Fischietti Terracotta
IL GIOCATTOLO SONORO PIU’ ANTICO DEL MONDO
Oggetto magico, poetico, un po’ misterioso, a volte grottesco, a volte comico, certamente un oggetto di festa e di buon augurio.
La sua origine si perde nella notte dei tempi. Il suo soffio evoca il ricordo biblico della Creazione di Adamo ed Eva.
Il suono simile al canto del cuculo è un dolce richiamo per la fanciulla alla quale veniva donato dal suo amato.
Esso, oltre a portare fortuna, ha poteri magici. Nei momenti di malinconia il sibilo allontana i pensieri cattivi.
E’ consigliato, pertanto, di tenerne sempre uno a portata di mano
Premessa
vaso
Il periodo di massima diffusione dei fischietti è stato tra la fine dell’ottocento e gli anni 50, ovvero prima dell’avvento della plastica. Venivano donati ai bambini in un giorno di festa, quasi sempre all’approssimarsi della primavera e della Pasqua.
Destinazione infantile ravvisabile anche nei corredi funerari delle civiltà pre-cristiane e in quelle dell’America Centrale e Meridionale pre-colombiane. Al defunto-bambino, i genitori regalavano “l’ultimo fischietto” affinché il piccolo, esorcizzando il male, potesse difendersi anche nell’aldilà.
Uno strumento nell’antichità monotonale, dalle molteplicità iconografiche e dai tanti significati allegorici che accompagnava il fanciullo e poi il giovane adolescente nei vari momenti della sua esistenza.
Fischietto da suonare allegramente in un giorno di festa, ma anche richiamo gioioso da dedicare al proprio amore. Dispensatore di buona fortuna, il suo suono imita il canto degli uccelli, o il sibilo delle serpi all’arrivo della buona stagione, allontanando così la cattiva sorte.
Gli umili fischietti in creta erano creazione dei pasturari ( in Sicilia ), dei figuli (in Italia ), dei cucari (in Veneto) …, insomma, degli artigiani che, nella maggior parte dei casi, erano specializzati nella realizzazione delle figure del presepe, o in tutto quello che apparteneva all’arte popolare. Molti di loro infatti producevano stoviglie e in genere oggetti di uso comune, per la cucina e la campagna.
A questa categoria di artigiani, si sono interessati antropologi del calibro di Antonio Uccello e Giuseppe Pitrè, rispettivamente fondatori della Casa Museo di Palazzolo Acreide e del Museo Etnoantropologico di Palermo, che hanno ridato dignità a tutti gli oggetti appartenuti alla civiltà contadina, in quanto testimonianze di tradizioni e di radici culturali profonde. Tuttavia la letteratura riguardante i fischietti di terracotta e gli oggetti d’arte popolare in genere è ancora scarsa perché marginale, nel passato, è stata la loro considerazione organologica e antropologica.
Con il rinnovato interesse dei collezionisti sembra essere rinato un settore interessante, in cui il tradizionale può camminare a braccetto con il “nuovo” rafforzando l’identità di un paese, consapevoli che la valorizzazione del passato non vuol dire tornare indietro, ma è il punto di partenza per spunti e nuove soluzioni.
E’ così che anche gli artisti più giovani, hanno ricominciato a produrre fischietti, liberando i canali della fantasia, gratificati dall’interesse crescente dei collezionisti. A causa di ciò l’aspetto estetico del fischietto, la sua plasticità, la sua forma scultorea hanno preso il sopravvento sull’aspetto musicale.
Schaeffner, analizzando l’aspetto zoomorfo e antropomorfo di molti strumenti si chiedeva se si trattasse di “forme concrete di materia o di strumenti musicali”; nel caso della figurina fischietto dello Yucatan, osservò che lo strumento musicale era letteralmente sminuito dall’oggetto d’arte; contrariamente a quanto succedeva in altri casi. Dunque, alla fine dedusse che la deliziosa ambiguità del fischietto di terracotta sembrasse consistere proprio nella sua duplice natura di ”oggetto d’arte e di strumento musicale”.
Alla luce di queste premesse , la mia tesi vuole sottolineare il valore storico, culturale, etico, folkloristico delle meravigliose terrecotte sonanti che pertanto meritano di essere considerate delle piccole opere d’arte, patrimonio della collettività.
Il valore storico e culturale è riconducibile al passare dei millenni, in cui l’uomo si è evoluto, ha costruito città, ha fatto guerre, ha fatto grandi scoperte scientifiche ed ha sempre continuato ad usare il suo umile fischietto.
Il valore etico è evidente nella semplicità che l’oggetto stesso esprime, legato al non riconosciuto lavoro dei “pasturari” che, instancabili anno dopo anno, riproponevano un prodotto umile, fatto di argilla e un po’ di colore.
Niente di più semplice!
C’era una volta … il fischietto
San Giuseppe
… e c’è ancora. Il suo suono magico, propiziatorio, di richiamo, di corteggiamento, sembra avere qualcosa a che fare con le favole, sembra evocare sorrisi gioiosi, arcaici e moderni di fanciulli e adulti.
I suoi colori vivaci ed intensi, colori fondamentali, accendono la curiosità di grandi e piccini, invitando al soffio. In grande uso fra l’800 e i primi del 900, con l’avvento dei giocattoli di plastica se n’è decretata la morte, ma da un ventennio circa sembra essere rinato a nuova vita, soprattutto grazie all’interesse dei collezionisti, studiosi e di alcuni vecchi artigiani che caparbiamente hanno continuato a sfornare fischietti.
Oggi non è più l’umile giocattolo, ma l’oggetto da collezionare che è possibile trovare nei musei: Museo Etnografico di Roma, Casa Museo A. Uccello di Palazzolo Acreide, Museo dei Cuchi di Cesuna e tanti altri ancora, dove vi sono fischietti di tutte le misure, da tanto piccoli da entrare nel palmo della mano, a tanto grandi da essere chiamati Arcicuchi.. Ce n’è di tutte le forme e per tutti i gusti.
MORFOLOGIA DEL FISCHIETTO
Il fischietto di terracotta è uno strumento musicale, appartenente alla famiglia degli aerofoni, in cui il suono viene provocato dalla vibrazione dell’aria.
A seconda se presenta uno più fori d’uscita dell’aria, può essere: monotonale, bitonale e politonale.
L’aria immessa, passa attraverso un orlo tagliente che rompe il suono con l’effetto della vibrazione che ne determina il sibilo acuto, prolungato, penetrante e quasi ossessivo.
Il fischietto siciliano per sua natura è monotonale
Una distinzione di fondo va fatta tra i fischietti tradizionali e i fischietti moderni. I primi si attengono a regole compositive rigide, in cui la fantasia dell’artista ha poco peso; i secondi possono essere totale frutto della fantasia e per questo allontanarsi dalla tradizione, tentando di aprire nuove strade che nulla hanno a che vedere con le regole rigide della composizione.
Classificazione dei fischietti europei. La teoria di H. Nixdorff
Secondo la teoria della studiosa H. Nixdorff, i fischietti si dividono in tre tipologie principali:
1- cassa di risonanza (A)
2- fischietto applicato (B)
3- fischietto ad acqua (C)
Il suono ottenuto è un trillo più o meno acuto a seconda della forma e dalla dimensione della cassa. Esso a sua volta si suddivide in due sottospecie distinte: con cassa armonica interna alla figura e con parte fischiante aggiunta. Nel caso del fischietto tradizionale siciliano, la parte fischiante è aggiunta.
Il flauto, oltre alla camera fornita di cataletto di imboccatura, ha due o più aperture che consentono la possibilità di modulare il suono. Il miglior esempio che sfugge però alla catalogazione è fornito dall’ocarina.
Il vaso ad acqua , possiede una cassa armonica che riempita d’acqua quanto basta, con il soffio d’aria produce un suono vibrante quasi un gorgheggio o un cinguettio, cosicché spesso viene usato quale imitazione del canto degli uccelli.
Costruzione di fischietto con cassa armonica
I FISCHIETTI ARCAICI
I suoni nelle caverne
Piuttosto rare sono le ricerche archeologiche nel campo musicale in quanto non esiste una disciplina precisa sui suoni della preistoria.
L’unico catalogo esistente nel deserto delle pubblicazioni specifiche, è quello del Museo Etnologico di Berlino del 1974, in cui sono catalogati gli oltre 200 esemplari di fischietti preistorici ivi esposti.
Nelle origini della musica, in particolare dell’invenzione degli strumenti musicali, la fase principale della sperimentazione è situata nella preistoria dell’umanità. Dai reperti archeologici in osso, pietra e conchiglia, dai graffiti e dalle pitture, uniche tracce sopravvissute nel tempo, possiamo stabilire che la storia degli strumenti musicali, segue la vicenda degli utensili usati dall’uomo. Pare che fossero nati nella preistoria, non come strumenti di gioco ma come mezzo per pratiche rituali e utilitarie, ma soprattutto per la sopravvivenza nel caso di segnalazioni di pericolo. Il numero dei fischi e la variabilità sonora potevano indicare la presenza di animali feroci o l’imminenza di incendi o di tempeste e quant’altro. Anche oggi con i fischi si richiama l’attenzione degli uomini e degli animali o si dimostra il dissenso.
A Caltagirone presso il museo della ceramica esiste un fischietto di epoca preistorica che prima dell’intervento di restauro non era stato affatto capito.
Esso è composto da due vasetti di argilla nerastra, con decorazione graffita stilizzata, saldati insieme dalle pance e comunicanti attraverso fori praticati nella stessa giuntura. Al centro è applicato un beccuccio che serve per immettere il soffio.
Nei due vasetti riempiti d’acqua, l’immissione d’aria, attraverso il beccuccio, doveva determinare un caratteristico gorgoglio, che probabilmente serviva durante la caccia in mezzo ai boschi, come richiamo per gli uccelli e per gli altri animali.
I primi oggetti sonori riconosciuti, compaiono 40.000 anni fa, con l’Homo Sapiens, nel paleolitico superiore. Paralleli all’arte simbolica e figurativa troviamo i primi oggetti bucati artificialmente come i pendagli ornamentali, i fischietti di falange i raschiatoi e i rombi, mentre i primi flauti, tubi in osso con buchi compaiono circa 25.000 anni fa.
Recentemente, in Himalaya è stato scoperto un osso sacro d’aquila: “un’ulna” risalente al Paleolitico superiore, conosciuto anche dagli antichi romani, che lo chiamavano “actus”. Un tubo sonoro, in grado di essere impiegato come megafono,come tromba e imboccandolo semi trasversalmente, come flauto. I suoni che si ottengono sono veramente straordinari, limpidi e cristallini, fluttuanti come il volo d’aquila. E’ possibile ascoltare questi suoni, nel CD Art of primitive Sound – Strumenti musicali della preistoria – Il Paleolitico – Synaulia – volume I – Strumenti a fiato.
La struttura lunga o corta delle ossa, si prestava a tipi diversi di strumenti ad aria. La cavità delle ossa lunghe, col midollo al centro ed il tessuto spugnoso alle due estremità serviva per ottenere le canne di flauto. Le ossa corte o ossicini, con una piccola massa di tessuto spugnoso erano riservati alla costruzione di fischietti primitivi.
Così nel Paleolitico superiore e nel Mesolitico, troviamo già l’uso di fischietti ricavati da piccole ossa del piede.
Flauti di ossa di grossi uccelli, di pipistrelli, di lepri, muniti di vari fori, sono stati raccolti nei luoghi della Francia, dell’Inghilterra e degli Stati Baltici. Il più celebre è quello
Fischietti di ossa
Dai fischietti Egiziani a quelli Greci
Andando più avanti nel tempo, troviamo esemplari di antenati dei fischietti, in Egitto. Si tratta di flauti egiziani a forma di frutto, databili intorno al 3.300 a.C.
Si ha notizia di fischietti risalenti al 2.700 A. C. in Cina e successivamente al 1.400 – 1200 A .C; Altri ritrovamenti sono avvenuti in Mesopotamia e in India attorno al 2.800 A.C.; a Gerusalemme attorno al 1.050 a.C. e al 44 A.C.; in Iran verso l’800 A.C. e in America risalgono al periodo pre-colombiano. Secondo Wilson, il reperto più antico dell’Europa risale all’epoca del Bronzo nei pressi di Furfooz nel Belgio meridionale ed è un flauto di terracotta a forma di uccello, che per somiglianza è riconducibile ad altri flauti in osso di renna, ritrovati nell’Europa meridionale.
In Europa, pare che il periodo di massima diffusione sia riconducibile ai greci. I Greci si accorsero che i fischietti venivano deposti nelle sepolture dei piccoli egiziani, a completamento del corredo funerario.
Anna Rossi (1960-39) parla di antichi fischietti risalenti alla colonizzazione greca, ritrovati negli scavi del Salento,presso le rudimentali fabbriche di Ruffano.
Una tavoletta greca del 300 A.C., conservata all’Asmoleum Museum di Oxford, contiene un poema epico Ishtar bilingue, in cui,secondo la traduzione di Sidney Smith,“ Il Dio del cielo Am, invoca la Dea della guerra Ishtar e le dice così: lascia che la Grecia attraversi, penetrandovi come un uku, il cuore e le viscere”
Uku in lingua Bantu vuol dire soffiare e il soffio del fischietto da queste tribù africane, durante i rituali magici e durante la guerra, è ritenuto in grado di “penetrare il cuore dei nemici che, trafitti, moriranno”.
Pare che, anche in Mesopotamia fossero in grande uso i fischietti che tuttavia per la loro fragilità nel corso dei tempi sono andati distrutti e quindi non riconoscibili.
