1693 terremoto val di Noto
TERREMOTO SIRACUSA tratto dal libro di SERAFINO PRIVITERA
Il seicento fu un secolo nefasto per tutta la Sicilia. L'isola ebbe molto a soffrire non solo per carestie ed epidemie e per le incursioni barbaresche che colpivano le sue coste, ma anche per due tremende catastrofi naturali: l'eruzione dell'Etna del 1669 che semidistrusse Catania e i paesi limitrofi, e l'apocalittico terremoto del 9 e 11 gennaio del 1693, che desolò soprattutto la Sicilia orientale allora detta Val di Noto.
Siracusa in quel tempo, ortigia in particolare per volere dì Carlo V, era una formidabile cittadella spagnola fortificata; dichiarata piazza d'armi nel Mediterraneo, ma già in piena decadenza causa la funzione militare che aveva tagliato fuori la città da ogni scambio commerciale, snaturandone la sua vocazione mercantile e artigianale e determinandone la catastrofe economica.
È in questo contesto poco favorevole per la futura sorte del popolo siracusano, che accadde l'irreparabile nei giorni 9 e 11 gennaio del 1693: l'orribile terremoto. Il maggiore disastro, tra i tanti che avesse danneggiato la Sicilia e la cui memoria luttuosa resterà impressa nelle generazioni che verranno fino ai nostri giorni.
"Il giorno di venerdì 9 gennaio nell'ora quarta e mezza della notte tutta la Sicilia tremò dibattuta da terribile terremoto. Nel Val di Noto e nel Val Demone fu più gagliardo; nel Val di Mazzara più dimesso [...]. Ma la domenica 11, circa l'ore 21, fu conquassata tutta la Sicilia con violentissimo terremoto, con la strage e danno non accaduti maggiori né secoli scorsi". Il conte Domenico Lacorcia scrive da Mazzarino il 13 del mese a certo Antonio Bulifon che la prima forte scossa del venerdì si fece sentire "per lo spazio di due pater noster" e che la replica della domenica fu avvertita per il tempo di "una litania cantata". Il capitano Marco Calapar, testimone dell'evento, mentre si trovava ormeggiato nel porto di Catania del giorno 11 "vide che alle due e mezzo improvvisamente rovinò tutta la città e che durante il terremoto il mare si era ritratto di due tiri di schioppo". Da una nota del vescovo di Siracusa Francesco Fortezza apprendiamo che, dei sessantaquattro monasteri della diocesi siracusana, solo i tre di Butera, Mazzarino e Terranova, "sono in piedi", "gli altri si trovano tutti a terra".
"Relazione distinta del terremoto di Siracusa l'anno 1693" scritta dal vescovo Fortezza al papa in data 22 febbraio 1693.[...] dopo la percossa, che precisamente per li miei peccati è caduta dalla mano del Signore sopra questa città, ed anco dall'altre di questa Diocesi di Siracusa per li terremoti tremendi, quali successero nel principio di quest'anno presente e che tuttavia ancora perdurano, tra le confusioni e costernazioni (...) non avendo prima d'ora ricavare le notizie necessarie e distinte in quel modo che fosse possibile per parteciparle a V.E., lo fo umilmente adesso per merito di questa supplicando la benignità di Nostro Signore i cui santissimi piedi prostato a terra ossequiosamente bacio (...]. Dirò dunque brevemente a V.S. Eccellentissima la serie dell'occorso il venerdì 9 del passato gennaro dell'anno presente 1693 ritrovandomi in una villa della Dignità Vescovale tre miglia distante di questa città, circa l'hore cinque della notte già ritirato al riposo, accadde il primo terremoto ben forte, e che durò sopra lo spazio della recitazione d'un intero simbolo dé Santi Apostoli, che fu poi accompagnato di due altri più leggeri tremori di terra. Le persone della mia famiglia, che ancora non erano a letto, senza ricordarsi di me in quella turbazione, uscirono fuori dalla casa allo scoverto, e cessata la prima scossa entrarono, e mi condussero pur fuori riducendomi nella aperta campagna, ove stetti tutta quella notte, come potei in quel miserabile accidenti e udendo toccare le campane della città conobbi essere stato anche il terremoto in essa. Al farsi del giorno non venne da me alcuno né da parte del Governatore né dal Senato, né da altro Ministro a riferirmi [...]. La protezione della gloriosa Santa Lucia mosse il Senato e tutto il popolo a dimandare l'esposizione della statua con le reliquie della Santa nella Chiesa Cattedrale e, dubitando io che poteva accadere disgrazia per qualche nuovo terremoto, differii concorrervi sino alla mattina della seguente 20 domenica nella quale rinnovando quelli le istanze, io con l'istessa considerazione procurai che l'esposizione si facesse fuori dalla Chiesa nel largo della Cattedrale, non potei però vincere il dettame della nobiltà e popolo, onde deliberai celebrare la messa nell'altare avanti la statua e reliquie della Santa Gloriosa nella Cattedrale [...]