la flotta siracusana
storia Lucca Vittorio
La flotta siracusana
Siracusa — fra tutte le città greche del V sec. a.C., favorita da ben tre porti naturali, il Trogilo, il porto grande e il porto piccolo, e da arsenali ben muniti ed efficienti — vantava, anche in virtù della sua posizione privilegiata, il predominio navale sulle altre potenze del bacino del Mediterraneo.
Le cognizioni che i siracusani possedevano sull'arte nautica e gli apporti tecnico-scientifici del sommo Archimede favorirono un rapido e sollecito progresso nella marineria. Dagli arsenali della Pentapoli, infatti, furono varate navi che per velocità, precisione tecnica e rifiniture negli ornamenti suscitarono in tutto il mondo greco classico ammirazione e meraviglia.
La prima nave da guerra costruita da Giasone nell'anno 1253 a.C. fu battezzata Argo e Argonauti furono chiamati i primi marinai che vi navigarono.
I siracusani alla pari degli ateniesi, con la perseveranza e con l'incoraggiamento dei re e dei tiranni, solcarono i mari raggiungendo presto un così alto grado di splendore e di potenza marittima da risultare vittoriosi sia contro i cartaginesi sia contro gli ateniesi.
A seconda della forma e dell'uso a cui erano destinati, i legni siracusani presero nomi diversi; c'erano quelli addetti ai viaggiatori e quelli che, per la forma larga e rotonda, fungevano da trasporto merci. I legni da guerra, leggeri, snelli e piuttosto allungati — per raggiungere una maggiore velocità — erano forniti di molti banchi per i rematori, relativamente al numero dei rematori venivano chiamati: «moneris» con un solo banco; «trieris» con tre banchi e «tetrieris» con quattro. Siracusa possedeva inoltre navi per il trasporto dei soldati e navi per il trasporto dei soldati di cavalleria.
La poppa era ricoperta di lastre di rame, per meglio resistere ai colpi e alle speronate che l'imbarcazione poteva ricevere nelle battaglie; la prora invece era colorata di rosso vivo, e da questo colore presero il nome di «facce rosse». I banchi dei rematori erano sistemati lungo i fianchi della nave; la carena presentava le trombe, destinate a cacciare l'acqua che vi si raccoglieva. I rostri erano una sorta di ferri acuminati che nelle battaglie servivano a percuotere le navi nemiche. Altre parti delle imbarcazioni greche erano il cassero e la stiva; a prora, poi, presentavano un pezzo di legno sporgente fuori, rappresentante la testa di un uomo o di qualche animale. A prora, su un'alta asta di legno, si ergeva lo stendardo; ai lati vennero sistemate delle pelli di animali per impedire alle onde di entrare all'interno dell'imbarcazione durante la navigazione; a poppa e a prua furono sistemati i timoni, fino a quattro. Nei casi di estrema difficoltà veniva gettata in mare l'ancora sacra, «hiera»: da questa nacque il proverbio adatto a coloro che si appigliano a soluzioni disperate.
Il varo di una nave era solenne: i marinai, adorni di ghirlande, venivano purificati con tutta una serie di riti sacri e sullo stendardo veniva rappresentata la divinità alla quale la nave era stata dedicata.
Riti sacri furono svolti anche alla partenza per qualche spedizione, soprattutto vennero eseguiti sacrifici propiziatori alle divinità marine e, in segno di un felice ritorno, veniva data la libertà a una colomba.
Durante il combattimento, il segnale dell'inizio dello scontro navale veniva dato dall'ammiraglio, il quale ordinava che si issasse sull'albero maestro uno scudo dorato, che assumeva certe posizioni a seconda delle mossse strategiche che la nave doveva effettuare. Generalmente le imbarcazioni si disponevano di fronte alla flotta nemica e quando la posizione ideale per il combattimento era stata raggiunta, la nave ammiraglia ordinava l'inizio delle ostilità. Tutte le altre navi, sull'esempio dell'ammiraglia, iniziavano le manovre per speronare i legni nemici, per mezzo dei rostri, oppure cercavano di urtarli violentemente, a poppa e a prua con lo scopo di affondarli. Contemporanea-mente i soldati lanciavano frecce e i rematori, compiendo operazioni difficilissime di virata ed evoluzioni varie, permettevano ai marinai di agganciare con gli uncini le navi nemiche. Iniziava così il combattimento vero e proprio, corpo a corpo, con le spade. Quando l'ammiraglio decideva di fare abbassare lo scudo dorato la battaglia aveva termine; di notte i vari segnali venivano fatti per mezzo di torce accese.
Ultimata la battaglia, le navi fatte «prigioniere» si convogliavano verso i porti più vicini; quelle che presentavano gravi danni venivano depredate dei rostri, che poi servivano per decorare le piazze e i pubblici edifici della Pentapoli.
Ai soldati che avevano partecipato al combattimento veniva ceduta una parte del bottino conquistato: armi, scudi, utensili vari, ecc…