nave Ortigia - Siracusa memorie ricordi

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Ricordando
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nave Ortigia

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La nave Ortigia con Siracusa ha in comune solo il nome ed è in questa pagina solo per questo riferimento
ORTIGIA UN VAPORE CON LA ROGNA



 

 
RICERCA STORICA
G. MIRTO – E.CAPPELLETTI
 
Ci sono navi che nascono con la rogna addosso, come si usa dire tra i marinai. L’Ortigia, di 1854 tonnellate, poco meno di cento metri di lunghezza, varata a Livorno nei cantieri Luigi Orlando per conto della Società di Navigazione La Trinacria di Palermo, completata a metà del 1875, l’aveva.
Fin dalla sua nascita.
 
La società committente fallisce prima che la nave scenda dagli scali.
Per risolvere la vertenza giudiziaria il piroscafo fu noleggiato alla Florio Vapori Postali di Palermo.
Le cronache del tempo ricordano anche i primi danni. Negli spostamenti portuali urta e danneggia altre navi e piccoli battelli, tanto che in sua presenza tutti ne stanno alla larga.
Tre anni più tardi, il 27 febbraio, il primo incidente di una certa entità. Investe il piroscafo Deprano mentre esce dal porto di Napoli che si salva dall’affondamento riuscendo ad incagliarsi in un basso fondale. Nessun danno a passeggeri ed equipaggio ma il Deprano è la prima vittima della nave che poco dopo diverrà maledetta per un serie di abbordaggi mortali avvenuti in rapida successione pur al comando di uomini sempre diversi.
 
Il 20 ottobre 1880, alle due di notte, l’Ortigia, in rotta da Genova per Livorno, manda a fondo in pochi minuti il piroscafo francese Oncle Joseph della compagnia Valery di Marsiglia, proveniente da Piombino diretto a Genova, con a bordo 300 passeggeri, la maggior parte dei quali avrebbero dovuto trasbordare sul postale Berlin in partenza per Rio de Janeiro. Dei 32 componenti l’equipaggio francese 23 si salvarono, tra cui il secondo ed il macchinista; tra i passeggeri solo 35 i superstiti.
L’incidente avvenne inspiegabilmente all’altezza del Golfo di Spezia.
 
Le cronache livornesi e genovesi, con cronache molto ampie, forniscono i particolari di un incidente tra i più gravi che sono accaduti in Mediterraneo.
Il secondo ufficiale Perricchi ed il nostromo Renucci dell’Onlce Joseph, entrambi sulla tolda del piroscafo a quell’ora di notte hanno veduto entrambi il piroscafo dirigersi verso di loro senza mai cambiare rotta. Dalla passerella di comando potevano osservare due luci; una bianca sull’albero di trinchetto ed una verde sulla destra. Il secondo diede l’ordine di poggiare per passare a lato della nave che era sulla stessa rotta ma il vascello ha continuato a procede indisturbato tanto che in breve ha infilato la sua prua nella fiancata provocando un’ampia falla.
Il Perricchi, saltato immediatamente sopra il vapore che lo aveva investito, per accertarsi che i suoi fanali fossero tutti accesi, fece notare al comandante dell’Ortigia che le luci di via della sua nave erano ben visibili.
Erano passati pochi minuti dalla scontro, neppure molto violento.
Il dramma inizia quando l’Ortigia mette macchine indietro e si libera dall’incaglio.
La falla enorme sulla fiancata permette all’acqua di riversarsi in gran quantità all’interno della nave. La maggior parte dei passeggeri dormiva, erano circa le due di notte, ed una gran parte dell’equipaggio era sotto coperta. Furono calate le lance dall’Ortigia ma inutilmente.
I pochi che riuscirono ad uscire sul ponte si gettarono in acqua cercando la salvezza. Il piroscafo in pochi minuti scivolò silenziosamente sul fondo trascinando con sé un gran numero di persone. I naufraghi, in mare, urlavano chiedendo aiuto. Nel buio le poche lance che vagavano tra gli avanzi della nave facevano fatica a individuarli. Molti morirono per stanchezza, altri già feriti nell’incidente scomparvero sotto le onde dopo aver tentato inutilmente di sopravvivere. Tra chi si è salvato un marinaio che aveva perduto un braccio e che ha aiutato fino all’ultimo il comandate Lacombe.
 