E’ interessante soffermarsi su di essi perché spesso le civiltà Occidentali, hanno preso spunto dai popoli Orientali, soprattutto nel campo dell’arte. La civiltà di questa terra del Tigri e dell’Eufrate, influì sull’Occidente greco, quando le popolazioni della costa, (permeate della cultura e spesso conquistate dalla potenza assiro-babilonese), vennero in contatto con i Greci di Cipro e dell’Asia Minore. Dalla civiltà Mesopotamica hanno avuto così origine numerose popolazioni.
Nel novembre del 1994 nelle sale dell’Iraq Museum, sono stati esposti due esemplari di fischietti, di cui ancora non esiste alcuna pubblicazione. Si tratta di due fischietti in terracotta, a forma stilizzata d’uccello, uno è privo di colore, l’altro è attraversato da una doppia banda in origine rossa, ma oggi scolorita. La lunghezza complessiva di ogni esemplare, dovrebbe aggirarsi intorno ai 4 cm. Appartengono alle civiltà “cassita”, fiorita nella zona babilonese, intorno al XIV XIII sec. A.C.
Uccello mesop.-Iraq-III/VII sec.D.C
Nelle tombe della provincia di C. P. vicino alle coste del Pacifico, sono stati rinvenuti fischietti con le forme di animali, d’aspetto piuttosto comico, con l’imboccatura in cima a un a zampa o una coda e due fori nella parte centrale. A prima vista sembrerebbero giocattoli, ma in realtà si tratta di oggetti suonanti .
Reperti di fischietti in terracotta nella zona Calatina
Ulna di aquila “Actus “
ARTE POPOLARE IN SICILIA
Dominazioni. Influenze sulle tradizioni e sul costume siciliano
Natività
La storia dell’isola, con le sue dominazioni, le sue vittorie e le sue sconfitte, ha lasciato dentro ogni siciliano, i segni di un passato spesso doloroso, travagliato e qualche volta glorioso.
Basta osservare l’architettura, la scultura, la pittura del nostro paese, per intuire, quanta storia c’è dentro.
Anche gli usi e i costumi del mondo contadino, sono diventati oggetto di studio, perché alcuni antropologi di spiccato valore, come Giuseppe Pitrè ed Antonio Uccello, hanno intuito che si trattava di tradizioni che si stavano perdendo e con esse la loro stessa memoria. Una parte di questo vissuto sociale rischiava di essere cancellata per sempre. Hanno iniziato così una ricerca accurata e scientifica di tutto ciò ha accompagnato la civiltà contadina, dal lavoro nelle campagne, agli usi domestici, attrezzi, mobili, suppellettili, contenitori, ceramiche e quant’altro.
Anche i fischietti di terracotta in quanto produzioni un tempo ritenute povere e che per un periodo hanno rischiato l’estinzione, sono oggi considerati oggetti di Arte popolare e giustamente collocati nei vari Musei Etnoantropoligici.
Il Pitrè diceva che la vera storia di un paese non è solo quella che racconta di guerre, istituti giuridici e vicende, ma è soprattutto quella che ci racconta “delle credenze, delle costumanze”, che possiamo meglio definire con il termine di “Folklore”
Egli, ha scritto come in una sinfonia, le pagine più intime e più segrete della vita popolare siciliana, dove i costumi, gli armamenti, i manufatti, gli utensili domestici, interagiscono con le novelle, gli stornelli, le danze popolari e le stampe sacre. Insomma, il folklore siciliano è il prodotto di generazioni che si sono succedute le une alle altre, ma anche il prodotto di individualità poetiche.
La poesia e la musica popolare, in Sicilia, rappresentano uno dei punti di riferimento più importanti del folklore e meritano per queste di essere riconosciute il cuore pulsante di una cultura antica e ancora viva.
E’ nel nostro dialetto come nelle parole di canti popolari, che ritroviamo parole di derivazione araba (coffa, cafisu, cantaru ). Come dall’accordo di varie note nasce l’armonia musicale, così dalla fusione delle più svariate civiltà è nato in Sicilia, un patrimonio di credenze, feste, miti e canti, fra i più ricchi del mondo.
In questo patrimonio, l’ anima della Sicilia si riconosce, perché esso esprime le sue ansie e le aspirazioni e vi riconosce la propria storia.
Una storia che si accompagna a quella civile sicuramente sua necessaria integrazione e completamento.
“Il folklore siciliano è talmente connaturato con la Sicilia, che noi siciliani spesso non lo vediamo”.
L’alba con la quale si apre la storia della Sicilia, saluta nell’isola, alcune popolazioni laboriose e pacifiche, geograficamente vicine all’Africa. Si tratta dei Sicani, provenienti dall’Africa, cui si aggiunsero i Siculi e poi gli Elimi. Il piccone dell’archeologo ha scoperto in molte stazioni sicule una ricca quantità di ceramiche le cui forme sono ancora oggi ravvisabili nella produzione siciliana e particolarmente nei vasi e negli orci.
Da ciò, è facilmente deducibile quanto i Siculi, siano ancora presenti nella nostra cultura. Ritroviamo legami altrettanto forti con la primigenia civiltà mediterranea, basti osservare la similitudine fra i decori dei bicchieri di corno dei pastori siciliani e i graffiti delle grotte del Sahara. Secondo testimonianze greche, pare che i Siculi avessero una religione e una mitologia che ha lasciato tracce in molte credenze siciliane e che ciascuna superstizione è legata ad un fatto religioso.
Non v’è dubbio che i Greci quando tennero il dominio dell’isola soffocarono, con i loro dei, l’Olimpo dei Siculi, però non riuscirono a sradicare dall’anima delle popolazioni con cui vennero in contatto, i vecchi culti e le vecchie credenze. I Greci innalzarono al cielo i magnifici templi, ove professarono trionfalmente la loro religione. Dentro i templi si ammassarono, allora, gli ex voto e le immagini votive, esattamente come è ancora in uso in Sicilia. Tuttora ad Enna si usa intrecciare le spighe del primo raccolto a guisa di chiodi per farne dono al Cristo abbandonato; a questo rito pare ricollegarsene uno del periodo greco, in cui gli abitanti di Enna per meglio esprimere le operazioni dell’agricoltura, tributavano a Cerere alcune primizie della terra, come l’orzo e il frumento, per raccomandarsi per un successivo e fruttuoso raccolto. Gli ex voto oltre un’offerta in primizie potevano essere una scultura o una pittura, spesso riproducevano parti malate del corpo, modellate in cera o in argento che venivano portate al tempio, affinché su di esse ricadesse la protezione divina: Ma potevano essere una lucerna, la cui fiamma aveva lo scopo di cacciare i demoni oppure un fischietto, il cui suono serviva ad allontanare le influenze negative. E’ sorprendente osservare come ancora oggi, in Sicilia, usi e riti pagani sopravvivono nelle tradizioni popolari e s’intrecciano con i riti cristiani in una strana mescolanza magica.
E’ noto che nel passaggio dalla fanciullezza alla giovinezza, i Greci offrissero alle divinità anche i giocattoli. Con tale offerta il giovane si spogliava magicamente del suo passato fatto di giochi, per diventare uomo.
Giocattoli molto diffusi in Sicilia erano: la Trottola,detta anche firrialoru o strummula; il lapuni, composto da un’assicella di legno di circa 30 cm alla quale era legata una corda che serviva a farlo girare; i Flauti di canna stretti parenti dei fischietti, compagni prediletti dei nostri pastori, che ci riportano in pieno nell’antica Grecia.
In Grecia il flauto era considerato come lo strumento tipico dell’entusiasmo bacchico e dei misteri, celebre per gli effetti terapeutici e magici attribuiti ad esso. Da questo strumento il pastore siciliano sapeva trarre magnifiche melodie e chi lo ha ascoltato una volta difficilmente, dimentica la modulazione che riusciva ad imprimere ai nostalgici suoi canti.
Così dunque, la Grecia, con i suoi riti e con i suoi miti, con le sue pratiche e con le sue usanze, imprime la sua orma nell’anima della Sicilia, la quale ancora oggi si conserva pagana, per quanto molto abbia operato su di essa il Cristianesimo, con la successiva dominazione romana e affermatosi nel periodo normanno-svevo.
Il Cristianesimo, così non riuscendo a soffocare i più notevoli elementi pagani, li farà suoi. E ancora ai nostri giorni, nelle feste, nelle rappresentazioni e nelle cerimonie sacre, nelle credenze e nei riti popolari, si vedono rifiorire le antiche pratiche e le antiche forme in maniera profondamente suggestiva.
IL FISCHIETTO TRADIZIONALE SICILIANO
Definizione del fischietto di terracotta. “Frischittu e Friscalettu”
G. Pitrè[1] dedica ai fischietti un paragrafo in cui dice: - Lu friscalettu è un piffero di canna o d’argilla che usa vendersi nelle feste e in certi giorni della settimana dai feraiuol. iCirca la sua affermazione, nasce l’equivoco riferito al termine “friscaletto” e “frischitto”.
Analizzando la documentazione a disposizione, Biundi, Mortillaro, Traina, Reccella, Perez, Pitrè, Loria, Frondini, Mamia, Uccello, l’impressione che se ne ricava è che, le due espressioni sostanzialmente sono sinomiche, l’una vale l’alta. E’ probabile che ciò, sia conseguenza del fatto che, il fischietto come sostiene Schaffner, rappresenta la forma povera del flauto, quella originaria, quella che nella prospettiva d’analisi propria dell’evoluzionismo, sarebbe stata considerata attestazione di uno stadio evolutivo precedente.
Esempio di fischietto, collezione Casa Museo A. Uccello
Caratteristiche
Si tratta di statuine di terracotta di soggetto vario, più frequentemente antropomorfo e zoomorfo.
L’altezza può variare da un minimo di 3-4 cm ad un massimo di 20-25 cm
Il dispositivo sonoro, costituito da un piccolo zufolo in terracotta, provvisto di un foro per fare uscire l’aria e di un beccuccio per soffiarvi dentro, è in genere applicato sul retro della statuetta, oppure sulla base, sempre sul retro.
In alcuni fischietti, invece, il dispositivo sonoro, non è applicato perché è il corpo stesso del soggetto essendo cavo, può produrre un suono (cassa armonica). In genere, questo tipo di fischietto è un soggetto zoomorfo, il più delle volte raffigura un uccello panciuto.
Per quanto riguarda i colori, le statuine, dopo un preventivo bagno nella calce, vengono colorate a freddo, con tinte vivaci e fondamentali. Alla fine il fischietto di terracotta non è più un semplice “dispositivo sonoro”, ma implica sempre un personaggio, un soggetto animale, un simbolo.
Si è detto che, nei fischietti appartenenti all’arte folklorica, la composizione è rigida, deve osservare delle regole e per questo risulta ripetitiva. Ciò avviene un po’ in tutte le regioni d’Italia, dove ogni produzione ha una tipicità.
In genere, i personaggi sono rappresentati in piedi, quasi sull’attenti, gli arti sono in posizione simmetrica come è simmetrica la stesura del colore.
Ne risulta un’immagine statica e frontale senza alcuna plasticità.
Spesso il fischietto siciliano è piatto sul retro, perché ottenuto dal calco ad una valva, cioè da mezzo calco. L’artigiano nella produzione tradizionale si serve dei calchi che egli stesso produce o che ha ereditato dalla famiglia e da qui ne deriva la ripetitività.
Il retro si presenta bianco perché non viene colorato e rimane a calce.
Tutte queste caratteristiche, alla fine ci danno un oggetto grezzo, umile, essenziale nella forma e nello stile, un oggetto di stile popolare.
I motivi ornamentali, non sono mai raffigurati realisticamente, ma simbolicamente e sempre in maniera limitativa. Nel caso di fischietti a soggetto religioso, la norma compositiva, diventa ancora più rigida, ciò per consentire il riconoscimento dell’immagine sacra stessa.
S. Sebastiano viene rappresentato legato all’albero del martirio, come è dato vedere nella iconografia classica, o in molti quadri dell’arte colta (A. da Messina, Bellini),oppure il Cristo morto che richiama in qualche modo la trasfigurazione di Raffaello ecc.
Osservando alcune forme e soggetti viene da pensare che i fischietti siano gli ultimi discendenti dei giocattoli arcaici insieme alla trottola e alla palla o all’aquilone in Oriente, o alla bambole greche. Le bambole dell’antichità erano più o meno in terracotta e raffiguravano donne abbigliate secondo i costumi dell’epoca. E’ proprio a queste bambole che si possono paragonare alcuni fischietti raffiguranti le “Pupe Siciliane” ( vedi Museo Etnografico di Roma
Le diverse funzioni dei fischietti nel corso della storia
A seconda del periodo storico, al quale appartengono, i fischietti assumono una funzione peculiare:
Funzioni Periodi
Sopravvivenza Preistoria
Magico-propiziatoria Arcaico tribale
Magico-religiosa Cristianesimo
Messaggero d’amore Fine 800 primi 900
Richiamo di caccia Preistoria- 800/900
Ludica Fine 800 primi 900
Satirica Fine 800 primi 900
Al quadro principale vanno aggiunte due voci che appartengono al periodo contemporaneo e che sono frutto dell’evoluzione, si tratta delle funzioni di estetica e di collezionismo.
Funzione di sopravvivenza
L’uomo preistorico, non avendo mezzi di comunicazione, usava il suono del fischietto per segnalare un pericolo. Il numero di fischi emessi serviva per identificare il tipo di pericolo, un animale feroce, un incendio, una calamità naturale, e quant’altro. Con esso, avvertiva quindi il resto della comunità: funzione di avvertimento.
