Voza Giuseppe antico e moderno
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Se il moderno discende dall’antico di Giuseppe Voza
Esploriamo i monumenti, i luoghi e il paesaggio urbano di una città che finalmente investe sul suo inestimabile patrimonio di storia e cultura.
Esistono luoghi eccezionali nel mondo in cui Natura, Mito e Storia sembrano aver dato il meglio di sè: Siracusa è uno di questi; qui, forse, “per caso o per necessità”, secondo l’espressione democritea, essi si son dati felicissimo appuntamento, condizione che ha consegnato la città nel tempo non come scrigno muto e distante, ma come luogo sempre vivo e percepibile in una dimensione di continua evocazione.
Dal punto di vista geomorfologico il triangolo sud-orientale della Sicilia, alla prima e più evidente connotazione, dovuta alla prominenza della costa nelle acque del mare Ionio, della quale Siracusa è la punta più avanzata, aggiunge la particolarità della conformazione e dell’articolazione della linea costiera, dotata com’è, da Capo S. Croce a Capo Passero, di piccole formazioni peninsulari(Augusta, Thapsos, Ortigia), in vaste aree portuali, di fascinose e diramate incisioni fiordiformi, di inattesi punti di approdo alternati a luminosi arenili di spiagge incantate.
A questo scenario della terraferma sul mare fa capo una fascia di suoli feraci, ricchi di acque,segnati da una rete fluviale che attraverso il corso di antiche, sinuose “cave” raggiunge i punti più interni dei tavolati dei monti Iblei.
Queste particolari dotazioni naturali spiegano e danno conto della costituzione e della permanenza di aggregati umani dalla più alta antichità a oggi. E se è vero, come è vero, che, dal V millennio a.C. all’epoca della colonizzazione greca, la Sicilia fu costantemente terra di arrivo di influssi culturali da Oriente, questa costa sud-orientale della Sicilia offrì i più felici e promettenti punti di arrivo ogni volta che eroi del mito, personaggi omerici, mercanti e colonizzatori egei la raggiunsero seguendo rotte marine sperimentate da millenni.
Qui giunse, volando in fuga da Creta, il mitico Dedalo “l’artefice ingegnosissimo” che realizzò, lacolymbethra, la celebre opera di ingegneria idraulica, grande bacino sul fiume Alabon presso Megara Hyblaea.
Qui Ercole, eroe della civiltà mediterranea, dimostrò che la forza non può essere disgiunta dalla pietà, onorando, al Ciane, i sacri vincoli familiari e le comunità indigene.
A questa costa siracusana va il pensiero col racconto omerico - “Giunsero ai rivi d’acqua presso la rupe bianca.....”- quando si narra del passaggio di Ulisse nel mare di Sicilia.
Ma il mito che più puntualmente dice di Siracusa è quello, universalmente noto, che riguarda la travolgente passione che lega Alfeo, fiume dell’Elide, alla ninfa Aretusa, segno primario di quel patrimonio invisibile che la Grecità trasferisce e “rifonda” in terra siciliana, a Siracusa, eletta a luogo ideale di punto d’arrivo nel Mediterraneo occidentale.
E non a caso per tutto il corso delle famose emissioni monetali di Siracusa greca la testa di Aretusa è simbolo della città, oggetto di raffinata ricerca di valori plastici ed espressivi.
Ma a Siracusa avviene anche che mito e poesia si fanno realtà. Infatti se la poesia, con le sublimi evocazioni di Pindaro, ricorda come ad Artemide, figura sovrana del pantheon greco, fosse sacra Ortigia (“sacro spiraglio d’Alfeo, gemma della grande Siracusa, Ortigia, ara di Artemide”), è avvenuto che un recentissimo, fortunato ritrovamento, proprio nel Santuario centrale di Ortigia,facesse tornare alla luce, effigiata sulla parete di un prezioso vaso di stile protocorinzio, la grande Artemide raffigurata come potnia theron, “Signora delle belve”.
Ancora oggi il santuario centrale di Ortigia è il cuore della città. E’ la piazza del Duomo, restituita in questi ultimi tempi, dopo grandi interventi di esplorazione e di restauri, a tutta la sua dignità architettonica, apprezzabile oggi come una delle più significative e splendenti piazze barocche di Sicilia, ma anche percepibile, documentatamente e visibilmente, come, ganglio centrale di tutto l’apparato urbano, luogo fra i più onusti di storia, dove culti religiosi sono praticati da circa quattromillenni. Qui, infatti, sono state rinvenute le testimonianze di riti sacrificali datati all’inizio del II millennio a.C. Qui ebbe sede l’epicentro di una comunità indigena dal XV al IX sec. a.C. alla quale si sostituiscono, nell’VIII sec. a.C., quei coloni greci, venuti da Corinto e guidati da Archia, che costruiscono la loro prima dimora sacra, l’antichissimo oikos, che consacrava l’atto della fondazione della città, rappresentando così il primo nucleo del Santuario divenuto poi il più famoso della città greca. In questo stesso luogo, Gelone, della dinastia dei Dinomenidi, dopo la storica vittoria sui Cartaginesi a Himera, nel 480 a. C., realizzò il famosissimo tempio di Athena, trasformato poi in Chiesa cristiana e, nella seconda metà del VI sec., in Cattedrale quale è tuttora,rappresentando così, emblematicamente, il più importante luogo del Sacro della città dalla preistoria ai giorni nostri.
