Rovella Aretusa - Galleria Roma Siracusa

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Galleria Roma Siracusa
Vai ai contenuti

Rovella Aretusa

poeti galleria Roma

Aretusa Rovella

Andare dove porta

la vita, così,

senza memoria.

Lasciarsi sfuggire

ciò  che si lascia

dentro  il cuore.

Girarsi e rigirarsi

nella guaina dell’impossibile.

Un’ aroma  d’amore

scuote l’aria

nella  immobilità

del silenzio.

Tanti  punti  aprono

mancanze .

Solo dei gesti

tra le aure.

Consolazione di  riconoscersi

così,  come fredde albe,

eco di parole frantumate

come piccole onde

che  solcano

le perle dell’anima.

Nel  silenzio ,

assentire le aspettative .

Desiderio profondo

Di ascoltersi.


Campo di neve


“Sono già stata di tutto

E  tante volte”


Un fondo di memorie acuisce l’apertura

Come un diamante ancora risplendo della sua luce.

Sono frantumata.

Dove devo poggiarmi, su quale angolo della luna,

stanotte,

mi  siederò per cantare?

Bianco è il tempio, porte dove il  tempo non passa.

Le dee sono mute,  icone tra arabeschi azzurri.

Le ore stanno ruotando la loro danza,

il quadrante della vita le batte,

ballerine senza guerrieri tra atelier di nuvole.

Conversazione interrotta, ora, nel piccolo rifugio.

Mi affido alle carte, alle mappe.

I campi di neve, troppo sterminati.

La mia mano raccoglie presagi, i segreti li lascio al cuore.

Non oso rincorrermi, mi lascio  là , sviata e posseduta

Dal dio che acceca.

La sola speranza è nelle cento porte, tutte da aprire, tutte da chiudere,

quel volgermi bambina alla possessione del ricordo.

Le mie spalle  nascondono la luna.

Resto viandante dei sogni sconosciuti, delle radici sopite.

Non mi ferma l’attimo.

La  limpidezza dell’oltre la colgo come un fiore.

E’ appartenenza o lontananza?

Nel  campo di neve la bianchezza è tale  che mi strema.

Punti indefiniti.

Ai crocicchi, passerelle vuote, diritte,  irreali,

l’uscio chiuso sulla luce gialla.

Il gong del tempio che sovrasta il rumore degli insetti, mi avverte.

Usciti dall’ombra passano due bambimi mano nella mano.

La ballerina bianca tra le gambe del guerriero.


Clessidra

Se ritorno

In questa notte di primavera,

gonfia e dolce

tra l’essere e il futuro

confusa tra il prima e il poi,

tra il sonno e la veglia

notte di ora e di batticuore,

è che ti seguo

dove il filo d’Arianna

è un segno

di voce piu’ profonda

che lacera la coltre

di quell’ora crudele

della prima alba dell’anno.

In ora precipitosa

Vuoto di vita.

Mordo la luce

E una felicita’

Infinita

Di andare oltre,

di restare qui’.

Poi il cuore che anela,

fra agili ombre,

l’ossessione d’amore

Da Mitoraj ……

Il chiodo
Nella memoria si tarla,
tra azzurri respiri.
Nel corpo efebico
Luce calante d’orchidea,
l’ala dell’angelo
acquista l’ansia
di un tempo finito.
In simbiosi d’estasi
Si acuisce
La virgulta sonnolenza
Del dio,
salmodiando
rappresi coaguli di vento.

Distanze,
vuoti fiori della memoria.
La lentezza, un senso di esteso,
riflesso di pupille
che incanta le stagioni.
Cè , in questa luce del mattino,
una mancanza che inchioda il cuore.
Il ritmo del giorno
Prisma di angoli colorati,
pupilla di vetro
all’oblio del ricordo.
Il resto dietro di me,
è come il manto rosso
che avvolge la sera.
Sopra le case l’aroma del tempo,
il tumulo di raso
che fa della notte,
il prodigio.
Dai cumuli il desiderio estinto.
Fra rami cupi di albe,
l’amore,
veste traforata d’oblio.