Funzione magico propiziatoria
Durante le cerimonie propiziatorie, il suono serviva di buon auspicio per assicurarsi un raccolto abbondante, per il regolare svolgersi dei cicli stagionali, di fondamentale importanza nella coltivazione della terra, il fischietto serviva quindi a solennizzare i passaggi da una fase all’altra dell’anno.Una di queste feste di inizio ciclo coincide con il Carnevale[2].
L’antropologa Annabelle Rossi parla del Carnevale come dell’occasione per esprimere sentimenti repressi che hanno a che fare con il nostro io, è il momento per travestirsi e lasciarsi andare.
Al Carnevale si ricollega la satira beffarda che con la sua carica aggressiva ma bonaria, vuole colpire personaggi politici e uomini famosi.
Funzione satirica
Riagganciandoci al tema della satira carnevalesca, in qualche modo anche il fischietto qualche volta rappresenta una forma ironica per deridere in maniera irriverente uomini di potere: preti, vescovi, ministri, carabinieri, monache, politici. La fissità dell’immagine e il fischio posto sul fondo della schiena accentuano l’ironicità della figura.
Funzione magico-religiosa
Con l’avvento del Cristianesimo, si è sovrapposta la funzione religiosa, per cui è iniziata la produzione dei Santi col fischio, venduti nelle feste patronali, presso le chiese.
La funzione religiosa di stampe cristiane porta in se il paganesimo dei Greci, le statuette una volta benedette venivano usate come amuleti portafortuna. La funzione religiosa non esclude così quella magica.
Anche in chiesa, nelle cerimonie di Avvento e di Natale, s’adoperava il suono dell’usignolo.
Contrariamente alle disposizioni dei Sinodi della Arcidiocesi di Siracusa, sin dal XVI e XVII sec. una cerimonia simile si svolgeva a Francofonte, durante la messa di mezzanotte, al momento della natività. I fedeli portavano appositamente in chiesa un bicchiere d’acqua, dove immergevano l’estremità inferiore di uno zufolo o il fischietto e soffiando ottenevano un gorgoglio[3].
In Baviera era usuale collocare nelle culle dei bambini, fino al giorno del battesimo, un fischietto a forma di colomba, come protezione dagli spiriti maligni.
In Inghilterra, durante la costruzione dei camini, si inserivano dei fischietti a forma di colomba, così che il fischio allontanasse gli spiriti maligni.
Funzione di dono, messaggero d’amore
Il fidanzato faceva dono di un fischietto alla sua amata, oppure il marito alla propria moglie.
Questo uso pare che sia rimasto ancora vivo in qualche regione d’Italia e in particolare a Rutigliano (Bari), per la festa di S. Antonio Abate il 17 Gennaio in cui viene regalato un fischietto rigorosamente a forma di uccello.
A Canova[4] nell’altipiano d’Asiago, in occasione della festa di S. Marco, il 25 Aprile, il ragazzo regala un cuco (fischietto a forma di uccello) in terracotta a forma di baldanzoso soldato a cavallo di una gallina, se lei ci sta, ricambia il dono con uova sode colorate, alla festa delle Rogazioni, durante il mese di Maggio.
tre cavalieri
Il soldato veneto a cavallo della gallina può anche rappresentare un soggetto satirico secondo Paola Piangerelli[5], e visto che spesso l’uniforme è quella napoleonica, si può supporre che sia vera l’ipotesi secondo la quale, il cuco sia nato come satirica protesta delle popolazioni venete vessate dalle truppe napoleoniche.
Ancora per quanto riguarda la funzione di dono si hanno notizie che nell’antica Roma al ritorno da fiere e sagre come “La festa delle figure e delle bambole”, il 21 e 22 Dicembre, al termine delle Saturnali, venivano portate come regalo d’uso.
In tempi più vicini a noi, durante l’Epifania i fischietti facevano la loro comparsa nelle molteplici bancarelle a Piazza Navona per la gioia dei bambini.
Un cronista scriveva nel 1896, in un suo articolo: - Un soldo per un gobbo con il fischio dietro; cinque soldi per un Pulcinella che parla; mezza lira per una bellissima servetta.
Funzione di richiamo
I cacciatori riproducevano il suono degli uccelli attraverso dei piccoli fischietti muniti di fori supplementari che permettevano la modulazione del suono. Per lo più erano fischietti a forma di uccelli di cui alcuni esemplari si trovano al Museo Etnoantropologico di Roma.
Il fischietto ad acqua riproduce verosimilmente il canto dell’usignolo.
Esempi di fischietti ad acqua
Funzione ludica
Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento i fischietti venivano regalati ai bambini, in primavera, in prossimità della Pasqua, quando i “pasturari” con le loro bancarelle davanti le chiese, in ricorrenza delle festività religiose esponevano le loro statuine colorate.
I bambini poi, costruivano un piccolo carro che sosteneva il Santo con il fischio e a mo’ di processione sfilavano per le vie della città.
Circa i giochi dei bambini, il canonico Benedetto di S. Pietro riferisce che per Capodanno i fanciulli suonando il cembalo e i fischietti a forma di maschera, giravano per le case, augurando il Buon anno e il padrone di casa in segno di ringraziamento regalava loro qualcosa.
Gli usi tradizionali stanno scomparendo: il fischietto (come molti altri manufatti dell’ambito folklorico) sta perdendo le funzioni che gli erano proprie, esaurendo quindi la sua appartenenza al folklore vivo per divenire oggetto di studio per antropologi e per collezionisti e oggetto di curiosità per i turisti e per i seguaci di mode
Funzione estetica
La Funzione “estetica” che fino agli anni 50 non era la caratteristica predominante, ai tempi nostri assume sempre maggiore valenza.
Si vanno ulteriormente coprendo di smalto, le forme diventano sempre più accurate, spesso scompare il dispositivo sonoro che viene camuffato. Il fischietto da oggetto giocattolo sta diventando oggetto da collezione.
Per quanto riguarda la funzione estetica Mukazovsky (1973) sostiene che il suo valore estetico è variabile in quanto ad ogni spostamento nel tempo, nello spazio o nell’ambiente sociale muta la tradizione artistica, per cui il valore estetico per sua intrinseca natura è dinamico e non statico e varia in relazione all’uomo e all’uomo come creatura sociale” ( Sibilus 2).
[2] Sibilus 1
[3] G. Pitrè – La festa del Natale in Sicilia – PA 1893
[4] R. Zarpellon , I fischietti cuchi e curari delle Nove 1980. C. Saporetti “ Ceramiche popolari a fiato nella tradizione artigianale “ 8 Maggio 1994
[5] Paola Piangerelli Sibilus 1
Iconografia e Simbologia del fischietto tradizionale
Il fischietto a seconda se rappresenta un Santo, un uccello, un’autorità, avrà funzione religiosa, di richiamo, o caricaturale, per cui si può dire che la sua funzione è strettamente collegata al soggetto che rappresenta.
Attribuirgli una funzione vuol dire associare ad ogni soggetto un simbolo.
Le categorie figurative sono fondamentalmente tre:
1. Forme zoomorfe (gallo, uccello…)
2. Forme iconiche (santi, Madonne, Redentori…)
3. Forme antropomorfe (l’uomo cavaliere, cacciatore)
Forme zoomorfe
L’imitazione delle forme animali, non è stato affatto una regressione, ma un recupero di facoltà ulteriori che gli uomini primitivi riconoscevano ad essi. Capacità che non potevano avere gli uomini. Mentre gli animali sono rimasti natura istintiva gli uomini hanno dovuto fare i conti con il dualismo di spirito e materia.
L’uomo impotente contro i fenomeni che non riusciva a dominare, si immaginava che fossero esseri soprannaturali e cominciò a visualizzarli con le immagini delle creature che lo circondavano.
Forma zoomorfe, dai significati indecifrabili sono state reperite in tutte le parti del mondo, spesso elevati a simboli totemici.
Il valore simbolico del gallo simbolo di virilità ed energia, del cavallo simbolo della vita e della morte, del cane simbolo della morte, della fecondità e della potenza, del piccione simbolo dell’amore, del toro simbolo della forza e della virilità feconda , della capra simbolo della fecondità e della lussuria , potrebbero confermare l’ipotesi espressa secondo la quale in origine il fischietto fosse un “giocattolo” con poteri magici totemici, che simboleggiava la fertilità, il rinnovamento della vita, l’alternarsi delle stagioni, Si suppone che questo valore di “energia”, di “fecondità”, di “rinnovamento della vita e della natura”, si associasse un valore esorcistico altrettanto significativo di energia positiva che allontana le forze negative. Alcuni artigiani hanno posto il galletto fischiante sulle campanelle, associando un valore esorcistico doppio, quello del gallo e quello delle campanella purificatrice e sentinella contro le cattive influenze. A Roma, la notte di S.Giovanni, fra il 23 e il 24 Giugno, venivano regalate ai bambini delle campanelle di terracotta, che insieme all’aglio, alla spighetta, al rosmarino e ad altre erbe aromatiche servivano ad allontanare le streghe. Fischietti e campanelle pare che siano ancora venduti in grande abbondanza a Lecce, la prima Domenica dopo Pasqua, per la festa della “Madonna della campana” .
Il Gallo
In Italia e in Sicilia una delle riproduzioni più frequenti è quella del gallo. Anticamente le fornaci venivano alimentate esclusivamente dagli uomini e a motivo di ciò
preferivano infornare “i galletti” simbolo di virilità, ma anche di fertilità e rinascita dell’anima. Il gallo spesso veniva infisso sulle tombe, per conferire al defunto, capacità di pensare anche da morto. “Gli pose la sapienza nel petto dell’uomo e diede al gallo il discernimento” (Giobbe XXXVIII).
Veniva anche individuato come impeccabile orologio per cui la notte fu divisa in parti che avevano per divisore e denominatore il suo canto, “il gallicium”. Infine, col suo canto al mattino annuncia il sorgere di un nuovo giorno, simbolo di energia solare e per questo efficace contro le cattive influenze della notte (spesso era raffigurato sulla porta delle case, oppure sulla cima di banderuole segnavento collocate sul tetto). Nell’antichità poi, il gallo era sacro ad Esculapio, dio della medicina e come tale era considerato efficace contro le malattie.
Cavallo
La figura del cavallo per molti popoli rappresentava le tenebre del mondo sotterraneo dal quale esso risorge. Figlio della notte e del mistero, è portatore di morte e di vita, legato al fuoco distruttore e trionfatore, e all’acqua, nutrice e asfissiante, il suo significato è associato all’immagine della terra e al suo periodico rinnovarsi.
Cane
La figura del cane è associata al simbolo della morte, degli inferi, quindi alla tipologia degli elementi terra acqua luna, da cui trae il suo significato occulto a volte vegetativo, sessuale, divinatorio.
La prima funzione mistica del cane, universalmente provata, è quella di guida dell’uomo nella notte e nella morte, dopo essere stato il suo compagno nella vita (Cerbero). Tale significato era comune a molti popoli.
“Psycopompo” come Ermete, il cane con virtù medicinali figura nella mitologia greca fra gli attributi d’Asclepio, l’Esculapio dei latini, eroe e dio delle medicine.
Infine come antenato mitico, il simbolo del cane ha anche un significato sessuale, simbolo di potenza, di fecondità, di perenne seduttore incontinente, traboccante di vitalità come la natura.
Collezione Casa Museo A. Uccello
Gli uccelli
Da sempre sono “simbolo di immortalità”. Lo scrittore Michelet fa riferimento ad alcune immagini dell’antico Egitto ove le spoglie mortali del defunto trasportate nella barca della salvezza, varcano l’aldilà in compagnia del sacro uccello. In quasi tutte le religioni, gli uccelli hanno rivestito qualcosa di sacrale. Nei templi greci erano ospiti inviolabili, rispettati nel sacro recinto di David, come nelle pagode indiane e nelle moschee islamiche.
Ne veniva ascoltato il canto ed osservato il volo dagli aruspici. Grandi sinfonici tentarono di riprodurre il canto ma gli esiti non furono mai all’altezza della realtà. Gli indiani d’occidente pensavano che l’anima potesse includersi in essi, se aveva ben meritato.
L’uccello è ritenuto da sempre il simbolo di elevazione e di spiritualità ed ha suscitato sentimenti di amore, in quanto annunciatore di una nuova primavera che subentra all’inverno grigio e freddo.
Tipologie diverse di fischietti
Soggetto religioso
Soggetto religioso
Soggetto animale
Soggetto antropomorfo
Forme iconiche nella tradizione del popolo Siciliano
Il culto dei Santi.
In Sicilia il culto dei Santi inizia ufficialmente nel periodo della dominazione normanna, quando il Papa Urbano VIII nel 1630 , decretò regolamenti per stabilire l’elezione dei Santi protettori. Le feste patronali in Sicilia come in molte altre regioni meridionali sono testimonianza di quanto il popolo sia devoto al Santo protettore.
“Ma quando il Santo patrono si fosse mostrato avido di miracoli, o il popolo non fosse rimasto soddisfatto allora le diverse congregazioni si riunivano in piazza e a suon di tamburo detronizzavano il Santo, per darne il posto ad un altro” .
Il culmine della piena adorazione del Santo Patrono era nel giorno a lui dedicato. Il paese si trasformava, le vie principali venivano addobbate con luci dai mille colori. La sera tutto era pronto per la solenne processione, anziani e giovani portavano il Santo in spalla, oppure lo trainavano su un carro, facendolo passare per le vie del paese. Durante le tappe, i fedeli s’accalcavano offrendo doni in segno di gratitudine o di grazia ricevuta. Intanto i musicanti continuavano a suonare insieme al frastuono dei mortaretti, le urla di portatori e accompagnavano il Santo passo dopo passo, sino a tarda notte.