Il processo dell’edificato continua fino a tutto il secolo XIX quando l’affascinante anello costruttivo si completa. Così lo spazio aperto, sede dell’abitato preprotostorico, del sito del Santuario greco affacciato sul mare del Porto Grande, del piano della Cattedrale di memoria medioevale, si trasforma nel sette-ottocento in spazio chiuso. La “metafisica spianata” diventa piazza, ampio luogo di aggregazione dal fondo bianco sui cui margini si radicano le fronti degli edifici della comunità come su un’impareggiabile scena architettonica di aspetto generalmente tardo-barocco. Tutta Ortigia è testimonianza di un millenario sovrapporsi di vicende costruttive, continuo oggetto di attenzione soprattutto della ricerca archeologica che ha dimostrato come l’edificato moderno abbia un’inconfondibile dipendenza dall’impianto greco di età arcaica, basato su assi stradali principali intercettati ortogonalmente da strade più strette, reticolo distintamente ancora riconoscibile in ampie zone di Ortigia di modo che i rari monumenti archeologici come il tempio di Apollo, all’ingresso di Ortigia,- il più antico tempio dorico dell’occidente greco, di cui si conosce il nome dell’architetto (Cleomenes) che realizzò i monoliti del colonnato, “belle opere” come ricorda un’iscrizione sul crepidoma,- il tempio di Atena di cui Cicerone celebra tutta la preziosità e la ricchezza della decorazione, mirabilmente incastonato nelle strutture della Cattedrale e i brani delle fortificazioni di età dionigiana, simboli della Grecità, non sono da considerare “episodi”, iceberg di un mondo scomparso, ma capisaldi sempre più riconoscibili della matrice genetica greca dell’impianto urbano.
E’ questa matrice uno degli elementi fondamentali per cui “a Siracusa tutto è vivamente edeloquentemente antico”. Su questa antica trama greca si innesta l’edificato senza soluzione di continuità dall’ VIII sec. a.C. a oggi, stratificando il suo divenire in un autentico palinsesto in cui ogni epoca ha lasciato episodica o vistosa testimonianza in rapporto alle vicende storiche vissute dalla città. Così, se nell’età cristiana pochi sono i punti di riferimento limitati a qualche ipogeo o a rarissimi edifici religiosi come la chiesa di S.Pietro Apostolo e se poco si sa delle trasformazioni urbanistiche riportabili ai Bizantini, dopo la disastrosa distruzione da parte degli Arabi nell’878,bisogna attendere i Normanni per avere segni di ripresa edilizia di costruzioni monumentali comele chiese di S. Martino e di S. Tommaso.
Eretta tra il 1232 e il 1240 la superba mole di Castello Maniace, dovuto alla volontà imperiale di Federico II, segnerà nei secoli la punta di Ortigia, all’ingresso del Porto Grande. Nel XIV sec. alcuni palazzi di grandi famiglie (Chiaramonte, Nava, Mergulese) e della Chiesa testimoniano una ripresa dell’edilizia monumentale in alcuni punti della città, ma la fase che segna significativamente Ortigia è quella del dominio spagnolo. Carlo V la trasforma in base militare dotandola di un sistemadi difesa che per più di tre secoli la rendono una potente e grandiosa fortezza che stringerà la comunità fra poderose muraglie, torri, bastioni e porte monumentali mentre grandi edifici religiosi della Controriforma caratterizzarono il tessuto urbano.
Nel XVII secolo due grandi maestri spagnoli Andrea e Giovanni Vermexio arricchiscono la città del Palazzo Vescovile, della chiesa di S. Benedetto, del Palazzo del Senato connotandola di quei segni barocchi siciliani in cui è ancora presente la misura rinascimentale.
Dopo la tragedia del disastroso terremoto del 1963, la città, che però non subì gravissimi danni congrosse ripercussioni sul tessuto urbanistico, assunse presto, con la ripresa dell’attività edilizia, un aspetto tipicamente settecentesco: Luciano Caracciolo e Pompeo Picherale intervengono in numerosi opere di ricostruzione e Luciano Alì realizza il Palazzo Beneventano del Bosco in piazza del Duomo che si dota anche della straordinaria facciata della Cattedrale, forse una delle più alte espressioni del barocco in Sicilia.
