso, farà sparire ogni traccia).
DA WIKIPEDIA
Gelone (in greco Γέλων; in latino Gelo, -onis; Gela, 540 a.C. – Siracusa, 478 a.C.) fu tiranno di Gela dal 491 a.C. e di Siracusa dal 485 a.C. alla morte. In qualità di figlio di Dinomene, fu il maggiore dei Dinomenidi; i suoi fratelli erano infatti Ierone I che sarebbe divenuto sovrano di Gela prima e di Siracusa dopo la sua morte, Polizelo futuro signore di Gela al posto di Ierone I e Trasibulo, succeduto a Ierone I nel ruolo di tiranno di Siracusa.
Figlio di Dinomene, appartenne ad una delle più illustri famiglie della sua città natale, Gela, nonché una delle più antiche, avendo infatti i suoi antenati partecipato alla fondazione della polis stessa. Iniziò la sua carriera militare come guardia del corpo del tiranno Ippocrate di Gela, distinguendosi nel corso delle varie campagne belliche condotte dal monarca fino ad ottenere la promozione a capo della cavalleria[1]. Quando il suo signore morì, nel 491 a.C., i cittadini geloi si sollevarono in rivolta contro i giovani figli del tiranno, suoi successori, nel tentativo deporre il governo tirannico. Gelone, allora, dapprima intervenne in difesa della causa dei figli di Ippocrate, soffocando la sollevazione cittadina, ma solo per assumere in seguito egli stesso il potere di signore di Gela, mettendo da parte i giovani legittimi successori. Successivamente a questo colpo di stato, pare che Gelone abbia governato indisturbato sulla città per qualche anno, fino allo scoppio di vantaggiosi dissidi interni alla polis siracusana, che gli permisero di interferire con le faccende della rivale. A Siracusa, infatti, il partito oligarchico dei Gamoroi, uscito sconfitto dalla lotta con la fazione oppositrice dei Killichirioi, era stato esiliato dalla città e si era rifugiato presso Casmene[2]. Gelone difese la loro causa e si adoperò, con una mobilitazione armata, per ottenere il loro rimpatrio; di rimando i cittadini sicracusani gli aprirono le porte e si sottomisero a lui senza alcuna opposizione (485 a.C.).
« Al tempo della tirannide di Ippocrate, Gelone, discendente del sacerdote Teline, era doriforo di Ippocrate assieme a molti altri, tra i quali Enesidemo, figlio di Pateco. In breve tempo per il suo valore fu nominato comandante di tutta la cavalleria; infatti quando Ippocrate assediò Gallipoli, Nasso, Zancle, Lentini, nonché Siracusa e varie città barbare, Gelone in queste guerre si distinse in modo particolare. »
(Erodoto, Libro VII, 154)
Affidata Gela al fratello Ierone, spostò la sede del proprio governo a Siracusa, concentrandosi da quel momento in poi all'accrescimento ed al potenziamento della città. Distrusse Camarina, ricostruita dal predecessore Ippocrate non molti anni prima, deportandone gli abitanti a Siracusa; deportò anche oltre la metà della cittadinanza geloa e, essendo cadute le città di Megara Ibleae di Eubea sotto il suo controllo, trapiantò tutti i loro cittadini più ricchi a Siracusa, riducendo in schiavitù coloro che lo erano meno[3]. In questo modo Gelone portò Siracusa ad un alto livello di benessere e prosperità, detenendo un forte potere tirannico che mai fu posseduto da un Greco fino a quel momento. Tale fu infatti la sua fama ed il suo prestigio, che a lui si rivolsero gli ambasciatori Spartani ed Ateniesi per richiedere sostegno in vista dell'imminente invasione della Grecia pianificata dal Gran Re Serse. In risposta Gelone offrì di concedere una flotta di 200 triremi e di 28.000 soldati solo a patto che gli lasciassero il posto di comando delle operazioni militari panelleniche, o almeno dei soli contingenti navali, ma gli ambasciatori non vollero sottostare a simili condizioni e respinsero la richiesta del tiranno, il quale ritirò la propria offerta e non intervenne in aiuto delle metrepoleis durante la seconda guerra persiana[4].