Le bancarelle che facevano da cornice alle vie principali, vendevano ogni cosa: dolciumi tradizionali, frutta secca, giocattoli e statuine del Santo Patrono fischiante o muto.
I Santi patroni col fischio
In Sicilia erano molto in uso i fischietti che riproducevano immagini di Santi protettori e si vendevano in occasione delle feste patronali. Pitrè scrive a tal proposito: “Fischiano: in Caltagirone la Immacolata, S. Giacomo, S. Francesco di Paola; S. Michele Arcangelo in Caltanissetta , Agostino Novelli in Termini; la Madonna di Mezz’Agosto in Trapani; S. Giovanni Battista a Marsala; S. Vito a Mazara; S. Calogero a Girgenti, Naro, Sciacca, Aragona; S. Lucia a Siracusa; S. Corrado a Noto; S. Giorgio a S. Pietro nell’alta e bassa Modica e sono fatti di creta”.
Tale mediterranea vocazione di produrre fischietti sacri è lontana nel tempo, pare risalga al 1223 d. C.quando un giudice arabo Ibn Ruscd, con un singolare decreto della Spagna musulmana, ne vietò l’uso e la produzione, in quanto giocattoli “cristiani”.
L’apposizione del fischio non si ferma, quindi, nemmeno davanti alle immagini sacre, anzi diviene un ulteriore rafforzamento, raggiunto nella fusione con le antiche “fedi”, confermato dal gran numero di dedicatari. Sovrapposizioni che s’armonizzano nella semplice ingenuità e bonarietà con la pia devozione.
In molte regioni italiane si ritrovano, per necessità magica, magari utilizzati per “segnatura” sulle parti malate, messi anche nelle culle.
Ancora ai nostri giorni si usa mettere fra le lenzuola di bimbi le figure di santini a protezione dai mali e dalla fattura.
L’Immacolata, Sant’Anna, San Vito e tanti altri, figurano in innumerevoli riproduzioni perché come ricompensa del loro martirio, possono agire sulle pene degli uomini. Nel Cristo Morto, nella Pietà della vivace produzione di Caltagirone, è presente questo senso tutto popolare, della compassione, del cordoglio, inteso come commiserazione per chi, oltre ad aver tanto sofferto, si sacrifica per il riscatto di tutta l’umanità. E’ per questo motivo che la Chiesa chiude un occhio ed a volte anche due, dove e quando questa religiosità dal retaggio antico, s’adatta alla devozione per i Santi canonici.
A proposito di fischietti e religiosità popolare nel Maggio 1989, l’Azienda Autonoma del Turismo di Caltagirone in collaborazione con il Centro Studi Giacomo Judici, ha organizzato una mostra a tema. La mostra mirava al recupero dei momenti più significativi delle feste paesane, quando per la ricorrenza di Santi Patroni, unici appuntamenti per le comunità rurali, assieme ai vestiti nuovi, ai palloni di carta velina, alle corse di cavalli, ai dolci d’occasione, ai fuochi d’artificio e alle bande musicali, un coro spontaneo di bambini in festa, spensieratamente, accompagnava i riti sacri e profani al suono di piccole terracotte colorate di fattura calatina. Santini sonanti diventati anche simulacri di improvvisati e modesti carri che fan circolare in processione lungo le vie del quartiere ad imitazione delle feste cittadine organizzate dai grandi.
L’allestimento mette insieme la produzione quasi esclusiva sul tema della bottega di Mario Judici, presente con oltre 50 soggetti, con quella di Salvatore Leone, ambedue “pasturari” fortemente legati all’antica tradizione, ai quali si attengono rigidamente facendo uso di Stampi Storici.
Nel giorno della festività, il Santo, o la Vergine, o il Cristo Risorto, secondo una credenza popolare, sono più propensi ad accogliere le preghiere dei fedeli, i quali ne approfittano per chiedere le loro grazie. Ma oltre agli annuali appuntamenti cittadini l’artigiano Calatino rivolgeva le sue attenzioni alle feste religiose dei paesi limitrofi riproducendo “frischitti” con i relativi Santi patroni: S. Michele Arcangelo per Granmichele e S. Michele Ganzaria, S.Filippo Apostolo per Aidone, Maria SS della Stella per Militello in Val di Catania, S. Sebastiano e S. Vito per Vizzini, la Madonna delle Grazie per Mirabella Imbeccai, la Madonna del Mazzero per Mazzaino.
L’artigiano identificava i santini sonori con il modello d’origine non attraverso una diversificazione plastica, in quanto si assomigliavano un po’ tutti fra loro, ma attraverso la postura e la simbolicità del colore. Ad es: una verdissima spada non sguainata ma appoggiata a terra è il segno di riconoscimento dell’Arcangelo S. Michele; le braccia alzate al cielo e il rosso o l’arancio del drappo sono gli inconfondibili segni del Cristo Risorto nei fischietti di Mario Judici. Un vassoio con due globi oculari e l’azzurro peplo romano e la lira identificano nella produzione di Enzo Forgia, rispettivamente S. Lucia e S. Cecilia, protettrici una della vista e l’altra dei musicisti.
Anche in Calabria durante le feste popolari, l’artigiano assieme alle sue terraglie e ai comuni fischietti, esponeva e metteva in vendita figure tratte dai momenti dolorosi o da quelli gioiosi della Pasqua cristiana: la Vergine addolorata, il Cristo morto (Cataletto), il Cristo risorto, S. Francesco di Paola, S. Giacomo, S. Giuseppe, S. Lucia, la beata Lucia di Caltagirone, Maria SS di Conadomini.
La produzione artigianale dei fischietti, forse ancora prima della stampa, ha avuto il pregio di far conoscere ai nostri progenitori i loro Santi protettori seppure in una forma espressiva altamente popolare, unendo all’aspetto ludico la spiritualità espressa dalla religiosità dei nostri artigiani, per la maggior gloria dei Santi.
Collezione Casa Museo A. Uccello
Forme antropomorfe
Le forme antropomorfe come dice la stessa parola vogliono rappresentare personaggi umani nei vari aspetti della vita, dal lavoro, al potere fino ad arrivare alle caricature. Ed è proprio questo ultimo campo quello maggiormente utilizzato per le forme antropomorfe.
La professoressa Edda Bresciani egittologa ed appassionata collezionista di “cocci” ha ripreso una stampa pubblicata nel Gennaio 1874 sull’Illustrazione Universale che mostra la festa dell’Epifania in Piazza Navona: “fra i suonatori di trombe e tamburi si vedono due uomini baffuti che soffiano a tutta gota dentro i fischietti “satirici” alti almeno quaranta centimetri uno è il busto di un cardinale, l’altro il busto del Papa col triregno sul capo. Un divertimento che riusciva a coinvolgere anche il turista inglese che determinato soffiava anche lui dietro a una grottesca figura di terracotta”.
Sono carabinieri a cavallo, o in alta uniforme, militari, poliziotti, signorotti o gabelloti di paese, donne vestite a festa dalle prorompenti rotondità, panciuti prelati, medici e avvocati dallo sguardo maligno. Sono in sintesi i rappresentanti istituzionali del potere contro i quali il popolo, l’eterno sottomesso, reagisce con la beffa, affidando la sua rivincita ad un pezzo di argilla vistosamente colorato, coltivando, il giorno di festa, l’illusione di sentirsi per una volta su un gradino più alto, abbassando il padrone con lo scherzo e ridicolizzandolo con la caricatura.
Quest’appropriazione del fischietto figurato da parte degli adulti ,con finalità ironiche, che comunemente si fa risalire a dopo l’ottocentesca Unità d’Italia, traeva il suo epilogo storico nel 1° dopoguerra con l’avvento del fascismo che, non ne consentì lo sviluppo consapevole degli incontrollabili rischi cui andava incontro il regime.
Sebastiano Burgaretta racconta, quando con i genitori, ancora piccolo, si recava a Noto alla fiera di “Pasqua dei fiori”, per la Pentecoste. Le tante bancarelle esponevano fischietti colorati di tutti i tipi: lui ne ricevette in regalo uno che a distanza di tanti anni è ritornato alla mente, scatenando in lui la febbre del collezionismo.
Da quel momento non ha smesso di cercarli e studiarli, scrivendo spesso anche le biografie dei loro artefici, come nel caso del grande Mario Judici. Anche il Siracusano Elio Vittorini, nel suo romanzo giovanile “Il garofano rosso” parla di un suo ricordo d’infanzia, legato ad un fischietto con le sembianze della Madonna delle Milizie di Scicli. Era una Madonna con i capelli marroni e una corona in testa su un cavallo impennato pestava i saraceni. Dice di non averne più viste di simili. In effetti non è usuale la riproduzione della Madonna a cavallo perché probabilmente legata alla tradizione religiosa del posto.
Fischietti e Pasturari
Il fischietto siciliano in terracotta come già visto in precedenza è uno strumento popolare a fiato, appartenente alla categoria degli aerofoni. Presenta un solo foro d’uscita dell’aria e per questo è detto monotonale. Si presenta rozzo e variopinto è il frutto della creatività del "Pasturaru" che ama raffigurare galli e uccelli, carabinieri a cavallo, gendarmi, prelati, autorità, pupe ben vestite, ceste ricolme di fiori e famosi Santi patroni.
I soggetti sono ricavati da antichi calchi in gesso spesso appartenuti ai nonni o addirittura ai bisnonni.
La sera al ritorno dalla bottega, o da altro umile e pesante lavoro si cercava di integrare il salario o la paga, creando le figure sonanti con l’aiuto anche dei figli che inconsciamente diventavano eredi di un’arte popolare che si avviava ormai al declino. Al lume di candela, pressavano ritagli di argilla, non più utilizzabile per altri lavori, all’interno dei calchi cosparsi di polvere di gesso. Spesso per ottenere una figura occorreva più di un calco, quello delle braccia, per le gambe. Poiché veniva utilizzato un mezzo calco, la figura sul retro risultava piatto.
La forma così ottenuta, si lasciava asciugare, e poi si faceva cuocere nei forni alimentati a legna. Dopo un bagno di calce, era pronta per essere decorata.
Il decoro avveniva a freddo, con colori ad acqua, terre e anche tempere.
La gamma dei colori è limitata e si basa principalmente sui colori fondamentali: rosso, giallo, blu, verde, nero e marrone nel caso di alcuni particolari.
L’altezza media si aggira intorno ai 20 cm, tranne qualche eccezione, come il carabiniere a cavallo. La base delle statuine generalmente è ovale e nel caso dei Santi vuole assomigliare ad un piedistallo. Per le figure a cavallo, di solito, la base è rettangolare e bianca. Il dispositivo sonoro è costituito da un piccolo fischietto applicato sul retro della statuetta in genere all’altezza della vita, nel caso degli animali si trova in corrispondenza della coda. Gli occhi in tutti i personaggi sono ottenuti con dei punti neri e la bocca con un tratto rosso. Sul capo delle figure dei Santi, del Redentore e della Vergine è posta un’aureola gialla per ricordare la lucentezza dell’oro.
Si è visto che la produzione dei "Pasturari Siciliani" era considerata, attività di poco conto, marginale e non ritenuta nemmeno forma artigianale o appendice della tecnica ceramica stessa, tutt’altro, come dimostrano alcuni scritti del Loriasi trattava espressioni popolari rozze. L’etnografo Lamberto Loria, nei primi anni del 900 si recò a Caltagirone, dove rimase un mese circa per acquistare materiale destinato al Museo Etnografia Italiana di Firenze e poi conservato al Museo Nazionale delle Arti e (..) Popolare di Roma. Il Loria condizionato dall’arte d’elite, indirizzata alle classi sociali borghesi e benestanti, monopolio dei ceramisti raffinati come Bongiovanni, Vaccaro, Vella, si lasciò andare a considerazioni inopportune, definendo il pasturare Antonino Papale "Fabbricante di terrecotte ordinarie …Imita perché da sé non riesce a far nulla di buono". Unn’affermazione simile da parte di uno studioso di etnografia, quindi di costumi e tradizioni popolari è molto azzardata e non da il giusto rilievo ad artigiani che hanno contribuito a mantenere vivo il folklore siciliano.
Tuttavia grazie a due grandi studiosi del calibro di Giuseppe C e A. Uccello, gli umili artigiani riacquistano la loro dignità, insieme alle loro creazioni ormai divenute "prodotti culturali" e quindi sganciati da parziali giudizi estetici di tipo idealistico - borghese. Alla scuola di C aderirono Giuseppe Bonomo e Antonino Buttitta che fecero emergere dalle tenebre il lavoro di artigiani umili e sconosciuti, è il caso Giacomo Judici;
Nicolò Sampiriri; Mario Judici, Salvatore Leone; Nino Abela; Nicolò Vitale; Totò Graziai e Giacomo Rende. Molti di loro oggi non sono più tra noi, solo Mario Judici figlio di Giacomo continua a lavorare nella sua bottega – casa.
Pasturari di Sicilia
In Sicilia, la patria dei fischietti è da sempre Caltagirone i cui artigiani hanno fornito le bancarelle dell’intera isola; solo in pochi paesini è possibile reperire fischietti di terracotta.
Ad Agrigento vive Fedele Nicoletti che riproduce la figura di San Calogero è un fischietto di 14 cm circa, eseguito con tratti primitivi, in due tipi: un esemplare grezzo e uno arricchito di un’aureola, verniciato di marrone. Il Nicoletti li vende a Maggio durante la festa del Santo Patrono di Agrigento. Un altro soggetto tipico è il ragazzo con un cesto di frutta, di circa 16 cm. Sembra una figura settecentesca trasformata in fischietto.