Con l’unità d’Italia e l’istituzione del capoluogo della Provincia nel 1865 il tessuto urbano vive un periodo di sofferenza per la necessità di corrispondere a un notevole incremento demografico, ad accogliere gli Uffici delle nuove istituzioni, a recuperare ogni spazio libero con il conseguente sviluppo in altezza che generalmente coarta l’edificato già rinserrato com’era nella morsa delle fortificazioni del XVI secolo
Ma esse vengono demolite totalmente tra il 1885 e il 1893: la città se ne libera come da “unossessionante fenomeno di claustrofobia”.
Le aree recuperate con le demolizioni e i colmamenti furono edificate secondo una maglia ortogonale che ha finito per caratterizzare definitivamente la zona di collegamento di Ortigia con l’opposta sponda occidentale. Da allora la città si apre di nuovo verso la terraferma interessando,dopo tanti secoli, le aree degli antichi quartieri di Akradina, Neapolis, Tike ed Epipole che con Ortigia costituivano la pentapoli greca.
Inizia allora un periodo non ancora concluso che riguarda la complessa problematica dello sviluppo della città moderna su quella stessa area integralmente già occupata dalla città antica. In questo ambito, dove si è estesamente interessato il sottosuolo per l’edilizia moderna, si sono acquisiti importanti dati per la conoscenza del tessuto urbano degli antichi quartieri di Akradina e Neapolis. Si è accertato che essi risultano dotati di un impianto urbano unitario e coordinato con quello di Ortigia e che, nell’insieme, dimostra, soprattutto per l’età ellenistica, grande sapienza nell’organizzazione e nella gestione del suolo urbano
.La distribuzione delle aree abitate antiche secondo regolari geometrie organizzative funzionali ai rapporti con la costa e alle aree destinate a necropoli e ai luoghi del lavoro delle grandi latomie urbane, è impostata su un asse viario principale, menzionato da Cicerone come una via lata perpetua, coordinante i settori principali del costruito urbano e indirizzato sulla principale direttrice di comunicazione esterna alla città.
Alla luce di questi riferimenti oggi ben si comprende come i grandi monumenti della Neapolis - il famosissimo teatro greco col santuario di Apollo Temenite, la monumentale ara di Ierone II, l’anfiteatro romano con tutti i vicini annessi monumentali, tutti insieme costituenti oggi il cosiddetto parco archeologico della Neapolis, facciano parte di un contesto architettonico e urbanistico antico nell’ampio quadro dell’impianto di un’autentica megalopoli.
Ma questo vasto e rilevante patrimonio archeologico vive oggi il problema della convivenza con il costruito della città moderna e contemporanea con il quale è mancato, come per Ortigia, quel rapporto di continuum e, quindi, di permanenza dei segni dell’antico nell’avvicendamento del costruito. Oggi, pertanto, si avverte inderogabile la necessità di arrivare a una forma di valorizzazione del patrimonio archeologico di tutta quest’area, basato sull’integrazione e il coordinamento con l’apparato urbano moderno.
Se Ortigia restituisce in maniera rara la possibilità di seguire le vicende del costruito in una straordinaria successione “memore” della matrice greca, se Akradina e Neapolis raccontano della discontinuità nei secoli della presenza dell’uomo e delle sue opere, esiste pure a Siracusa la possibilità di avere “il senso ambientale dell’antico” nella parte più dominante del suo antico quartiere dell’Epipole, quello che per motivi di strategia difensiva fu inserito nell’apparato urbano alla fine del V sec. a.C.
Qui, nonostante le distruzioni, l’abbandono, l’usura del tempo sono palpitanti e vivi gli antichi connotati: le ferme, lunghe e possenti opere murarie, i tagli delle mille latomie di superficie, le carreggiate stradali che incidono i banchi rocciosi, i resti di acquedotti, torri, prestazioni difensive,sono tutti segni in cui si riconosce perfettamente quel luogo che, come dice Tucidide, “per ogni parte è scosceso e dall’interno non presenta ostacoli e domina direttamente la città che si può vedere per intero”.
Si tratta del punto culminante dell’Epipole ove si ha una straordinaria visione dell’immenso impianto della fortezza di Castello Eurialo e delle fortificazioni dionigiane.
Esse, realizzate in cinque anni dal 402 al 397 a.C. si estendono per 27 Km. costituendo una delle più immense opere di difesa del mondo antico: furono un formidabile baluardo per difendere la città antica dal pericolo cartaginese. Oggi abbracciano tutta la città moderna rappresentando il segno più visibile dell’antico in uno scenario naturale di incomparabile bellezza.
Questa eccezionale testimonianza della grecità a Siracusa rappresenta la struttura portante di tutto l’istituendo parco archeologico tant’è che esso è oggi ritenuto “elemento cardine del Nuovo Piano Regolatore Generale” che considererà, per espressa dichiarazione, “il territorio della città come un unico paesaggio di valore”.
Giuseppe Voza, Soprintendente ai Beni Culturali e Ambientali