Mendozza Giuseppe - Personaggi storici Siracusa

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Personaggi storici
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Mendozza Giuseppe

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GIUSEPPE MENDOZZA POETA PETRARCHESCO, AMICO E AVVERSARIO DI SALVATORE CHINDEMI  testo a cura di Arturo Messina
La via Giuseppe Mendozza è in Ortigia, sempre gravitante nella zona la cui toponomastica ricorda i siracusani insigni del periodo risorgimentale: essa va dai nn. 39-41 di Via Gargallo ai nn. 55-57 di via Vittorio Veneto. Egli fu uno dei coetanei e primi amici di Salvatore Chindemi. Lo ricorda lo stesso insigne professore e patriota in “ Siracusa dal 1826 al 1860” E’ uno degli episodi con cui inizia la sua narrazione, ricordando come avvenne che lasciò la tonaca, nel 1826, all’età di 18 anni Il Chindemi racconta che Giuseppe Mendozza era di famiglia distinta: e assieme a una sorella costituiva l’affetto e la speranza dei vecchi genitori “ tanto ricchi quanto avari” Il padre era un dignitoso magistrato conservatore e quando seppe che il figlio aveva perduto la testa per una giovane e avvenente attrice di una modesta compagnia che era venuta a Siracusa, ne provò vergogna e rabbia, ritenendo che così l’imprudente e focoso figli ponesse alla berlina la famiglia con il suo amore impossibile. Tenendo ancora a quello che era considerato un diritto inalienabile, cioè la patria potestà, e temendo che così facendo il figlio mandasse in aria i suoi piani, di stringere relazioni con una delle più nobili famiglie siracusane con un “matrimonio di sistemazione”, dato che Giuseppe era un giovane di non comune talento, che già spiccava tra i rampolli delle famiglie più notabili della città, soprattutto per il suo carattere dinamico, anche se volubile, e per la bellezza dei versi che riusciva a comporre ad imitazione di quelli del Petrarca, invitò il figlio a cessare quella “scandalosa” relazione.
L’amicizia e la rivalità tra lui e Salvatore Chindemi.
Il figlio, però, avendo preso una vera e propria cotta, che gli aveva stravolto il senno, non dava ascolto ai buoni consigli del padre e non intendeva rinunciare alla ragazza, anzi minacciava, se fosse stato ancora contrariato dal padre, di ricorrere a una delle tradizionali “fuitine” che i giovani siciliani usavano escogitare fino a qualche tempo addietro per realizzare il loro sogno d’amore. Allora il rigido magistrato lo fece rinchiudere in una stanza, dove intendeva tenerlo segregato finché la “testa sbintata” del figlio non si fosse piegata ai suoi suggerimenti e non si fosse tolta dal cervello quella ragazza. indegna di lui. A fargli qualche visita erano autorizzati solo alcuni sacerdoti: il padre lo consentiva, anzi, lo desiderava, nella speranza che quei buoni preti riuscisse a far mettere giudizio al suo irrequieto rampollo, a cui, da parte sua, rivolgeva inviti, promesse e minacce per indurlo a miglior ragione. Nessuno di loro riuscì a convincere il giovane invaghito insanamente e a riportarlo alla ragione, per cui tutti criticavano il comportamento del figlio “ snaturato”, così disubbidiente ai giusti voleri del padre. A comprenderlo e ad approvare la sua scelta anticonformista fu solo l’amico fraterno, Salvatore Chindemi, che allora vestiva la tonaca di frate minore più per necessità di circostanze che per convinzione e che anzi aveva già deciso di uscire dal convento ma non lo aveva fatto perché il vescovo Monsignor Amorelli aveva cercato di dissuaderlo. Un giorno Giuseppe scrive a all’amico Salvatore una lettera in cui gli manifestava il proposito di fare come aveva fatto Jacobo Ortis, deluso per la patria perduta e per l’amore tradito. Il giovane segregato trova il prete pietoso che fa recapitare la sua missiva al Chindemi, il quale con lo stesso messaggero gli fa recapitare una lettera di risposta, piena di saggi consigli ed esortazioni a perseverare nel suo proposito, avendo fiducia che l’amore alla fine trionfa. Giuseppe riceve da quella lettera tanto conforto che ritorna a scrivere più volte all’amico, il quale, a sua volta, ritorna a scrivergli parole di conforto e di incoraggiamento. Purtroppo ad un certo punto una di quelle lettere capita nelle
mani del padre il quale va su tutte le furie nei confronti sia del figlio che del suo consigliere! Data la notorietà del magistrato e la stima di cui godeva anche presso il vescovo Amorelli, egli si rivolge al prelato affinchè punisca severamente il chierico istigatore di ribellione alla paterna potestà. Il vescovo, che, come ci riferisce più di uno storico del tempo, non era uno stinco di santo e parteggiava sempre con i più forti, non solo acconsentì, a questo punto, che Chindemi, allora ventenne, lasciasse la tonaca, ma, furente per la “cocciutaggine” del chierico che non aveva voluto piegarsi ai suoi inviti di rimanere in Curia e di farsi prete, glielo impose e lo fece accompagnare a casa. Giuseppe Mendozza, il cui padre ebbe a morire poco dopo quell’episodio, probabilmente per un mal di cuore, in seguito alla collera provata per quella grave disubbidienza da cui pensava avere ricevuto grande onta, fu uno dei primi amici del Chindemi. Come da grandi amici divennero acerrimi avversari Ma presto divenne un suo avversario. Infatti egli di buon talento poetico, intelligente e spigliato, però, come aveva già dimostrato quando si era invaghito dell’attrice e non c’era stato verso di riportarlo alla ragione, era di carattere piuttosto irrequieto e volubile, non portato alla metodicità dello studio assiduo e regolare; si dava alle letture che più si addicevano al suo temperamento sentimentale, ma non riusciva ad applicarsi in nulla seriamente., per cui, anche dopo la laurea in giurisprudenza, piuttosto che esercitare la professione, Pertanto, visto così diversi i caratteri dei due amici, presto il Chindemi preferisce l’amicizia di altri giovani che con lui meglio condividono l’impegno della vita e gli alti valori dello spirito e della patria Forse ne ebbe a provare risentimento e gelosia Giuseppe Mendozza, che, se cominciava già da allora a conquistarsi qualche stima per la sua vena poetica, si rendeva conto che ben più robusta e alta nei confronti di quella sua era quella che veniva tributata a chi prima considerava un amico e che ora riteneva suo rivale.

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