A Sciacca (Ag) lavorano i ceramisti Giuseppe e Vincenzo Arena. Il primo realizza fischietti a soggetto animale di piccole dimensioni in terracotta grezza. Si tratta di pesci, maialini, ricci, ochette, porcospini, galletti tutti stilizzati, spesso privi degli arti, secondo uno stile personale che si stacca dalla tradizione, al punto che a volte è difficile identificare la specie animale. Vincenzo Arena è nato a Sciacca nel 1952 e opera nella città natale, dove ha aperto la bottega fra il 1981/82. E’ un autodidatta. I soggetti che realizza sono tratti dal regno animale e da quello vegetale: uccelli, usignoli ad acqua, il frutto del fico; in tutto si tratta di circa 25 esemplari, di taglio popolare, un po’ modernizzati, rifiniti finemente e colorati a tempera.
Un altro ceramista è Giovanni Fisco che vive anch’egli a Sciacca, dove è nato nel 1942. Non ha una tradizione familiare alle spalle avendo praticato altri mestieri, prima di dedicarsi all’arte ceramica, i cui rudimenti ha appreso da un fratello, insegnante di educazione artistica. Questa sua formazione da autodidatta lo ha portato ad allontanarsi dalla tradizione locale che vedeva gli antichi artigiani realizzare galletti e statue di San Calogero, per sperimentare la via della stilizzazione e della fantasia, non solo nella forma di soggetti ma anche nei processi di lavorazione specialmente per ciò che riguarda la fase della colorazione.
Ha cominciato con statuine stilizzate, riproducenti soggetti di natura politica e sociale. Dopo aver studiato l’arte precolombiana è approdato alla realizzazione di soggetti animali di impianto fantastico, spesso ibridi: uccelli, oche, tartarughe, galli, conchiglie di varie dimensioni, fino ad un coccodrillo di cm 53. Alcuni di questi fischietti sono politonali. Tutti quanti vengono dipinti a tempera con rigorosa precisione, seguendo le linee del disegno inciso nella terracotta e poi verniciati.
Un altro ceramista che opera a Sciacca è Giuseppe Patti che ama creare animaletti dall’aspetto non ben definito, mostruosi, grezzi e non colorati.
A Collesano nei pressi di Palermo vive Salvatore Iachetta, figlio di Litterio, che alla morte del padre ha ereditato la bottega. Quando nel 1985 è andato in pensione si è dedicato pienamente all’arte ceramica. E’ l’unico artigiano rimasto a Collesano a riprodurre modelli, secondo le tecniche tradizionali della città madonita.
Gli esemplari di fischietti sono eseguiti a mano libera e solo su commissione. Sono in terracotta grezza e raffigurano uccelli, che somigliano molto a galline; pesci e strani quadrupedi con fantastiche creste e privi talvolta di zampe posteriori: sono monotonali ed
evidenziano il personalissimo stile da autodidatta, il quale tenta di riprodurre i fischietti secondo come li ricorda nella sua memoria. Si vendevano a Collesano in occasione della festa della Madonna dei Miracoli, il 26 Maggio, e di San Vincenzo l’ultima domenica di Luglio.
Negli ultimi anni alcuni artigiani di Santo Stefano di Camastra hanno ripreso la realizzazione dei fischietti di terracotta. E’ il caso dei fratelli Fratantonio, particolarmente di Edoardo e dei fratelli Patti, particolarmente di Giovanni.
Edoardo Fratantonio esegue due tipi di fischietti uno è costituito da figure di uccelli accovacciati, monotonali, variopinti dal bianco al verde, al blu, al giallo, all’arancione, al rosso, al nero; l’altro è costituito da uccelli rozzamente abbozzati e lasciati grezzi, in qualche caso in versione bitonale. Realizza anche un fischietto a forma di vaso grezzo con un lungo pipio, un esemplare a figura umana con braccia conserte e occhi sgranati, sempre grezzo, ed infine una specie di ocarina politonale, anch’essa grezza con foro perché sene possa fare un pendaglio.
Giovanni Patti, anch’egli di Santo Stefano di Camastra, realizza a mano figure di uccelli grezzi, monotonali, poggianti su due zampe di fil di ferro attaccati ad una base in terracotta e anforette dalla grande bocca e con due manici larerali, anch’esse grezze di quelle che fischiano ad acqua modulando il suono.
A San Fratello, in provincia di Messina, risiede un artigiano il signor Rosario di Leo. Appartiene alla sola di ceramisti di Castania, l’attuale Castel Umberto. Fino a qualche anno fa realizzava un S. Calogero, ripreso dall’iconografia tradizionale. Accanto a S. Calogero c’era un cacciatore inginocchiato e una cerva.
E’ un fischietto col fischio posto ai piedi del cacciatore, colorato secondo i colori tradizionali. In giro ne sono rimasti ben pochi e l’autore non vuole riprenderne la produzione.
I ceramisti e i loro prodotti fin qui documentati dimostrano come il fischietto fosse largamente usato in tuta la Sicilia, e occorrerebbe approfondire l’argomento con una meticolosa catalogazione e ricerche capillari che ne permettano l’individuazione. In Sicilia, la patria dei fischietti è da sempre Caltagirone i cui artigiani hanno fornito le bancarelle dell’intera isola: Solo in pochi paesini è possibile reperire fischietti in terracotta.
Ad Agrigento vive il Fedele Nicoletti che riproduce la figura di San Calogero. E un fischietto di 14 cm circa, eseguito con tratti primitivi, in due tipi: un esemplare grezzo e uno arricchito di un’aureola, verniciato di marrone. Il Nicoletti li vende a Maggio durante la festa del Santo Patrono di Agrigento. Un altro soggetto tipico è il ragazzo con un cesto di frutta di circa 16 cm. Sembra una figura settecentesca trasformata in fischietto.
A Sciacca (Ag) lavorano i ceramisti Giuseppe e Vincenzo Arena. Il primo realizza fischietti a soggetto animale di piccole dimensioni in terracotta grezza. Si tratta di pesci, maialini, ricci, ochette, porcospini, galletti tutti stilizzati, spesso privi degli arti, secondo uno stile personale che si stacca dalla tradizione, al punto che a volte è difficile identificare la specie animale. Vincenzo Arena è nato a Sciacca nel 1952 e opera nella città natale, dove ha aperto la bottega fra il 1981/82. E’ un autodidatta. I soggetti che realizza sono tratti dal regno animale e da quello vegetale: uccelli, usignoli ad acqua, il frutto del fico; in tutto si tratta di circa 25 esemplari, d itaglio popolare e un po’ modernizzato rifiniti finemente e colorati a tempera.
CALTAGIRONE
Evoluzione delle Ceramiche Calatine
A Caltagirone spetta un posto di rilievo non solo in Sicilia, ma anche in Italia per la sua produzione ceramica inconfondibile nello stile e nei colori.
I decori ispano – arabi continuano ancora oggi ad abbellire gli splendidi manufatti, in cui l’artista lavora spesso a mano libera, di fatti, senza alcun disegno preparatorio. Il decoro risulta plastico, caldo, istintivo, lasciando esprimere liberamente l’artista.
Caltagirone nelle sue strade, nelle sue chiese, nella sua collina argillosa parla della sua storia ceramica che dura da millenni. Ci sono reperti archeologici risalenti al VII sec. a. C., si tratta di grandi recipienti e piccoli vasi, plasmati con un impasto grigio – nerastro e decorato con incisioni realizzate con bordi conchiglie, che vi disegnano schemi geometrici ed eleganti stilizzate figure umane o animali.
Altre ceramiche sono state rinvenute nei villaggi neolitici di Scala, Pille e S. Ippolito. Su questa tradizione si innestò l’influenza che i Greci ebbero sui Siculi con i quali commerciavano.
Furono i Cretesi ad es. che intorno all’anno 1000 A. C. introdussero in Sicilia l’uso del tornio, che rivoluzionò l’attività degli artigiani siculi. Tra le produzioni più significative di questo periodo troviamo il "Cratere a figure rosse" conservato presso il Museo della Ceramica di Caltagirone, che raffigura la scena di un vasaio che lavora assistito dalla dea Athena, alla tornitura di un pithos, ulteriore testimonianza di come a Caltagirone tale attività in quel periodo fosse diffusa e considerata prestigiosa.
Anche sotto la dominazione romana e bizantina le fornaci calatine continuarono a produrre manufatti che, per la loro qualità, rendevano evidente la crisi del sistema economico – sociale che attraversò la Sicilia e Caltagirone in quel periodo.
Con i Romani l’attività ceramica calatina subisce un forte tracollo, si limita alla produzione di laterizi e utensilerie grossolane. Ancora più marcata è la decadenza nel periodo bizantino.
Gli "stazzunari", come venivano chiamati gli artigiani per il lavoro svolto, non più nelle loro eleganti botteghe, ma nelle "stationes", posti di tappa delle truppe romane, producono ormai vasellame grossolano, privo di smalti e colori.
Furono gli Arabi, che conquistarono la Sicilia nell’827 ad innestarsi nella produzione locale, trasferendovi tecniche, forme e decori che rilanciarono l’artigianato ceramico e lo riportarono agli antichi splendori.
Essi, che avevano appreso in Oriente l’invetriatura la insegnarono agli artigiani calatini prima che si diffondesse nel resto dell’Italia. Anche le sagome e i decori furono legati alla dominazione musulmana e all’influenza che tale popolo esercitò in Sicilia anche oltre la riconquista cristiana dell’isola che sotto gli arabi torna ad essere il centro del Mediterraneo, luogo di scambi economici, punto di riferimento politico e culturale per l’intera Europa.
Le forme dei vasi si richiamano alla tradizione egizia e persiana e sono decorati su un ingobbio che va dal giallo paglierino al verdognolo con motivi geometrici o vegetali, graffiti o dipinti in verde o in manganese. I bacini hanno larghe tese decorate con trecce, archetti incrociati, motivi lineari, puntati internamente di verde ramina, giallo – arancio e talvolta blu slavato. I loro fondi sono decorati con rappresentazioni del mondo animale e vegetale, colombe, pesci, boccioli, rosoni, foglie ed il caratteristico motivo a cuori
concatenati, stilizzazione della palma, riscontrabile nel soffitto ligneo della Cappelle Palatina, il più alto esempio di arte siculo – musulmana – normanna.
Tale produzione prosegue nel trecento, con la venuta in Sicilia degli Aragonesi.
E’ un periodo di particolare floridezza per la città di Caltagirone. I privilegi concessi dalle dinastie regnanti, la fiorente attività degli apicoltori che furono fra i committenti più forti del vasellame prodotto in loco, la presenza di una colta e lungimirante classe aristocratica, ne fecero un centro opulento e culturalmente vivace. I maiolicai calatini videro, inoltre ampliare la loro capacità di penetrazione nei mercati, per il privilegio concessogli nel 1432 da Alfonzo d’Aragona, di poter vendere le loro maioliche in tutte le città demaniali del Regno con l’esenzione del pagamento dei dazi doganali.
L’artigianato di Caltagirone, che godeva già della possibilità di trarre da vaste cave d’argilla la materia prima del lavoro e dal vicino bosco di S. Pietro tanta legna per le loro fornaci, poté così riaffermarsi come il più importante e qualificato produttore isolano di maioliche. Esse per tutto il periodo del XVI e del XV sec. sono riccamente decorate in manganese, in alcuni casi con (..) e campiture in verde ramina.
La decorazione amplia la campitura a tutta o parte della superficie decorata. Lo smalto acquista maggiore corposità e vetrosità e ricopre, a differenza di quanto accadeva nella ceramica tardo – sveva, anche le superfici esterne del vasellame il cui supporto in terracotta, è però, più spesso e tornito con minore cura.
I decori sembrano richiamarsi alla festosa arte del tessuto e del ricamo siciliano, ma anche alla tradizione musulmana e catalana.
Gli artigiani calatini si dividevano per categoria, i cannatari producevano materiale stagnato, i quartarari producevano le quartare, gli stannuzzari producevano laterizi.
Ciascuna categoria aveva una propria confraternita e si concentrava in singoli rioni, di cui il più importante fu la "cannataria", posto fra la chiesa di S. Giuliano e la Giudecca, il popolare quartiere degli Ebrei, che certo furono gli artigiani più abili tra quelli che operavano a Caltagirone in quel periodo. Tra essi, il più antico ceramista della città di cui si è avuta conoscenza e che denuncia, come molti altri, con il proprio cognome Judica, l’evidente origine ebraica.
Una delle produzioni che affermò Caltagirone quale centro più importante della produzione ceramica in Sicilia fu, accanto a quello dei rivestimenti architettonici per i prospetti delle chiese e le cuspidi dei campanili, quella delle pavimentazioni, la cui evoluzione stilistica segue di pari passo quelle del vasellame e in più, in alcuni casi, si avvale delle progettualità degli architetti chiamati a costruire gli aristocratici palazzi e le monumentali chiese della città.
Tra questi certamente i Gagini, Antonuzzo, Antonio, Giandomenico e Francesco, che operarono a Caltagirone a cavallo tra il XVI e il XVII sec. e Natale Bonajuto, che nel XVIII sec. per primo cominciò a utilizzare la maiolica quale elemento di decoro nei prospetti di pubblici edifici.
Tra il XVI e il XVII sec. si riscontra anche nel vasellame una certa continuità nel decoro che si richiama alla produzione di Montelupo, sia pure interpretata dal gusto locale e dalle influenze catalane e musulmane.
Tale influenza è segnata dall’uso della palmetta persiana, decorata nella monocromia turchina, che qualche artigiano calatino ha imparato a Montelupo e poi ha riportato con se in Sicilia.