Alle 4,45 l’Ortigia lascia il punto del disastro dopo essersi accertato che non vi è più nessun sopravissuto e ripara a Livorno per scaricare i naufraghi.
 
Nel settembre del 1881, poco più di un anno dopo, l’Ortigia viene ceduto alla Navigazione Generale Italia di Genova. Nel luglio del 1882 viene requisito per il rimpatrio dei profughi italiani in Egitto. Tre anni dopo abborda la Martignan, piroscafo francese, causando 12 vittime. Nel 1890, altro incidente: abbordaggio con una nave norvegese con sole cinque vittime.
 
Il 21 luglio 1895 provoca sulla rotta Genova Livorno, quasi nello stesso puntò in cui mandò a fondo l’Oncle Joseph, un altro abbordaggio. Questa volta a pagarne le conseguenze la Maria P.
Il fatto è talmente grave che la seduta del Parlamento alle ore 20 viene interrotta dall’onorevole Miniscalchi che dà lettura delle interpellanze di alcuni deputati circa il disastro.
 
Il Secolo XIX di Genova del 22 luglio annuncia in prima pagina la “Tremenda catastrofe”.
Titola:
Il piroscafo Maria P. investito dall’Ortigia è affondato in 3 minuti. Centoquarantotto morti.
E prosegue:
Ieri, dopo il mezzogiorno, l’Avvisatore Marittimo della nostra città, avvistava in lontananza un bastimento che appariva guasto e sconquassato nella prua, e ne dava tosto notizia alla Capitaneria di Porto. Più tardi giungeva vagamente notizia di una catastrofe accaduta nelle acque di Spezia di cui si ignorava ancora la portata e i particolari, e in un momento la notizia si diffondeva nella nostra città, apportando uno sgomento, un’ansia, un’impressione di dolore profondocce è più facile immaginare che descrivere. Pur troppo la notizia era vera e di una gravità eccezionale; spaventosa! Il disastro marittimo era avvenuto in prossimità di Spezia; e l’immane sciagura aveva mietuto un centinaio e mezzo di vittime.
Il piroscafo investitore è l’Ortigia, il quale parecchi anni or sono – per una sinistra fatalità del destino – investiva in quelle stesse acque col piroscafo Oncle Jospeh.
Il piroscafo investito dall’Ortigia è la Maria P. Prima di accingersi a narrare, col cuore profondamente commosso, e con l’animo straziato la tremenda collisione, facciamo precedere alcuni rapidi cenni sui due bastimenti che furono l’uno causa involontaria, l’altro vittima di una sciagura che a quest’ora fa spargere torrenti di lacrime a tante derelitte famiglie.
 
                                                  L’Ortigia aveva lasciato Genova alle 21 diretto a Massaua con scali intermedi a Livorno, Napoli e Alessandria d’Egitto. Venti i passeggeri a bordo.
La Maria P., piroscafo di 53 metri di lunghezza, costruito a Sunderland, Inghilterra, nel 1886, proveniva da Napoli con 173 passeggeri, 17 persone d’equipaggio, diretto, al comando di Prospero Mortola, a Genova. La maggior parte dei passeggeri avrebbe dovuto trasbordare sul Sud America, piroscafo diretto al Mar del Plata e su una nave francese diretta nel Nord America.
Alle 21 il timoniere del Maria P. scorge un fanale in rotta di collisione. Avvisato il secondo ufficiale, questi non dà nessun comando particolare. Il fanale si avvicinava rapidamente. La velocità dell’Ortigia era in effetti doppia rispetto alla Maria P.
Quando il secondo ufficiale si accorge che la distanza del fanale è molto prossima alla sua prua dà l’improvviso ordine di “poggiare”, manovra che si esegue facendo virare la nave a sinistra.
Se la medesima manovra l’avesse eseguita anche l’altro vascello sarebbero sfilati bordo contro bordo senza che nulla accadesse.
 
