Paolo Orsi, "Schlimann" - Galleria Roma Siracusa

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Paolo Orsi, "Schlimann"

Siracusa > testimonianze
Paolo Orsi, "Schliemann", di Siracusa di Maria Galizia

Se è vero che il grande studioso ed archeologo Paolo Orsi (Rovereto 1859 - 1935), venne a Siracusa in seguito ad un concorso pubblico che cambiò la sua residenza fiorentina con quella aretusea, è anche vero che vi spese ben cinquanta lunghi anni della sua vita e che, dalla città di Archimede, non lo strapparono mai le offerte lusinghiere della direzione del Museo di Napoli o i continui inviti a ricoprire le prestigiose cariche universitàrie di Torino, Pavia, Milano e Catania. Siracusa fu, per l'Orsi, la patria d'elezione, alla quale, come egli stesso ebbe a dichiarare, "andava debitore della sua gloria". Archeologo e studioso di notissima fama, Paolo Orsi antepose sempre alla tranquillità dell'insegnamento il travaglio di ricerche lunghe e pazienti, la fatica di indagini silenziose e laboriose. Ma proprio con quel lavoro tenace, caparbio e scrupoloso, egli gettò le basi delle moderne conquiste archeologiche che gli fecero meritare, a ragione, il titolo di "Schliemann della Sicilia". Orsi giunse a Siracusa, appena trentenne, nel 1888, con una salda preparazione scientifica, conseguita prima a Rovereto, sua città natale, e poi a Padova, Vienna e alla Regia Scuola Italiana di Archeologia. La sua preparazione nasceva dalla guida di grandi e valenti maestri
come Fortunato Zeni, dal quale apprese i primi rudimenti di numismatica romana e medievale, il Benndorf, l'Hirschfeld e il Pigorini, di cui per quarant'anni fu amico e discepolo prediletto. Accolto, non senza diffidenza, nella Reale Sovrintendenza di Siracusa, dal Cavallari, direttore generale alle antichità di Sicilia, attratto irresistibilmente dalle origini greche della città e dal fascino dei suoi innumerevoli reperti archeologici, Orsi iniziò subito una serie intensis-sima di ricerche sul terreno e sul materiale che gli consentì di tracciare il primo quadro storico, sistematico delle originarie culture dei Siculi, della Sicilia preellenica, dei famosi Sikeloi.
Le nostre conoscenze storiche su questo antico popolo abitatore della Sicilia e dei siti siracusani si arrestavano, infatti, alla fine del IX e agli inizi dell'VIII secolo avanti Cristo quando, grazie all'intensificarsi dei commerci, arrivarono sulle coste sicule i primi nuclei di coloni greci. I
tentativi del Cavallari, del barone Von Andrian, dello Schubring, erano assai lontani dalla soluzione del problema, che venne invece affrontato in pieno dall'Orsi, con tenacia e costanza. I quattro periodi in cui egli fissa le fasi salienti di tale civiltà ci permettono di seguire questo popolo paleosiculo nella sua unità culturale ed etnografica, la quale si manifesta nei sepolcri e nei riti funebri. Siculi e sicani sarebbero in fondo delle genti appartenenti alla stessa famiglia, pervenute probabilmente nell'isola in epoche diverse, ma formanti una completa unità etnica: un ramo, insomma, della stirpe mediterranea, irradiatasi dalle coste dell'Africa su tutto il mezzogiorno dell'europa occidentale e soprattutto in Sicilia. Ma l'attività dell'Orsi non rimase circoscritta al solo problema delle origini. Le sue ricerche sulla civiltà greca in Sicilia, e particolarmente a Siracusa, sono state grandissime. I suoi studi sull'Athenaion di Siracusa costituiscono oggi una vera conquista scientifica. Il suo interesse, altresì, fu indirizzato principalmente verso la scoperta e la conoscenza di
luoghi sacri e pubblici, come le necropoli greche e l'Olimpieion di Siracusa.
Effettuò personalmente esplorazioni arditissime e tenaci delle necropoli di Pantalica, Cassibile, Megara, Castelluccio, Thapson, Licodia, Valsavoia, salendo e scendendo dagli Erei e dagli Iblei. Al suo acuto occhio di osservatore preparato, le tombe si scrollavano la polvere del tempo e cominciavano a parlare, principalmente con la massa del vario materiale retituito alla luce, dopo un silenzio di millenni: disparati avanzi di piccole industrie domestiche, cocci di ceramiche con incisioni geometriche, campioni vascolari con elementari decorazioni, suppellettili varie come coltelli litici, asce basaltiche, fibule, armi, corredi mortuari. Alla ricerca di tutto ciò, lo si vedeva spesso su balze inaccessibili, avvolto nel suo pesante mantello nero, immobile, con lo sguardo perduto sulle rocciose distese, assistito sempre dal suo fidatissimo collaboratore, professor Rosario Carta. Profuse molte energie sugli studi praticati nella grande catacomba siracusana di San Giovanni, alla quale consacrò ben cinque campagne archeologiche, ricchissime di risultati.