L’uso della palmetta persiana si evolverà intorno alla prima metà del 600 nel disegno,
tutto giocato nelle diverse tonalità del blu e del turchese, di un’ornamentazione floreale ricca e regolare. Ma a causa del devastante terremoto del 1693 che colpi la Sicilia Orientale, le botteghe furono rase al suolo così come le città con il conseguente tracollo dell’attività ceramica.
La poca produzione divenne scadente con decori a fogliame e colori slavati.
Ma gli artigiani si rimboccarono le maniche e diedero un nuovo impulso con l’uso di colori vivaci, decori fantasiosi ed estrosi.
Il 700 è infatti uno dei periodi di maggiore sviluppo della ceramica di Caltagirone vengono prodotti candelieri, vasi antropomorfi, lucerne, altari, balconate, rivestimenti per prospetti, acquasantiere, edicole sacre, bottiglie, versatoi, formelle per i dolci, cucche ed altro ancora.
Ma ciò che segna i caratteri distintivi della maiolica settecentesca di Caltagirone è la "decorazione plastica" applicata a gran parte della produzione di questo periodo, che sposata alla ricca policromia, segna l’età aurea della ceramica calatina.
A tale fulgore fa contrasto il veloce decadere del successivo secolo. Le fabbriche continentali fra cui quella di Napoli erano diventate competitive perché avevano adottato nuovi sistemi tecnologici.
Le loro produzioni grossolane e poco costose avevano soppiantato la ceramica di Caltagirone.
Gli oltre cento artigiani che operavano nei secoli precedenti si riducono alla fine dell’800 a soli sette "cretai".
Tra questi, Giuseppe e Celestino Di Bartolo, fratelli, che produssero vasi maiolicati da giardino e pannelli murali, Gesualdo Di Bartolo, figlio di Celestino, i suoi vasi, le sue anfore, i suoi piatti torniti e decorati con smalti da lui stesso preparati, sebbene del tutto estranei alla tradizione locale, sono un raffinato esempio della capacità artigianale che Caltagirone ha saputo esprimere nei secoli.
Di rilievo è la produzione Tardo – ottocentesca di terracotta per l’arredo di architetture.
Eccelse in questa attività la fabbrica Vella, cui si devono alcune cappelle gentilizie del locale, splendido cimitero opera di G.B. Nicastro, i prospetti della villa e della casa Cusumano.
E’ questa fabbrica l’ultima fornace della storia della ceramica di Caltagirone, che produce manufatti le cui definizioni stilistiche sono coerenti e si evolvono con quelle del proprio tempo.
A fronte della decadenza che segnò la produzione di maioliche si afferma a Caltagirone, e si diffonde in tutta Europa, l’attività dei "figurinai".
Loro capostipite è Giacomo Dongiovanni, erede della famiglia Bertolone che per secoli aveva dato alla città valenti artigiani, che rivoluzionò la tecnica di realizzazione delle figurine che già nel passato venivano realizzate nelle botteghe soprattutto quali soggetti presepiali.
Egli, anziché plasmarle per intero, rivestì le sue figure con sottili foglie della stessa argilla, ottenendo così un risultato di particolare verismo nella rappresentazione di scene di vita popolare.
Agli stessi temi s’ispirarono il nipote Giuseppe Vaccaro, che presto fu associato nella bottega dello zio, Francesco Bonanno, autore di particolare eleganza, Giacomo Azzolina, noto per le classicheggianti figure presepiali, padre Benedetto Papale, autore di minuscoli presepi e di curate scenografie veriste, e in tempi più recenti Giacomo Vaccaro figlio di Giuseppe, il suo genero Salvatore Sciuto, Giuseppe Nicastro che seppero rappresentare efficacemente il mondo popolare e contadino in soggetti, spesso dipinti a freddo o lasciati nel colore della terracotta. A loro si ispirano ancora oggi gli artigiani calatini.
Le ragioni della crisi ottocentesca, che avevano determinato la marginalizzazione dei manufatti calatini, ne hanno poi posto le premesse per una costante riaffermazione come prodotto di qualità.
Mentre, infatti, le fabbriche isolane e continentali sostituivano alla sapienza manuale la capacità tecnologica affidando le loro fortune alla produzione seriale, Caltagirone conservava il proprio patrimonio di esperienza artigianale e la memoria storica della propri a secolare tradizione attraverso l’istituzione delle Scuola e del Museo della Ceramica, che hanno dapprima difeso e poi rilanciato la ceramica calatina tutt’ora genuinamente ed esclusivamente legata alle capacità manuale ed allo spirito creativo degli artigiani, tornato ad essere il più numeroso e qualificato settore produttivo di Caltagirone che, così, ancora oggi di buon diritto può definirsi "Città della Ceramica".
Pasturari di Caltagirone
A Caltagirone spetta un posto di rilievo non solo nella produzione ceramica Siciliana, ma anche nella produzione dei fischietti in terracotta. In Sicilia gli artigiani dediti alla modellazione delle figure popolari vengono chiamati Pasturari;
oggi il termine corrispondente in lingua italiana è "figuli", come si usa chiamarli in Abruzzo e in Piemonte, "cucari" da cuco (ovvero uccello), in Veneto.
Sin dall’800 hanno operato a Caltagirone abili pasturari, rimasti tuttavia in penombra, oscurati dai grandi nomi della ceramica Calatina, ma come si è detto, oggi sono stati rivalutati e i giovani rianimati dal crescente interesse degli studiosi di arte popolare e dei collezionisti, stanno rilanciando il settore, con nuovo entusiasmo e nuove idee.
Ritornando ai pasturari è doveroso citare alcuni artigiani scomparsi, che hanno lasciato tracce inconfondibili della loro opera, sono principalmente Giacomo Judici, Salvatore Leone, Antonino Papale, Salvatore Graziano. Alcuni dei loro fischietti sono stati introdotti dal Loriaal Museo Etnoantropologico di Roma nel 1907.
Giacomo Judici
Di lui ci parla con grande stima Sebastiano Burgarettail quale dice che il Loria gli acquistò sei figurine popolari da presepe da esporre al costituendo Museo Etnografico di Roma.
Il Loria sosteneva che queste rozze figure fossero destinate alle classi popolari meno abbienti e quindi prive di valore artistico. Ma grazie all’opera di ricognizione e rivalutazione di Giuseppe Pitrè e Antonio Uccello, svolta negli anni successivi, questi manufatti hanno assunto valore culturale profondo, proprio perché legato alle radici della terra di Sicilia.
Tra i fratelli, Giacomo era stato il più dotato e il più bravo, tanto che uscì dai ranghi di semplice stovigliaio e di tornitore, per cimentarsi nelle decorazione e nell’invenzione di modelli, che egli stesso realizzava, contrariamente a quanto affermava il Loria.
Ne sono prova alcuni pezzi unici conservati dai figli e due statue di proprietà della famiglia Nicastro del Lago, di Avola, ereditate dal nonno Carmelo Corsico, il quale le acquistò nel 1930 direttamente da Giacomo Judici.
Si tratta di due statue, alte 70 cm, eseguite a mano. Raffigurano un pastore che va in giro a vendere ricotta e formaggi nei tipici abiti contadini siciliani e una popolana elegantemente vestita. Degni di nota sono i tratti realistici del volto e il movimento impresso alla figura maschile, nonché la precisione dei particolari nell’abbigliamento popolare e sobrio, anche nel foulard annodato alla nuca della figura femminile, la quale sembra colta nel momento in cui, col grembiule pieno di qualcosa, si sofferma ad ascoltare, con la mano destra poggiata al fianco, qualche amica che le sta parlando. La bottega di Giacomo Judici, oltre che dai figli, era frequentata da tale Nicolò Sampirisi, un signore conosciuto da tutti a Caltagirone come "u pallunaru di Sant’Orsola", perché realizzava i palloni di carta velina colorata che si facevano innalzare al cielo nelle ricorrenze festive patronali. Egli andava nella bottega di Giacomo Judici per imparare a costruire i fischietti da vendere nelle fiere paesane. Nel passato, per motivi economici, la produzione di oggetti maiolicati era molto limitata, si eseguiva quasi sempre su ordinazione di committenti facoltosi, si che gli artigiani, per vivere dovevano dedicarsi alla produzione di oggetti d’uso quotidiano, ovvero di stoviglie che richiedevano una grande abilità nell’uso del tornio. Giacomo Judici quando ancora non era in commercio l’argilla preconfezionata, andava egli stesso ad estrarla dalle cave, per poi prepararla agli usi artigianali.
L’argilla sfaldata con il "mazzu", strumento di legno, veniva deposta nelle vasche scavate nel suolo e ridotta a poltiglia, poi impastata e amalgamata per ore con i piedi.
Sostenendosi con una corda, appesa al soffitto, lavoravano l’argilla con il movimento dei piedi finché non risultava liscia ed elastica.
Un altro momento che richiedeva maestria era quello della cottura nei forni a legna e della smaltatura. Egli stesso polverizzava piombo, stagno, silice, sabbia … per ottenere la polvere di smalto. Lo stesso procedimento di preparazione avveniva per i colori. Otteneva il verde detto ramata, dai frammenti di rame che avanzavano agli stagnari, aggiunti a giuste dosi di silice. Il giallo si otteneva dalla mescolanza di antimonio, ossido di ferro e piombo; il blu dall’ossido di cobalto e piombo con un po’ di silice. Spesso per motivi economici ricorrevano all’uso di batterie elettriche dimesse, per ricavare il piombo, per questo motivo le stoviglie di quel periodo hanno come colore di fondo il tipico giallo oro. Giacomo Judici costruiva da se i pennelli, usando crini di cavallo o mulo, raccolti nelle officine dei maniscalchi; sembra che li abbia usati fino a poco prima di morire. Oggi sono gelosamente custoditi dai figli.
Lavorava incessantemente fino a tarda notte, al lume dalla lucerna per costruire con gli scarti di argilla le sue figurine da presepe e i suoi fischietti, che gli servivano come integrazione del guadagno. Quando morì lasciò la sua bottega ai figli Salvatore e Mario che hanno lavorato insieme fino al 1968, anno in cui decisero di aprire ognuno una propria attività, dedicandosi a due rami artistici differenti: Salvatore, abile ceramista e decoratore, prediligeva lo stile classico amato e richiesto dalla borghesia, ma che gli poneva i limiti della ceramica commerciale, Mario ha sempre preferito lavorare con la ceramica popolare, come faceva il padre, ma cercando anche attraverso il passato nuove forme e decori compatibili con la tradizione. Alla bravura personale e al mestiere imparato da piccolo, si aggiunge la sua passione viscerale per la cultura popolare.
Salvatore Leone
"U Nnacchiareddu"
Salvatore Leone nella bottega di Giuseppe Migliore
Nacque a Caltagirone il 13 Aprile del 1912, figlio di Mastru Michilinu u Nzfararu e nonna Anilina a Nnacchiaredda da cui deriva il soprannome Nnacchiareddu mal sopportato da Salvatore. Si ritirò già in seconda elementare per cominciare a lavorare come muratore, sua attività principale ma che non lo ha appassionato molto.
All’età di 18 anni ha incominciato a lavorare, come stovigliaio, nella bottega di Mastro Nino Abela dove ha impara a lavorare l’argilla e a fare fischietti rispettando severamente la tradizione sin dalla preparazione dei calchi. Usava stecche ricavate da canne e manici d’ombrelli che definiva a " lingua ri passiru ". Colorava le sue figure grossolanamente e fantasiosamente, facendo uso contemporaneamente di tecniche diverse,; spesso usava colori a tempera e smalti sullo stesso oggetto conferendogli una propria peculiarità. Preferiva usare colori puri, a suo dire, per attirare l’interesse dei bambini, a cui i fischietti erano destinati.
Con gli stessi calchi spesso realizzava anche le figure presepiali, basta osservare il fischietto del contadino a cavallo che è uguale a uno dei re magi che cavalca l’asino, si differenziano solo perché la coda dell’asinello funge da fischietto.
Il Loriaesaminando alcuni esemplari di fischietti del Leone scrisse: "I giocattoli riproducono in piccolo recipienti usati nelle famiglie o consistono in fischietti rappresentanti pasturari, gendarmi, animali ecc., fischietti che ricordano quelli della nostra Toscana, dove alle fiere dell’Impruneta se ne fa largo commercio". Oggi alcuni esemplari appartengono a collezioni private e sono esposti al Museo Etnografico di Roma: la Beata Lucia da Caltagirone, San Giacomo, Pesce, Testa mascherata, Testa femminile, Personaggio maschile a mezzo busto.
La sua vita non fu felice a causa di un lavoro che non lo soddisfaceva, dove non eccelleva e di una forte delusione amorosa, quando al ritorno dalla guerra scoprì che sua moglie si era unita ad un altro uomo.
Amareggiato si rinchiuse in un piccolo laboratorio non lontano dalla piazza centrale di Caltagirone, dove fino alla vecchiaia trascorse le sue giornate realizzando i suoi ultimi fischietti, "u Catarettu ", la "Natività," vari Santi, Madonne e personaggi storici come Napoleone, tutti eseguiti con la medesima manifattura. I calatini lo ricordano puntualmente presente insieme al fratello Giuseppe con la sua bancarella piena di fischietti colorati, davanti alla Chiesa dei Cappuccini per la festa dell’Addolorata e alla Chiesa della Madonna dei Miracoli per la festa di San Filippo.