Fabula


Sulla mano
Cola via la vita,
atmosfera bizzarra
di fumo ai bistrò.
Città sognante
Di metafore sparse.
Ovunque dolore mascherato,
ovunque
macchie di morte
live danza di ballerine
verso l’immensità indefinita.
Sotto la seta
Il corpo nudo
Lo sguardo nudo
la nuda contraddizione di un amore.
Dai remoti luoghi
Un colore viola, giunge,
verso altri luoghi
di immobilità
Tu dimenticherai.
Tu dimenticherai,
rumore confuso
con quello del tempo.



Forse un fuoco
arderà
nelle fisse dimore
degli dei.
Sogno di mare
Lontano
Affondato d’amore.
Questo giorno
perenne arcobaleno
non sarà con le mani tese.
Questa musica,
magica nota,
non farà morire la distanza,
il gioco,
la morte.
Solo allora le nostre Mani
LE PARTICELLE CALANTI

Vanessa era inadeguata. Le piaceva la sua inadeguatezza cosi al di sopra della gente. Sentiva in modo diverso, la vita, Vanessa. Il suo era il nome di una farfalla e l’etereo e l’inconsistente erano il fulcro della sua vita.

Immagini  proiettati come un film andavano e venivano nella sua mente. L’infanzia le scavava  dentro un vortice, un grande ragno nero. Tesseva sempre la stessa tela, Vanessa. Erano  trent’anni che tesseva, e la memoria era angustia di bambole e carezze lasciate a metà da parole che il vento di mare portava via la notte, per lasciarla completamente  coperta da una luna a metà, che la inondava d’argento. Non era un sonno felice ne facile il suo, così intriso di premonizioni che le facevano intendere “un oltre “ che a volte la rendeva furiosa a volte dolce come se riprendesse un cammino già interrotto da qualche altra parte, con altre parti di se stessa intercambiabili. Si vedeva distante da se, a volte piccolina, così da non essere presa, altre volte acquistava il potere di una dea generosa e pronta a dare tutto di se.

Lei pensava che l’amore le fosse dovuto, e che gli uomini capissero la voglia che c’era in lei di essere mentalmente inoppugnabile. Amava gli uomini affabulanti, Vanessa, magici, quasi sciamanici, così come era stato suo padre, un prodigio, un dio caduto da qualche stella troppo vicina a lei. Ma lui era scomparso come una meteora, troppo presto affinché  lei potesse carpirgli il segreto……..

Le particelle creavano nella mente di Vanessa  come dei sipari, s’incaponiva su una immagine, la voleva trasfigurare.

Quel dipinto.

La bellezza, lei la  vedeva, in tutto, oltre.

Il calice della bellezza erano quegli occhi che la guardavano da un viso lontano,  erano oltre il viso, oltre l’immagine che  proiettava  quel viso……. E il mistero si faceva sempre piu’ strada in lei .

Pensava di essere stata concepita dalle fate, da creature al di sopra dell’umana natura.

Le avevano messo al collo una piccola collana di perle , bianche come la sua pelle.

La perla , un riconoscimento. il bianco il perlaceo, la luna, la madre.

Madre.

Madre.

Madre.

Quella parola le risuonava come una moneta falsa. I capelli di sua madre erano fili che tessevano la sua infelicità.

Come un presagio, e l’aveva perduta, Vanessa, una notte di mille anni fa; quella madre un poco fata, un poco strega, che l’aveva ora cullata, ora portata tra gli abissi così alti oltre il sogno di un abraccio perduto.

Era sola ora Vanessa in quella grande casa.

Scriveva e vagheggiava già di un lei ombra.

Vedeva il suo amore fuggire e fuggire senza voltarsi neanche a ricordare un tempo di velluto di baci, un tempo oltre il tempo che amava ricordare, sazio di presenze.

Una orchestra di violini sfioriti, un tempo di rose senza profumo…..

Là in quel piccolo giardino remoto….

Sola andava verso il tempo delle maree più profonde

Verso l’annegamento della sua bellezza,

con le ali degli angeli a più belli a farle da sole.