Ma la distanza al momento della manovra era troppo breve. La Maria P. aveva il suo fianco completamente esposto alla prua dell’Ortigia che stazzava il doppio. Le lamiere della Maria P. si stracciarono sotto l’urto e la prua della nave investitrice si infilò per circa sei metri nella fiancata all’altezza del fumaiolo.
Una parte della struttura di coperta cadde sul ponte; le sartie dell’albero vennero strappate. Chi era in coperta fu scaraventato in acqua. I passeggeri neppure si accorsero di quanto accadde perché l’acqua invase la nave che, sbandando, si infilò sott’acqua.
L’Ortigia fece immediatamente macchina indietro ed abbandonò al suo destino la Maria P. che gorgogliando scomparve.
 
Dal piroscafo genovese furono lanciati i salvagente e messe in acque le scialuppe. Da bordo furono accese tutte le lampade a petrolio che illuminarono una scena spettrale. Rottami di ogni genere galleggiavano sul mare calmo e scuro.
Borgotti Giuseppe, un fuochista del Maria P. fu uno di quelli sbalzati violentemente in acqua. Riuscì ad afferrare una bimba di due anni, Emilia Balena, che depose su un legno galleggiante. Con grande sforzo riuscì a trarla a bordo dell’Ortigia ma la bimba non sopravvisse.
I genitori, per la prontezza del padre Emilio, si salvarono. Poiché soffriva di mal di mare si stava recando sul ponte al momento dell’incidente. Prese di corsa i figli di tre anni,18 mesi e trenta giorni e seguito dalla moglie Matilde salì sul ponte da dove venne scaraventato in mare. Furono raccolti molte oro dopo e solo allora scoprirono che la loro piccola figlia aveva perduto la vita. Molti di coloro che erano in mare annegarono a loro volta.
Alle 7 della mattina, terminate le operazioni di salvataggio, sul ponte dell’Ortigia si contavano solo 42 sopravissuti tra i passeggeri,14 tra l’equipaggio. Il piroscafo volse la prua verso Genova dove attraccò al ponte Federico Guglielmo alle 11.30.
 
La nave maledetta fu abbandonata dall’armatore agli assicuratori.
Per sconfiggere la sfortuna fu riacquistata dalla Navigazione Italia solo dopo essere stata ribattezzata Adria. Di solito cambiare il nome ad una nave porta veramente sfortuna, almeno così credono i marinai.
Con questo nome la troviamo in navigazione come trasporto truppe da Napoli a Massaua. Nell’autunno del 1896 si incaglia a Tripoli; l’anno successivo si infila in un altro bassofondo a Massaua.
Cambia proprietà nel 1910 e alla Società Nazionale di Servizi Marittimi con sede a Roma. In porto a Tripoli nel 1911 l’equipaggio segnalò alla corvetta italiana Napoli un contrabbando di armi destinate contro l’Italia. Il pretesto per l’intervento militare italiano contro la Turchia.
 
Tra incidenti, guerre e requisizioni opera poco e frutta ancor meno. La compagnia armatrice la vende alla Sicilia di Navigazione di Palermo. Ma anche a questa non va troppo bene perché la nave viene requisita dalla Marina Militare nel ’15 e tre anni dopo un siluro tedesco nel Canale di Sicilia mette fine alla sua incredibile vita.
L’Ortigia con le sue drammatiche avventure fu presto dimenticata dai contemporanei e ripescata solo decenni più tardi per essere inserita nelle leggende del mare.
Due delle navi che furono vittime della sua maledizione sono invece negli elenchi dei cercatori di tesori che frequentano assiduamente le nostre acque territoriali. Relitti per altro sconosciuti alle nostre Autorità.
Sicuramente non erano navi ricche di tesori però posseggono gli averi delle decine di vittime.
Due esempi per tutti.
Emilio Balena, imbarcato sul Maria P., che aveva perso uno dei figli, racconta al cronista d’esser stato un orefice. Aveva con sé bagagli ed una cassa di gioielli. Valore venticinquemila lire. Un patrimonio, scrive il redattore. Come lui altri passeggeri potrebbero aver avuto denaro e altri preziosi. Visto il totale dei morti è logico pensare che la raccolta potrebbe valere la pena di tentare di ripulire il relitto.
 