Nei suoi pomeriggi divertiva gli amici anche con racconti spinti della sua vita, attraverso la sua povertà di linguaggio. Quando a causa della sua artrite peggiorò, il figlio lo portò con se a Modena dove, poco dopo morì. Salvatore Leone per chi lo ha conosciuto, è forse stato l’uomo più semplice del mondo ma che ha lasciato un’impronta indelebile nell’arte popolare.
Di lui ha parlato anche Antonino Uccello che, dopo lunghe ricerche nella campagna di Caltagirone finalmente riuscì ad individuarlo ed intervistarlo. Da lui ottenne informazioni sulla tecnica di preparazione dei fischietti con una dimostrazione pratica.
Antonino Uccello ha modo di constatare il procedimento severamente legato alla tradizione, così come S. Leone aveva appreso da piccolo, nell’antica bottega di Nino Abela.
Durante l’intervista del 15 Marzo 1977 che lo stesso Uccello fece a Mario Judici apprese che quest’ultimo si servì dei calchi e delle figure del Leone nella preparazione di alcuni fischietti.
Da ciò si può concludere che Salvatore Leone fra i Pasturari può essere considerato quello che inconsapevolmente ha dato il maggior contributo consegnando alla società un prodotto secolare tipico, in cui la terra di Sicilia ritrova parte delle sue radici e della sua cultura
Mezzo busto maschile
Collezione Perolini Museo arti popolari Roma Autore S. Leone
Gallo a tutto tondo
Museo A. P. Roma Autore S. Leone
Antonio Papale
Per quanto riguarda Antonio Papale, presso il Museo Etnografico di Roma sono esposti alcuni fischietti che dimostrano l’esecuzione accurata, con l’uso di pochi e vivaci colori, fra questi il Cristo Risorto il cui corpo bianco è avvolto da un panno rosso svolazzante, creando un contrasto cromatico molto interessante. Il manto dipinto di rosso, colore connesso al sangue, al martirio, ma soprattutto al potere legale, in contrasto con il bianco diafano del corpo rende questo oggetto particolarmente significativo dal punto di vista estetico.
I due fischietti rappresentanti San Giuseppe che tiene per mano Gesù Bambino, sembrerebbero ricavati dallo stesso stampo, ma ad un’analisi più attenta, si possono notare alcune differenze. Nel primo la fattura è più accurata: la veste è drappeggiata e inoltre l’artigiano, quando la creta era ancora fresca, ha modificato la posizione frontale dei personaggi, inclinando i due capi uno verso l’altro, infondendo una nota di dolcezza alla rappresentazione, alla quale concorre anche il grigio dei capelli e della barba del Santo. Il secondo fischietto è una replica semplificata del primo: le figure sono frontali e i colori distesi più sommariamente, una pennellata di nero sta ad indicare capelli e barba.
I due personaggi denominati con voce dialettale pupe, che rappresentano due giovani donne abbigliate con eleganza, sono ricavate invece da uno stesso stampo. Queste statuine ricordano alcune figure femminili che si possono ricavare dagli stampi di legno usati per la fabbricazione del formaggio; spesso gli artigiani siciliani si servivano,
per fabbricare i fischietti, di stampi destinati ad altri scopi, come per es. le formelle per la cotognata e per il bianco mangiare.
A conferma di ciò si può leggere il libro "Stampa per durci " in cui si spiega come ricavare dolci a forma di santo, di gallo, di pagliaccio, di Madonna con Gesù bambino o del Redentore, così come si faceva con i fischietti.
Collezione Museo Arti Popolari Roma
Carabinieri di A. Papale
Mario Judici
Oggi Mario Judici rimane se non l’ultimo, sicuramente fra i pochi pasturari calatini legati alla produzione tradizionale ceramica.
Figlio di Giacomo, è nato a Caltagirone nel 1928. I suoi studi si sono fermati alla scuola elementare per aiutare il padre stovigliaio nella bottega, dove ha conosciuto tutti i segreti dell’argilla, dall’estrazione alla preparazione in panetti, alla lavorazione, alla modellazione al tornio dove ha mostrato grande abilità.
Quando il padre morì nel 1950, lasciò la bottega in eredità ai figli Salvatore e Mario che hanno lavorato insieme fino al 1968, anno in cui decisero di intraprendere strade diverse, il primo ha preferito specializzarsi nelle produzione delle maioliche di tipo commerciale, il secondo ha seguito l’istinto di continuare sul filone della ceramica popolare, quella dei manufatti tradizionali come vasi fagotti, boccali, formelle per la cotognata, acquasantiere, figure da presepe e fischietti antropomorfi.
Il suo amore per la cultura popolare lo spinge nel 1972 ad acquistare un teatro di pupi siciliani con tutto il corredo scenico e il relativo repertorio di testi.
Mario Judici ha fatto una scelta fondamentale nel suo mestiere di ceramista: perpetuare le tradizioni antiche, restando fedele ai sistemi di produzione, alle tecniche, ai modelli, ai colori, ai ritmi di esecuzione tramandati nei secoli, con il risultato qualitativo che si può immaginare e che del resto è sotto gli occhi di tutti. I suoi lavori sono tutti pezzi da museo per bellezza e qualità. Il numero di pezzi è limitato, spesso sono richiesti all’estero e dai collezionisti o dai musei di fama internazionale.
La sua abilità è riconosciuta in tutto il mondo e premiata da enti pubblici ed esperti internazionali. Nel 1993 la città natale gli ha conferito il Premio Andrea Parini, durante la rassegna "Fischietti e Nuevo Mundo".
Lo studioso Salvatore Cardello dice che premiando lui, si è inteso riconoscere anche il ruolo determinante delle quattro generazioni della famiglia Judici, nel contesto dell’artigianato calatino dei cannatari che hanno prodotto e venduto le loro cretaglie alle classi popolari e meno abbienti.
Si parla di quattro generazioni di stovigliai; la prima presenza storica risale al bisnonno di Mario, suo omonimo, nato a Caltagirone nel 1812, che ha operato nella vecchia cannataria del quartiere San Giacomo.
La seconda generazione è quella del nonno Salvatore (1854-1930), la terza generazione del padre Giacomo (1866-1951). Il nonno e il padre lavorarono insieme nella bottega di S. Orsola. Durante la I Guerra mondiale Giacomo perse la vista di un occhio e questo lo infastidiva perché lo sforzo che doveva fare era enorme, nel 1951 morì lasciando ai figli Mario e Salvatore.
I due per scelta di produzione differenti si separarono. Mario abbandonò la vecchia collina di S. Giacomo per trasferirsi verso le nuove zone residenziali, al limite fra il vecchio passaggio a livello ferroviario di via Fontanelle e l’aperta campagna. Costruì una grandiosa fornace a legna simile a quella dei vecchi stovigliai ed iniziò la rischiosa riscoperta stilistica della quasi tramontata utensileria popolare siciliana. Incominciò a modellare vasi, acquasantiere, caraffe, borracce, di straordinaria bellezza, bassorilievi di Santi , Madonne, saimere, quartare. Oggetti ormai scomparsi dalle nostre case, ma che erano usati quotidianamente dalle nostre nonne, e nelle campagne. Ogni sposa siciliana, aveva nel suo corredo la catinella tinta di verde manganese e striata di bianco e il grande mastello, "u scitiddaru", per il bucato settimanale.
La scelta artistica di Mario è stata non priva di difficoltà perché si scontrava con tutto ciò che era commerciale, che era dettato dalle nuove richieste del mercato. La ceramica popolare fino a qualche decennio fa non era considerata ne forma artistica, ne era richiesta dal popolo come stoviglieria.
La determinazione nel continuare sulla strada che aveva scelto con amore, approfondendo il percorso popolare con ricerche e personalizzando i decori, alla fine, lo ha ripagato dei suoi sacrifici.
La sua produzione è caratterizzata anche dai famosi fischietti in terracotta ai quali si dedica con passione dal 1960.
Il suo repertorio comprende circa ottanta soggetti differenti, con prevalenza di figurine sacre. Recentemente ispirato all’arte fenice ha realizzato figure simbolo di festività e di abbondanza.
Molti fischietti della sua collezione sono presenti dal 1977 alla Casa Museo Antonio Uccello di Palazzolo Acreide, dove ho effettuato una rilevazione fotografica riportata di seguito. Altri pezzi si trovano presso il Museo Etnografico di Roma e in quello della ceramica di Faenza.
Anche Mario Judici per la produzione dei suoi fischietti si serve di calchi di gesso appartenuti al nonno e alcuni appartenuti a Salvatore Leone.
Antonino Uccello spiega così la costruzione del fischietto di Mario Judici: "Si preparano i calchi spargendovi sopra con una pezzuola della calce. Successivamente si distende la creta pressando con il pollice e l’indice. Si capovolge il calco in modo che la creta fuoriesca intatta, si ritocca con stecchi di bosco (bbùsciu) che hanno la forma di spadini, di circa 5 cm.
Si completano a parte, ove occorra, le braccia, la base, il fischietto o altri particolari che vengono eseguiti a mano. Il dispositivo sonoro misura circa 2,5 cm. e ha la forma di un becco: prima si pratica un foro verticale con un’asticciola di legno fino a metà spessore. Poi si conficca uno stecco di canna in senso orizzontale in modo da congiungersi col precedente orifizio, così completato, il fischietto si applica alla figurina e non appena si asciuga un po’, lo si prova se emette il suono desiderato. I vari pezzi vengono lasciati asciugare per un paio di giorni in bottega, poi vanno messi al sole per una mezza giornata. Successivamente vengono infornati e poi decorati a freddo
Collezione Mario Judici . Museo Etnografico di Roma
Mario Judici nel 1989 insieme al figlio Giacomo ha fatto dono al Museo di circa 80 fischietti che sono andati ad integrare quelli già raccolti nel 1907 dal Loria, (circa 15 pezzi, realizzati da Antonio Papale, Enrico Vella e Giacomo Judici). Degli 80 fischietti, 36 sono a soggetto religioso e i rimanenti a soggetto laico.
Nelle figure a carattere religioso Mario Judici si è attenuto severamente alla tradizione, rispettando i canoni compositivi e cromatici, mentre in quelle di tipo laico ha potuto sbizzarrirsi, dando sfogo alla creatività, personalizzando i lavori soprattutto nell’uso dei colori. Ne è venuta fuori una grande varietà di soggetti pur rimanendo nell’ambito della tradizione.
Museo A. P. Roma. Collezione M. Judici
Santa Lucia.
Cristo morto e Angelo
Addolorate e Cristo Morto
Santa Anna e S. Francesco
I FISCHIETTI DI TERRACOTTA IN ITALIA
Dopo aver esaminato il fischietto siciliano tradizionale nei vari aspetti, iconografico, simbologico, funzionale, strutturale e cromatico e averne riscontrato le peculiarità che lo contraddistinguono, rendendolo unico, per una visione, più organica dell’argomento è necessario rivolgere l’attenzione a tutto il territorio nazionale, dove ancora ceramisti di talento continuano a lavorare con impegno, consapevoli di alimentare quel filone di arte popolare che è l’anima del nostro Paese. Da regione a regione, le caratteristiche morfologiche dei fischietti, cambiano o per lo meno presentano delle variazioni che in alcuni casi saranno approfondite e messe a confronto. Dal Nord al Sud un po’ tutte le regioni hanno artigiani dediti a tale produzione anche se in alcuni paesi vi è una maggiore concentrazione o una tradizione più marcata. E’ il caso dell’Abruzzo con Anversa e Castelli, del Lazio con Roma, della Puglia con Grottaglie, Lecce, Bari, Rutignano , del Veneto con Nove, seguono la Basilicata, la Calabria, la Campania, l’Emilia Romagna, il Friuli, la Lombardia, le Marche, la Sardegna e il posto d’onore spetta senz’altro alla Sicilia con Caltagirone e Sciacca.
Il Fischietto dell’Abruzzo - " Lu cuccù "
L’Abruzzo, come la Sicilia ha avuto una specifica produzione di fischietti che, per certi versi erano stati considerati manufatti ceramici, prodotti di artigianato con una propria dignità. Venivano elaborati da figuli e vasai soprattutto nel periodo di splendore delle botteghe artigiane. C’era un momento preciso in cui venivano realizzati, ed era la notte, quando i vasai dovevano stare svegli per controllare la combustione dei forni a legna.
L’Abruzzo ha in comune con la Sicilia una produzione tradizionale di ispirazione religiosa: i santi col fischio. Santi severi dall’aspetto eppure benevoli nel loro gesto benedicente e nell’atteggiamento affabile.
Queste statuine modellate a immagine e somiglianza di Madonne e Patroni venerati in pompose cattedrali, vengono collocate secondo un radicato culto tradizionale, a protezione di stalle, botteghe, fattorie e abitazioni. In quest’ultimo caso sono utilizzate, all’interno per miniaturizzati altarini e all’esterno per troneggiare in apposite nicchie di facciata o in edicole votive poste ai crocevia a testimonianza del sentimento religioso della popolazione.
In Abruzzo fischiano: San Giustino a Chieti, San Cetteo a Pescara, San Rocco a Rocca Montepiano, Santa Lucia a Cepagatti, San Nicola a Pallufri, San Cesidio a Tra sacco, Santa Reparata ad Atri, i Santi Medici a Roccascalegna e i Santi Martiri a Celano.
In Abruzzo la colorazione delle icone è lucida per via dell’invetriatura mentre in Sicilia è opaca perché data a freddo. Il modellato in Abruzzo è a tuttotondo perché deriva da stampi a due valve, mentre in Sicilia è ad altorilievo perché proveniente da forme a una valva, ovvero mezzo stampo.
