Chindemi Salvatore - Personaggi storici Siracusa

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Personaggi storici
Vai ai contenuti

Chindemi Salvatore

personaggi 800 siracusano
Salvatore Chindemi fu considerato il più fulgido esempio di uomo politico e di educatore del nostro territorio nel periodo risorgimentale.
Nacque a Siracusa il 19 Gennaio 1808 dove visse e morì 3 febbraio 1874.



la casa dove nacque e sulla quale vi è una lapide che lo ricorda



La via Salvatore Chindemi si trova in Ortigia dal n. 47 di Via Savoia a n. 6 di Largo XXV luglio.

Possiamo conoscere la figura del Chindemi leggendo le sue stesse Memorie o Confessioni, che egli scrisse fino all’anno 1847 mentre si trovava in esilio a Malta; e quelle che scrisse su “Siracusa dal 1826 al 1869” e su Pancali.
Nelle prime tra l’altro dice: “Queste memorie della mia vita sono il testamento del mio cuore a chi ho il dovere di lascia re un retaggio e dirizzare una lezione morale e sociale. La mia vita non ha nulla di singolare se non la testimonianza di quei fatti che la storia deve raccogliere e giudicare nella posterità sull’attualità”. Il padre, Giuseppe, illetterato ma mite e buono, (amante degli "ozi domestici e l’amore cieco degli altari, fissato di salvare l’anima sua mentre perdeva la sua famiglia, in cui, per maggiore sfortuna, i 2 maschi erano stati gli ultimi a nascere, dopo 4 femmine, seppure appena in tempo per preservare parte dei beni”) voleva che Salvatore studiasse e si facesse prete. Salvatore Chindemi, però, non aveva vocazione e dopo 4 anni lasciò la tonaca di Frate Minore e non cercò più maestri ma volle continuare a studiare indefessamente e imparare da solo. Si diede presto all’insegnamento privato per aiutare la famiglia. Studiò anche l’inglese e tradusse correttamente operette americane pedagogiche. Lo studio dell’inglese è forse da mettere in correlazione al fatto che ai primi 7 dell’Ottocento Siracusa era occupata dagli Inglesi, che avevano apportato l’epoca più felice per tutta la Sicilia, secondo la convinzione di allora. Se smise l’abito talare non smise certo il comportamento del più integro sacerdote, ed anzi ebbe spesso a rimproverare aspramente quelli che non riteneva corretti, persino il Papa Clemente XVI che si dimostrò “avverso ad ogni senso di libertà e riforma”. La corruzione dei pubblici funzionari lo indusse ad assumere un atteggiamento anti conformista e ad unirsi ai giovani patrioti insospettati perchè fuori dalle numerose sette che invece venivano perseguitate dalla Polizia. Tuttavia presto venne in sospetto che, facendo lezioni private a molti giovani, che in lui trovavano un modello di vita e di cultura, li educasse al sovversivismo e, per intervento del Vescovo, che egli diverse volte aveva criticato, gli fu negata la cattedra al liceo. In un primo tempo ne uscì indenne, grazie alla stima che godeva presso le famiglie nobiliari siracusane, tra cui quella dell’Intendente Montenero e Mario Landolina, nonno di Mario Interlandi, che fu uno dei suoi primi alunni, figlio della figlia del Landolina stesso. Nel turbinio del colera, della sommossa e dei lutti. Nel 1830 ebbe un grandissimo successo con due opere teatrali: già dalla prima , “La vendetta dei fratelli siracusani”, in versi, rivelava apertamente le sue rare qualità di mente e di cuore, la profonda cultura e la sensibilità poetica ispirata dal sociale. Profondamente democratico, dedicava il suo insegnamento tanto ai figli dei nobili quanto a quelli del popolo, formandoli culturalmente ma soprattutto moralmente e politica mente, inculcando loro il più alto sentimento di amor patrio, di democrazia e di libertà, facendo circolare fra loro le opere patriottiche e persino il giornale mazziniano della Giovane Italia, curandone i rapporti con l’ambiente liberale catanese, dove i suoi allievi si recavano a