Quando Terillo, signore di Imera, venne scacciato dalla proprio città dal vincitore Terone, tiranno di Agrigento, e chiamò in suo aiuto i Cartaginesi, pare che un poderoso dispiegamento di 300.000 uomini si sia mosso dalle coste africane sino in Sicilia, giungendo senza alcun intoppo al porto di Palermo. L'armata, guidata dal cartaginese Amilcare I, arrivò alle mura di Imera, sottoponendo la città ad un minaccioso assedio, a cui oppose una tenace resistenza lo stesso agrigentino Terone. Poiché egli, poco tempo prima, aveva stretto alleanza con Gelone, offrendogli in sposa la figlia Damarete in segno di amicizia tre le due famiglie tiranniche, non passò molto perché il Dinomenide giungesse ad Imera a capo di un esercito alleato costituito da 50.000 uomini appiedati e 5.000 cavalieri. La battaglia che ne seguì, per quanto numericamente impari, terminò con una totale disfatta per le truppe cartaginesi e con un'inattesa vittoria degli alleati siracusani ed agrigentini (480 a.C.). Persino le città greche fino a quel momento avverse alla politica di Gelone, dopo quest'episodio bellico, si dimostrarono benevole nei confronti del tiranno, che raggiunse l'apice del proprio potere e della propria fama da regnante. Benché vittorioso, Gelone non intraprese nessuna campagna militare in risposta all'inglorioso tentativo cartaginese né pretese onerosi indennità di guerra: pare infatti che, su consiglio della moglie Damarete, durante le trattative di pace abbia solo richiesto che presso di loro avesse fine la consuetudine di sacrificare agli dei esseri umani. Il corposo bottino di guerra, costituito da un gran numero di schiavi e di altre ricchezze, gli consentì di abbellire Siracusa con nuovi templi e monumenti, e di inviare in dono a Delfi una ricca offerta di ringraziamento votivo per la vittoria conseguita.
Risale a questa fase della sua tirannia l'aneddoto secondo cui egli, in dimostrazione della sua condotta non dispotica, disarmato, si presentò dinnanzi all'esercito ed alla cittadinanza siracusana riunita in assemblea dichiarando di lasciare nelle loro mani il potere e di restituire loro il governo della città, venendo tuttavia immediatamente dopo riconfermato tiranno per acclamazione del popolo intero[5].
Gelone morì nel 478 a.C., solo due anni dopo la vittoria di Imera e sette dalla data di inizio della sua tirannia. Sebbene avesse un figlio, lasciò in eredità al fratello minore Ierone I il potere e la moglie Damarete, ed a Polizelo il comando dell'esercito.
Il governo di Gelone [modifica]
Durante il suo governo avviò una vasta monumentalizzazione di Siracusa urbanisticamente spostò l'agorà da Ortigia al quartiere Acradina, inoltre fece costruire il tempio di Demetra e Kore vicino al teatro greco, e in onore alla vittoria contro Himera eresse il tempio di Athena e l'acquedotto Galermi.
Considerato un tiranno moderato e giusto, non ebbe difficoltà a governare il suo popolo e dopo la sua morte ebbe un culto da eroe. Ad un certo punto del suo governo, egli radunò il popolo in assemblea per rimettere il comando della città. Disarmato chiese di mantenere il potere o di farselo togliere, alché il popolo per acclamazione lo invitò a restare il sovrano di Siracusa[6][7].
Alla sua corte attresse molti poeti e drammaturghi, favorendo anche la costruzione del teatro greco di Siracusa. Ebbe anche una grande fama all'estero, poiché i cartaginesi erano alleati dei persiani, che da anni conducevano una guerra contro gli ellenici. Gli succedette Gerone I.
Gelone morì a Siracusa nel 478 a.C., sul letto di morte nominò suo successore il fratello Gerone I e affidò il figlio e la moglie al fratello Polizelo (che sarebbe divenuto signore di Gela), chiedendo allo stesso di prendere in moglie Demarete. Secondo le fonti alla sua morte il popolo pianse il sovrano a lungo ed eresse a sue spese un mausoleo per il sovrano medesimo vicino al tempio di Zeus ai Pantanelli.