Lontananza di vita,
selva intrigata nelle vene.
Calano i sipari
Nelle penombre,
arcobaleni a sprazzi
corpi pieni di meteore,
campi di anime desunte.
La mia mano
Serve all’oltre,
dove il fuoco diventa
la vampa d’aurora
che la dea mi carpi’.
Questa è l’assenza
Che assidera i boschi
Luminescenza di aerei chiaroscuri
Che solca la materia.
Neve di memoria oltre i cancelli
Rutilante attesa,
ballerina bianca
tra le gambe del guerriero.

Merli di sera
nello scenario di tegole.
Su alte vette la memoria ride
profana di pianto,
altalena di meridiane.
Solo tempo di furia tra le mani
suono di limbi perduti,
dall’eco di una semenza ossessiva.
Giacciono momenti d’amore,
negli spartiacque dell’anima.
Solo canti di ninfe tra sparse aurore
chiamano l’alchimia del sole.

Danza con me
la danza della notte.
Nei vicoli stretti
la tua voce si perde
nei tremori del tempo.
Danza con me
questa danza
vestita di nero
ora delicata
di miniature di stelle.
La luce ambrata annuncia
la fine del giorno
nei vicoli stretti
di una Ortigia crepuscolare.
Decapitate, le rose del mare,
affiorano sfiorite
e preziose.

Ogni tempo


Ogni tempo è passato
Sopra alberi,
querce rosse.
Il cuore come roccia
Ha il respiro dell’azzurro
Senza pianto.
Il sonno è la vaghezza
Dell’anima,
aquila rapace
che insegue la fenice,
coperta d’oro.
Alle porte del tempo
L’occhio croce
Si dimentica
Della quietanza dell’oceano.
Conchiglie rosse di vento,
arcobaleni di sabbia
come morte.


Oltre 2

E’ il tempo della memoria
che orienta,
gli orli della sera,
al viola acciaio del tramonto.
Abitata da presagi, di febbrili arcani
mi cingo la fronte,
acqua viva
di sorgente azzurra di stella.
La mia anima
è la notte che vaga
tra solerti arbusti di mirto,
incatenati emblemi
di bandiere rosse di vento.
E’ il tempo del sopimento
sopra velluti di aspre montagne,
e la sete di orme
tra rigagnoli di speranza,
è un lete obliato di luce.
Questa mancanza di cuori
alle stazioni della vita
è una sonnolenta città di vetro,
che ancoro, tra drappelli di ombre morte,
vertigine di pupille, agli occhi del mistero,
seminascosto.
L’inconsapevole è la certezza
del sonno in cui cado
tra due meraviglie,
stupore di alba fra aironi rossi.
La lucida stella d’argento
ha spento la sua sera,
nel viandante cammino di fiaba.

Oltre



Strade di meteore
Percorrono i miei occhi.
Tra ponti di memorie,
fiumi che attraversano
l’azzurro,
lacerano,
le foto mute che siamo stati,
arcobaleni ora sereni, ora corrosi,
tra un ardire e un pensiero
già oltre il gradino
della vita a scacchi.
Stagioni sonnolente
Aprono varchi
Verso il fluire,
che ci disegna
girasoli d’oro
limbida alchimia di sogni.
Dal tempo,
gli orli dell’orizzonte,
vertigine di sventrate pupille.
Buca scavata di tarli
Nella gabbia di leoni rossi.

C’è solo  questa

Chiarità,

alba rossa

che scuote le querce,

di questa

secolare solitudine.

I tuoi occhi Liquidi,

si aprono

alla fonte.

Ho scoperto di te

Infinite acque

che navigano

da ogni parte.

Fondo buio

Appare,

ai rossi leoni

che inseguono falene.

Ho da dirti

Che mille anni

sono abbastanza

per l’amore.

Abbandonato l’abito

Stinto.

Ecco risplendere

Le stelle-rubine

Che violano

l’incanto .

Ti incontro spesso

Dove il desiderio

Si  lega

Col dolore.