frequentare gli studi universitari. É noto come l’anno 1837 sia stato uno dei più terribili per Siracusa, giacché fu in quell’anno che scoppiò il colera, in conseguenza del quale scoppiò anche la sommossa, probabilmente per essersi diffusa la notizia che il morbo era stato propinato dagli… untori. Fu allora che per punizione a Siracusa venne tolta la titolarità di capoluogo, che venne conferita a Noto. Salvatore Chindemi fu tra i processati; ma venne assolto perché “uscito di città nei fatti di sangue”; Fu a causa di quell’epidemia terribile che gli morirono il padre, la madre, la sorella Concetta e la sorella Nunzia. Egli, stimato da tutti, venne scelto come Deputato per sostenere a Palermo i diritti di Siracusa e stringere i collegamenti con i patrioti delle altre città siciliane. Nel frattempo vinse la cattedra di eloquenza al liceo di Catania, dove si trasferì nel 1842, con facoltà di insegnare anche nella stessa università, dove ottenne anche la nomina di Ispettore di tutte le scuole. L’elogio funebre di S. Chindemi alla morte di Tommaso Gargallo Quando morì Tommaso Gargallo, il celebre poeta, il 16 febbraio 1844, il Chindemi, su invito dell’Accademia-Museo di letteratura e scienza, fondato da poco da Alessandro Rizza, tornò a Siracusa per tesserne l’applauditissimo elogio funebre, che fu una delle sue opere più belle., assieme ai poemetti e alle numerose liriche ( “ Il genio”, “ La lacrima pia”, “ Il dolo re”, “ Disinganno”, “La musica”, “ Il mar Ionio dal baluardo S. Giacomo in Siracusa”…) Importante pure fu quello che poi scrisse alla morte del Barone Pancali nel 1868, che dedicò al dottor Campisi e all’abate Emilio Bufardeci, il quale pochi mesi prima, nelle sue 8 Memorie Storiche, lo aveva aspramente criticato pure avendo avuto con lui una chiarificazione. Aveva scritto ciò, forse perché indispettito dalla dura sconfitta elettorale subita l’anno precedente, quando dalla Sinistra era passato alla Destra per appoggiare il liberare Greco e invece poi si era presentato egli stesso alle elezioni come suo avversario… Salvatore Chindemi alle “ folate di ingiurie e contumelie” non si era offeso né irritato, ma all’uscita di quel libro non potè fare a meno, in nome della verità e della giustizia, a obiettare non tanto sulle accuse personalmente ricevute, bensì sui duri giudizi espressi dal pur dot to e ardimentoso prete contro Mario Adorno e chi nobilmente aveva agito E lo fece sempre con moderazione, quasi scusandosi di essere costretto a scrivere per dovere di onestà, perché “ Nei tempi che corrono il silenzio s’apprenderebbe come confessione di torti.” Quando Palermo insorse, il 12 gennaio 1848, sotto la guida di Ruggero Settimo, Siracusa non insorse, per le gravi calamità che soffriva in quel periodo, tra cui il terremoto dell’11 gennaio 1848, Salvatore Chindemi venne scelto assieme a Raffaele Lanza per rappresentare a Palermo la città aretusea, dopo le dimissioni del Barone Pancali che del Chindemi nutriva la massima stima e ne lasciò questo giudizio in una relazione richiestagli dalla Polizia perché sempre sospettato: “ Uomo retto, che esercita da molti anni la delicatissima informativa professione di pubblico istruttore della gioventù.” E un primo risultato fu quello della restituzione del capoluogo a Siracusa (23 marzo 1848) Alla prima ricorrenza della rivoluzione palermitana (il 12 gennaio 1849, durante la prima guerra d’Indipendenza) il Chindemi scrisse un inno che fu musicato dal grande nostro musici sta Vincenzo Moscuzza. Salvatore Chindemi istituì il Circolo Patriottico. L’esilio. In quel periodo il Chindemi istituì un Circolo Patriottico, cui fecero parte le personali tà più insigni del momento a Siracusa: Luigi Spagna, Sebastiano Nicastro, Emanuele De Benedictis, Emanuele Giaracà, che era nipote del Chindemi stesso, a cui il nostro personaggio fece quasi da