. Uscì voce che il Cappellone vacillava, nulladimeno, già preparato, cominciai la Santa Messa e giunto al fine del credo improvvisamente fui preso da tre o quattro persone assistenti e condotto alla Sacrestia col motivo di haver corso voce nella porta della Chiesa, che cadesse il Campanile d'altissima fabbrica elevata sopra quattro colonne fin da tempo di Archimede, benché la torre fosse opera rinnovata nell'anno 1542, altro successo terremoto. [...). Doppo pranzo verso ore 21 dell'istesso giorno scoppiò altro terremoto maggiore, e mi ritrovai attualmente col Vicario Generale e un Attuario della Corte. Viddi tremare tutte le mura di quelle stanze, e aiutato dalli due, la debolezza delle gambe cagionata dalla podagra, corsimo uniti a prendere la scala più vicina per uscire allo scoperto, e giunti al riposo della scala vedendo la volta di sopra che traboccava, e fermati un poco sotto l'architrave della porta scesimo la scala uscendo alla pianura della piazza dinanzi, il Palaggio, e Chiesa Cattedrale, in questo medesimo tempo precipiò la sudetta torre del Campanile, e per misericordia di Dio piegò la rovina di quella gran machina verso la tramontana, e parte verso ponente, che se fosse stata verso mezzogiorno avrebbe subbissato tutto il Palazzo Vescovale senza restarne vestigio. [...] la Chiesa Cattedrale restò scossa et aperta, che si stima irreparabile, né vi si potrà celebrare i divini offici e li santi sacrifici, nel punto istesso rovinarono quasi tutti gli edifici della città, e quelli pochi che sono rimasti in piedi rimasero aperti minacciando rovine. Le strade della città sepolte sotto li dirupi delle fabriche cadute non possono disconoscersi, e distinguersi dagli occhi parendo montagne di pietre inaccessibili. Furono sepolte sotto le rovine persone d'ogni genere, e condizione, che sin'adesso non sen ha saputo il numero. [...) per providenza di Dio mi ritrovai una carrozza di mia Casa, dove potermi raccogliere. I...1. La maggior parte delle Monache degli otto Monasterij di questa città vennero a ritrovarmi e passarono quella notte attorno la mia carrozza repetendo di tempo in tempo li terremoti con pioggia e vento. [...] alcune zitelle hanno intenzione di cluaustrarsi, e farsi monache, il che saria convenienza delti destrutti Monastereij per potersi servire delle loro doti per la necessaria reedificazione e riparazione di essi essendo che per disposizione del Sacro Concilio Trentino non si possono ricevere le doti fino al tempo della professione, oltre d'essere capitali, se paresse alla Santità Sua abbreviare o minorare il tempo dell'anno del noviziato, e parimenti di potersi erogare li capitoli delle doti per rifacimento delli Monasterij destrutti. Alcuni Prelati della Diocesi di questo regno, che non hanno patito l'effetto suddetto dé terremoti mi hanno offerto pietosamente ricevere nelli loro Monasterij quel numero di monache di questa Diocesi. [...]. Stetti venti giorni dentro il mio Giardino senz'altra comodità che una carrozza, et havendo il Viceré nominatomi Vicario Generale di questa Val di Noto e Diocesi, e al medemimo tempo gionto da Messina il Mastro di Campo Generale D. Sancio De Mirando fui costretto ad uscire dalla Città, et alloggiatomi in una baracca di tavole nella Marina [...). Dentro la città assiste il Vicario Generale alla cura delle Monache, e altre incombenze, in mio luogo, ritrovamdomi libero per attendere solamente al governo spirituale delle mie pecorelle. Iddio ha permesso che strologi ignoranti habbino consultato alle Monache, lasciandomi la fatiga di persuadere alla vera dottrina, che li terremoti non hanno sciolto li voti nelle loro professioni. [...). lo mi ritrovo senza contante alcuno, e delli pochi argenti che tenevo me ne furono rubati fino alla somma di scudi quattrocento e tolto il precisamente necessario per l'Altare, ho venduto il rimanente per il mio mantenimento, e soccorso di bisogni, alli quali può solamente soccorrere l'onnipotenza divina, e sul principio non havendo denaro diedi, per sovvenire i poveri, salme trecento di vino, e quel frumento, col quale mi trovava nel magazzeno assicurando a V.E., non haver mancato sin dove ho potuto alla sovvenzione dé poveri l'argento, ho dato e continuo a dare [...].restò scossa e aperta...
Di nuovo supplico a V.E. à piedi S. Santità per ricevere la Sua Santa Benedizione, con la quale possa li giorni che Iddio mi concederà di vita adempiere la parte di buon pastore, et a V. E. rassegnando la mia obbedienza per i suoi stimatissimi comandamenti La riverisco e bacio la Sacra Porpora.
Dalla Marina di Siracusa 22 febbraio 1693. Humilissimo servitore Francesco indegno Vescovo di Siracusa
Liberamente tratto da: 1693 Iliade Funesta a cura di Lucia Trigilia1994 Arnaldo Lombardi Editore, Palermo - gruppo Marsilio
TRATTO DA:RIVISTA "I SIRACUSANI" NUMERO ZERO
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RICOSTRUZIONE DOPO IL TERREMOTO A SCICLI
documentazione pdf
dipinto XVIII secolo
la zona interessata dal terremoto
LICODIA EUBEA