Ma le sue attenzioni si estesero anche ai cimiteri che si trovavano nella regione occidentale di Akradina, Santa Maria, Santa Lucia (ex Vigna Cassia), di cui rivelò topografie, forme tectoniche, elementi decorativi. Da essi, trasse fuori grandi risultati che gli permisero di ampliare enormemente lo studio del simbolismo delle pitture e la minuta descrizione dei suppellettili dei sepolcri, che lo portarono a capire le più importanti consuetudini funerarie di questi nostri antichi e sorprendenti antenati. Studiò un gruppo numeroso di minori ipogei disseminati lungo la falda orientale della terrazza di Akradina, di cui illustrò il problema del cristianesimo primitivo e del lungo travaglio della chiesa siracusana nei primi secoli della sua vita. Si trattava in genere di cimiteri ipogeici, sperduti nella solitudine di vaste campagne, ricchi di elementi epigrafici e decorativi.
Queste incessanti ricognizioni topografiche, non solo lo mettevano a diretto contatto con le vetuste reliquie della civiltà sicula e greca, ma gli permisero di annunciare, con vero stupore degli studiosi di archeologia, che la sola provincia di Siracusa comprende un centinaio tra grandi e piccoli cimiteri di età greca, romana e cristiana. Cimiteri disseminati nell'immensa campagna che si stende dalla marina costiera di Noto a Canicattini Bagni, a Cava d'Ispica, Spaccaforno, Licodia Eubea, Floridia, Cassibile, Modica, Buscemi, Palazzolo Acreide. Nella carta topografica dei cimiteri cristiani, essi parlano, per merito dell'Orsi, con precisi rilievi monumentali, illuminando ed integrando leggende agiografiche che sembravano, fino ad allora, destituite di ogni attendibilità storica. Innamorato di Siracusa e della storia ellenica, questo solitario archeologo trentino, dalla figura alta, asciutta, volitiva, sempre in tenuta da campagna, dal collo chiuso, dagli stivali affibbiati, aveva sempre le tasche piene di taccuini e di lapis. Su questi celebri taccuini (oggi custoditi presso la Sovrintendenza archeologica regionale di Siracusa), dalla tipica copertina nera, che contenevano circa duecento fogli ciascuno, appuntava meticolosamente i dati di scavo, ma anche le sue impressioni personali, i suoi stati d'animo, le sue ansie, le sue paure, le sue gioie, le sue emozioni di fronte al grande mistero della storia antica e delle tracce di quegli uomini che di essa erano stati protagonisti. Ma oltre a questi libretti vi è la mirabile opera degli inventari, tracciati tutti di suo pugno, dove si trova, un materiale prezioso, di cui ci auguriamo tutti, nell'interesse della scienza, che ne vanga prima o poi curata la pubblicazione. Sono essi la testimonianza del nostro passato, al quale, pur nella nostra civiltà trasformata e rivoltata da mille eventi e mutazioni, non possiamo che riconoscerci, non possiamo che rintracciare le nostre prime radici. E di questo passato egli faceva un paziente lavoro di classificazione, di minuzioso controllo durato diversi anni. Si può ben dire a riguardo che in questo campo il suo contributo è stato grandissimo tanto da meritargli un posto eminente nella storia della moderna archeologia e da fargli ottenere nel 1896 la nomina a membro dell'Accademia dei Lincei e nel 1924 quella di senatore. Ma Orsi non si gloriò mai di questi titoli, l'amore per la storia e l'archeologia gli riempì talmente la vita da indurlo perfino a rinunciare alle gioie di una propria famiglia. Conservò sempre consuetudini semplici, francescanamente severe e riservate, che si stemperavano solo nel ricordo degli anni, sudatissimi ma felici, vissuti nella nostra città, nella "sua" Siracusa.

Al suo nome è intitolato il Museo Archeologico Regionale della Sicilia. Inaugurato nel 1886 in piazza del Duomo, esso fu diretto dal 1895 al 1934 proprio dal nostro Paolo Orsi. E fu la crescita della raccolta di reperti e documenti a condurre alla progettazione di un nuovo spazio, quello attuale, nel giardino di villa Landolina. E' stato l'architetto Minissi a disegnare la nuova struttura, inaugurata nel gennaio 1988 e costituita da due piani espositivi. In essa vive il segno tangibile del lavoro svolto per tanti anni dall'Orsi per la nostra città.
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