padre essendo egli rimasto orfano. Egli venne eletto anche Senatore del Parlamento Siciliano. Purtroppo gli eventi precipitarono con la sconfitta di Carlo Alberto, prima a Custoza, poi a Novara. Al ritorno dei Borboni egli dovette andare in esilio, prima ad Aidone, poi a Malta. In quel periodo rivide le opere già scritte, soprattutto i drammi, e ne compose altri: “Il Conte di Modica”, “Il vespro siciliano”, “Alaimo da Lentini”, “Andrea Chenier”. Da Malta, dove stette 15 mesi, si recò a Torino, come tanti altri liberali italiani che egli conobbe e da cui fu molto stimato. Lì scrisse diverse altre liriche, soprattutto di ispirazione patriottica, come “Italia, Italia” e il sonetto in occasione della visita alla casa di Vittorio Alfieri, fatta il 15 settembre del 1856. Cercava comunque di non perdere i contatti con Siracusa: nel gennaio del 1859 inviò un articolo ad Alessandro Rizza per il primo numero della rivista “Il papiro”. Dopo la seconda guerra d’Indipendenza partì con numerosi altri esuli siciliani dal Piemonte per ritornare in Sicilia, dove era scoppiata la rivolta palermitana (il 4/4/1860) e dove l’11 maggio 1860 sbarcò Garibaldi con i Mille. Il Comitato Siracusano, di cui egli era sempre considerato il capo carismatico, gli inviò un messaggio, che fu steso dallo stesso nipote Emanuele Giaracà. Nel dicembre dello stesso anno gli fu data la cattedra di eloquenza all’Università di Palermo e in quella circostanza il nipote Emanuele Giaracà compose per lo zio una lirica di 9 ben 215 endecasillabi. Come poetica il Chindemi dichiarò la sua posizione in “Estetica Cristiana”: l’arte ha per oggetto il vero, per mezzo il bello, per scopo Dio, che è l’utile autentico, cioè il bene dello spirito. L’arte per lui non può essere esclusivamente formale, nessuna libertà assoluta ci può essere al bello per il bello che potrebbe lasciarci in un astrattismo vuoto, insufficiente ed ari do, privo persino di ogni sentimento, a meno che non si voglia confondere sentimento con i stinto. Salvatore Chindemi non condivise l’impostazione repubblicana del suo tempo perché Mazzini la portava avanti, secondo lui, con una politica errata che non produceva che moti insurrezionali destinati all’insuccesso e non faceva che indebolire l’Italia, a sfasciarla ancora di più, visto che provocava terribili reazioni. Egli fu cavouriano e ritenne che Mazzini, accecato d’odio contro i Savoia, e annebbiato da fisime repubblicane, non era tra gli uomini savi. Ma ciò non significa che egli fosse contro il concetto democratico, che, anzi, come gli altri insigni uomini politici del tempo - Massimo D’Azeglio, Vincenzo Gioberti, Cesare Balbo, pur essendo antimazziniano, aveva i più nobili ideali di libertà e di democrazia. Egli sarebbe potuto diventare Deputato, data la stima che godeva da sempre a Siracusa; ma egli quando i liberali siracusani, che lo ritenevano sempre il loro capo e la loro guida, gli proposero la candidatura non volle accettarla e scrisse ai Siracusani una lettera in cui suggerì di candidare il Cordova. E il Cordova fu il primo siracusano che prese parte al primo Parlamento Italiano. Egli morì, all’età di 66 anni, la sera del 3 febbraio 1874, in via Principessa Margherita. Ai suoi funerali, come riportò il giornale locale “Opinione”, “tutto il paese prese parte alle esequie. Poiché tutta la culta cittadinanza, i professori di tutti gli istituti e delle private scuole, la Società Operaia, gli alunni tutti seguirono la salma preceduta dalla banda municipale ed accompagnata dai membri della Giunta e del Consiglio Comunale. Questo ossequio rendeva omaggio non solo al letterato illustre, e al venerando patriota, ma all’uomo d’intemerata coscienza, d’incolpabile vita; omaggio che gli stessi avversari politici non potevano negargli…” La modesta casa di Salvatore Chindemi in via Roma
Torna ai contenuti