Averti nel silenzio

è l’alchimia

perfetta

Pensiero antico



Forse era maggio.
Una primavera violenta
Eslosa
Tra fiori e passione,
ti faceva pensare,
ad una idea dell’infanzia
persa
tra i labirinti della mente,
come di una stagione
di liberta’
tra lo spazio e il mare.
Votavano gli occhi
Immagini
Di mondi aperti al centro
E sotto strisce di cielo,
odore di stelle.
Sopra ogni cosa
Il tuo pensiero antico.


Transiti


La mia infanzia.

Vedo me stessa come dipinta su tela. Sento la voce distante di mio padre smorzata dalla nebbia del desiderio.

Molto freddo. E’ un’ oasi della mente, una tasca piena di parole, è una cella solitaria con molti mattoni tutti intagliati da mani che raccontano  altre storie: ognuna contenuta in un unico mattone.

Le mie scarpe  traboccanti di perle….. piego il mio maglione di  cashmere.

Spariscono le fotografie della mia giovinezza…..

Le ore avvolte della notte.

Nell’ angolo più buio del mio sonno  mi ricordo di spegnere la luce. Oblio.

Il mondo profondo della dimenticanza……….Sono morta

Dico a me stessa. Quali voci baceranno le mie labbra socchiuse?

Mi dibatto nel profondo della mia mente.

Avrei indossato uno chaddor per nascondere il mio sesso, penso, vergognosa agli occhi del mio amante,

la mia verginità non più’ nascosta, il tempo dilatato, la mia ombra pallida, leggera ovunque, la mia morte

persa in una morte senza nome.

Dimenticare. Le assenze. Molte assenze.

Come di perle  grigie in me, agitate……..

Il brusio di voci, porte che scorrono, stretti sentieri d’acqua.

Chiudo la bocca dopo il suo bacio, dopo aver ‘ensato a tutti gli uomini che ho conosciuto nella mia breve vita.

Io faccio parte del testo, di tanto in tanto lotto  contro il destino,

ricordo filosofi, sorveglianti notturni senza volto

Nella folla, qualcuno li avrebbe scacciati prima dell’alba.

Magritte? No.

Edipo, menti senza bocche.

E il filo di Arianna sempre teso.

Rifiuto di accettare il personaggio da una pagina all’altra, provo a distruggere segni diacritici, spero che le parole purifichino,

sputo sull’inchiostro umido………


Tenevo un gioiello, nel palmo della mano, quando mi  addormentai.

Pensavo”durerà”.Ho sempre torto. Le gemme scompaiono. Solo ricordi, sfere di zaffiro.

Ora  apro  la mia valigia e tiro fuori i pantaloni  senza cerniera.

Di notte, mani che accarezzano la mia spina dorsale, la  curva del mio collo, la precisione delle mie  natiche, i capezzoli di marmo.

Entro nella mia forma di marmo e sogno come se fossi una scultura,e, dentro il sogno, sogno ancora le domande che possono preoccupare la mente…….

Mangiare, dovrei mangiare………

Una profetessa, una fata.

Morgana di velluto rosso.

Tutte le voci sono pure reminescenze di altri tempi.

Nessuna voce ancora, nebulosa…..

Forse ancora e solo quella  di mio padre, forse trent’anni prima, da bambina, braccia di cristallo, abissi d’azzurro

Ore d’argento, dove si incontravano lune e comete, mari e favole col batticuore dell’abbandono…….

Faccio cadere la mia  ruvida camicia di lino.

Sul mio corpo, rumori di giocolieri.

Sulla coperta, colori, si fondono, con la luce che si oscura.

Fuori, marinai antichi cavalcano le loro sirene nei rifugi del sonno verso distanze svuotate di segni.

Tutto è pronto per la mia morte.

Rasi neri e organi, nudità  ombreggiate, attraversate e vestite da arcobaleni.

Alla fine, il deserto? Solitudine?

Tutto rimane invisibile come il movimento strisciante di un sonno continuo……

Tutto è mentale.

La luna è piena
di luna
stanotte,
nel cielo bianco
di pensieri.
Una mano affilata
chiede sogni e immagini d’amore.
Consumo ansia
fra le stelle
sbalzate a ridosso
del muro.
Voglio averti tra i pensieri.


Torna ai contenuti