Un altro indizio ci giunge attraverso un altro fatto storico individuato presso la Corte di Appello di Aix-en-Provance. Lady Jauffret, nel 1885, fa sequestrare una nave italiana, la Solunto, per cercare di avere un risarcimento al danno subito per la perdita del marito e degli averi che aveva con sè nell’incidente con l’Oncle Joseph. A difendere la compagnia italiana, che non sappiamo come sia finita, giunse alla Corte francese addirittura l’illustre avvocato Francesco Crispi che diverrà Ministro degli Interni nel 1887.
 
Extrait des “Drames de la mer”
Ortigia 1875 1881 taken over from Florio, 1895 renamed Adria, 1910 transferred to SNSM. 1,870

La nave italiana Ortigia, della Compagnia Florio, era stata varata a Livorno nel 1873, e da subito era apparsa una nave pericolosa per le altre: nelle manovre in porto spesso travolgeva piccole imbarcazioni o urtava la banchina.
Il 24 novembre 1880 alle tre di notte abbordò la nave passeggeri francese Oncle Joseph affondandola in pochi minuti (249 morti).
Nel 1885 altro abbordo con una nave francese, la Martignan (12 morti). Dopo ogni incidente venivano cambiati comandante ed equipaggio, ma gli incidenti continuavano.
1890: scontro con una nave norvegese, e 5 morti.
Il 21 luglio del 1895 abborda la Maria P., piccola nave passeggeri, che affonda in tre minuti: 144 morti.
Da quell’incidente nessuno volle più salire a bordo dell’Ortigia, nave evidentemente maledetta.
 
" La ONCLE JOSEPH " e "L'ORTIGIA "

( Questa è una rara incisione estratta da una rivista dell'epoca ottocentesca )








La nave italiana Ortigia, della Compagnia Florio, era stata varata a Livorno nel 1873, e da subito era apparsa una nave piuttosto pericolosa. Spesso capitava che nelle manovre in porto travolgesse piccole imbarcazioni o finisse per urtare contro la banchina. Il 24 novembre 1880 alle tre di notte si scontrò con la nave passeggeri francese Oncle Joseph affondandola in otto minuti e provocando più di duecento morti. Nel 1885 si scontrò con un’altra nave francese, la Martignan (12 morti). Dopo ogni incidente veniva cambiato l’intero equipaggio, compreso il comandante, ma gli incidenti continuavano a verificarsi. Nel 1890 un altro scontro questa volta con una nave norvegese e i morti furono cinque. Il 21 luglio 1895, la Maria P., piccola nave passeggeri, all’entrata del golfo della Spezia, a largo dell’Isola del Tino, si scontrò con l’Ortigia. La Maria P. affondò in tre minuti provocando la morte di 144 persone. Lo scontro si verificò all’1 e 30 in una notte particolarmente buia e l’Ortigia dovette aspettare l’arrivo della luce del giorno per riuscire a portare in salvo 14 membri dell’equipaggio e 28 passeggeri naufraghi. Da quest’ultimo incidente nessuno volle mai più salire a bordo dell’Ortigia, creduta, forse non a torto, un nave davvero maledetta.

A Livorno e vivissima l’impressione per il disastro dell’Oncle Joseph. Dei 264 passeggeri soltanto 35 sono salvati, dei quali 4 feriti e dei 33 marinai rispondono all’appello 23. [Comandini]

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