Escluse le sottolineature tecnico – operative, il figulo abruzzese e quello siciliano hanno in comune l’attaccamento alla propria iconografia: entrambi, infatti, mantengono vivi modelli e lavorazioni della tradizione, impedendone la fine. Pur tra diversità e similitudini, questi piccoli oggetti, dalle dimensioni del palmo di una mano, attraggono per spigliatezza espressiva e carica emotiva.
La produzione di Santi col fischio in Abruzzo tende a diminuire, ed è strettamente legata alle fiere connesse a ricorrenze religiose: per la festa della Trinità a Chieti, quella di San Giuseppe al santuario dell’Addolorata dei Colli di Pescara, la Pentecoste a Teramo, San Panfilo a Sulmona i Santi Martiri di Celano, San Rocco a Pennapedimonte, San Donato a Guardiagrele, Sant’Egidio a Lanciano, oltre che i mercati stabili davanti ai santuari mete di pellegrinaggio (San Gabriele dell’Addolorata ad Isola del Gran Sasso, la Madonna dei miracoli a Casalbordino, il Volto Santo di Monoppello) e le fiere laiche come quelle di Lanciano e Sulmona e dell’Epifania ad Aquila.
In Abruzzo il fischietto viene chiamato "lu cuccù". Le due note che esso riproduce, infatti richiamano il verso di quello uccello, noto nella zona per il monotono canto di cui riempie i boschi delle vicine montagne a primavera. Un canto che ha trovato posto negli scritti di alcuni autori abruzzesi, a volte anche musicati. I cuccù, erano venduti dagli stovigliai provenienti dalla vicina Anversa degli Abruzzi, insieme ad altri oggetti da cucina in terracotta in particolare "pignate", (pentole) e "tielle",( tegami).
Il fischietto abruzzese ha avuto il pregio di accomunare due corporazioni distinte e spesso contrapposte fra loro: quella dei maiolicai e quella dei pignatari. I maiolicai ritenevano i propri prodotti superiori a quelli dei pignatari che erano accusati di produrre pezzi di gusto popolare, ben distanti dai manufatti di maioliche la cui modellazione e decorazione senz’altro più raffinate di destinavano a quella fascia di mercato aristocratica e comunque benestante.
Fra i due tipi di manufatti vi è una fondamentale differenza di base: mentre il fischietto di Anversa è prodotto serialmente con i calchi e decorato a freddo quello di Castelli, Rapino e Loreto è lavorato a mano, invetriato e decorato finemente.
A Castelli, Rapino e Loreto il fischietto è rigorosamente policromo e ceramicato.
A Penne, Torre dei Passeri, Carupli, Anversa, Lanciano può essere anche monocromo e dipinto a freddo.
CASTELLI
La città di Castelli ne è un esempio evidente. Accanto a prodotti di altissimo livello non ha disdegnato la produzione di fischietti, intesi pur sempre come prodotti poveri e semplici, ma di largo smercio, destinati ai bambini, e utilizzati anche a fini pubblicitari quando l’ambulante con il suono del suo fischietto richiamava l’attenzione della gente sulla sua mercanzia.
Fra le iconografie più ricorrenti vi era quella del rusciguolo lavorato al tornio e decorato con una colombina accovacciata, varie figure antropomorfe di genere ludico (bamboline, soldati, carabinieri a cavallo, monachelle, frati, pellegrini, pastorelli, figure ironiche) infinite forme zoomorfe (cane, gallo, leone di Venezia appoggiato al libro, volatili per lo più ad acqua).
Accanto a questa produzione, destinata ai bambini, vi era quella delle sordine, delle dimensioni di una piccola moneta forata, che nascosta fra le labbra emetteva un suono. L’innamorato così dava il segnale di richiamo sotto la finestra della sua amata. A Castelli non mancava, sia pure in una situazione di minoranza, in quanto la loro zona specifica era Nocelle di Campli, qualche pignataro che lavorava solo prodotti grezzi. Anche questi trattavano un fischietto, sempre lo stesso, senza variazioni significative, la paparella con il modulo sonoro ricavato dal corpo di costruzione plastica a doppio foro digitale per la modulazione del sibilo. La paparella non aveva invetriatura, al massimo era decorata a freddo con terre ferrose e rossastre.
Attualmente a Castelli, l’artigianato della ceramica popolare, ha assunto due indirizzi produttivi: uno colto e condotto lungo i percorsi della ricerca formale e della riproduzione artistica delle tipologie tradizionali, l’altro turistico commerciale, finalizzato ad un manufatto che riassumeva le caratteristiche peculiari della zona a prezzo contenuto.
Il fischietto è presente in ambedue livelli
Artigiani di Castelli
Sul filo della consapevolezza culturale Vincenzo Di Simone che nel suo laboratorio ha rimesso in produzione il famosissimo corredo blu Orsini – Colonna, propone il ruscignolo, arrivando al rigore filologico di colorarlo con il manganese, ricavato dallo storico mulino che possiede ancora perfettamente funzionante lungo le sponde del fiume nei pressi di Montorno.
Sergio Censasorte
Sergio Censasorte studia i temi fitomorfi e la ritrattistica dei mattoni di San Donato e per i fischietti plasmati a mano e colorati con la ramina, interpreta la gestualità apotropaica delle produzioni della lingua, il gufo, perché come egli stesso scrive in una scheda redatta per una delle sue ultime mostre, "il verso del gufo ha mille misteri, a cui ogni uomo è libero di dare una interpretazione, ma che in ogni caso lo costringe a meditare in altri orizzonti, al di fuori delle realtà quotidiane". Allo stesso modo propone antefisse, gorgoni, mostri marini "rifacendosi, in una sorta di recupero dei valori e riferimenti tribali, alle culture primitive che ponevano queste rappresentazioni sulle porte per proteggere la città dalle forze maligne". E’ affascinato dai valori simbolici ed antropologici del fischietto ed è consapevole della mutata funzione di questo oggetto al di là della sfera ludica.
Giovanni Marroni
Giovanni Marroni è animato da una produzione semplice, che da vita, sul modello degli antichi stampi a valva, a paggetti, monachelle, gattini, uccellini.
Marcello Mancini
Marcello Mancini, tenta la riproposta dei perduti e minuscoli richiami uccellatori, e in tutti è vivo il ricordo dell’antica bottega Pardi, che fino al dopoguerra continuò a lavorare fischietti particolarmente decorati e fantasiosi.
BUSSI
A Bussi, Francesco Antonio Grue tenne bottega dal 1710 al 1715. Sulle sue tracce continuarono altre famiglie di stovigliai come i Setta, Rossi, Tauro, Natarelli, De Santis, Mariani, specializzate nella produzione richiesta di fischietti e salvadanai.
Dalle botteghe Bussesi pare che provenga il fischietto a forma di pavoncella rinvenuto da Estella Canziani nel 1914 a Castel del Monte, insieme ad un interessante corredo di fiasche da viaggio, mattonelle, acquasantiere; il manufatto per le sue caratteristiche potrebbe far pensare all’origine pugliese ( a Rutigliano è ancora in uso una tipologia simile), se non si fosse a conoscenza delle relazioni pastorali tra le montagne abruzzesi e il Tavoliere di Puglia
TORRE DEI PASSERI
Torre dei Passeri era il centro più importante, in Abruzzo dopo Castelli. Nel 600, Lorenzo e Raimondo Pompei, vi impiantarono una famosa scuola. Gli scavi nel pozzo di scarico della fornace Celenzani hanno permesso il recupero, insieme a materiali di enorme interesse documentale di numerosissimi fischietti, in parte invetriati, in parte dipinti ma non ricotti, in parte infine solo biscotto, di cui, tra l’altro, è possibile fissare la datazione agli anni immediatamente precedenti il 1870, quando la bottega smise l’attività e il locale cambiò destinazione d’uso.
La ricerca ha restituito soggetti religiosi, Madonne, San Rocco con le pellegrine e il cane, suggestive forme zoomorfe di un bestiario fantastico, volatili policromi di grande fascino, cavalieri e cavalli, soldati che sembrano essere il prototipo del diffusissimo carabiniere con cappello e pennacchio, ma soprattutto il galletto così come è ancora prodotto a Rapino e Guardiagrele, dove l’attività ceramica deriva da Fabio Cappelletti, figlio di Stefano e Gertrude Celenzani, che vi giunse da Torre dei Passeri nel 1818.
Lo scavo di Torre ha permesso anche di stabilire certi percorsi decorati della Valle del Pescara dove si preferiva la coloritura a freddo piuttosto che la smaltatura.
LORETO APRUTINO
Era un tempo zona di piattari e cocciari di umile livello. Oggi il paese espone la preziosa collezione di ceramiche abruzzesi raccolta da Giacomo Acerbo.
A Loreto rimane l’antica bottegai Spigadoro Di Damaso, passata, dopo la morte del titolare, a Graziano Piattelli. Il primo plasmava a mano libera certi graziosi uccellini sostenuti con il fil di ferro e posti su una basetta lavorata a forma di cono in cui, con ricercata tecnica, nascondeva, il modulo sonoro, conservando alla composizione plastica un considerevole grado di armonia e di equilibrio.
Il secondo che predilige la decorazione di gusto arcaico e la riproposizione accademica di temi classici, si diverte con una serie di animaletti colorati a fantasia e di personaggi in bilico tra l’innocenza e l’ironia.
L’iconografia ricorrente e tipica di Loreto, è l’uccellino che poggia con le zampe, ricavate dal fil di ferro, su una base che costituisce anche il modulo sonoro. E’ invetriato e presenta colori vivaci e di fantasia.
Fra gli artigiani meritevoli di menzione vi è senz’altro Raffaele Procacci del quale molti elogiano la grazia e l’ironia dei soggetti e oltre allea tipologia zoomorfa ed antropomorfa ha realizzato fischietti di uso e significato particolare, come la mano che fa le corna, la testa cornuta con la protezione della lingua, utilizzate per le scampanate di San Martino e più genericamente per le serenate ai vedovi passati in seconde nozze e a donne di discutibile condotta morale.
PESCARA
Pescara anche se non ha un passato ceramico alle spalle ha avuto il suo fabbricante di fischietti: EMILIO POLCI di CASTELLI, che nel 1925, sollecitato da alcuni suoi amici, tra cui Tommaso Cascella, aprì nella città adriatica, non ancora capoluogo di provincia, un laboratorio che rimase attivo fino agli anni sessanta e divenuto anche scuola di formazione professionale. La produzione, che nei primi tempi seguì la tradizione castellana,
comprendeva le statuine da presepe, alla cui decorazione dedicava molto tempo e i fischietti che ricavava da vecchi stampi di famiglia.
I soggetti più comuni erano antropomorfi e zoomorfi di piccole dimensioni, 4-5 cm. al massimo, l’angioletto, il leone di Venezia, le monachelle, il gattino, secondo una tipologia ancora riscontrabile, in tutta la zona castellana.
LANCIANO
A lanciano è d’uso lavorare fischietti a forma di strumenti musicali, con modulo sonoro a cilindro, e spesso, con il doppio foro per la variazione del suono.
Le forme più comuni sono le trombette e i pifferi ma non mancano i clarini le oboi e i bassotuba.
Maggiore attenzione richiedono i fischietti di Rapino e di Anversa, per la tipicità delle loro produzioni, nel primo caso un modellato più elaborato e nel secondo caso con un prodotto grezzo di tipo popolare.
RAPINO
I galletti con il fischio
Rapino oltre che per una notevole e qualitativa produzione ceramica è rinomata per la produzione dei galletti col fischio.
Il gallo è certamente l’animale più diffuso nel mondo rurale. Con il suo canto annuncia l’alba e quindi il sorgere del sole, fonte di energia. Come nelle varie regioni d’Italia e in Sicilia questi manufatti hanno avuto alti e bassi, dovuti al mutare dei tempi, mentre l’immagine del gallo dipinto su piatti e boccali ha continuato a resistere. Ancora oggi, ne vengono dipinti di due tipi: uno ad imitazione della realtà e uno fortemente stilizzato. Sappiamo che i fischietti già fra l’800 e i primi del 900 hanno goduto di un periodo di grande smercio. Nell’arco di un secolo i caratteri formali non hanno subito variazioni considerevoli, fatta eccezione per due recenti creazioni.
Tecniche di realizzazione.
Rapino
Per quanto riguarda la realizzazione, alcuni fischietti derivano da stampi a due valve, altri sono modellati a mano. Quelli realizzati a stampo sono scarsamente plastici, contrariamente a quanto succede nei pezzi realizzati a mano, in cui i particolari gli conferiscono maggior volume anche se si tratta di una tecnica plastica semplice e contenuta.
I principali elementi di decorazione cromatica, conferiti su smaltatura ad immersione, sono: la macchia distanziata a ripetizione, la puntinatura ad occhio di dado che, per effetto ottico ingrandisce i volumi; la linea marcata con alternanza cromatica, impiegata a scopo intensivo e ritmico; la pennellatura rapida, a volte tripla, per la rappresentazione del piumaggio sugli esemplari privi di rilievo e di graffiti, nonché il puntino cerchiato per mettere in risalto l’occhio vigile del gallo.
Vi sono anche fischietti decorati con fiorellini monocromatici, a quattro o sei petali, dipinti a tratti sulla base. Questo elemento botanico ricco di valenze figurative, si contrappone al repertorio decorativo derivante dalla simbologia geometrica, prevalentemente carica di valori astratti.
Il fiore di campo, ovvero il fioraccio, si riscontra su quasi tutte le tipologie della ceramica di Rapino, compresi i galletti. Nel complesso, i decori sono ridotti all’essenziale e le tonalità cromatiche risultano costituite, prevalentemente, dai tre colori fondamentali. Eppure, il messaggio decorativo, di questi oggetti sonori, con una smaltatura di fondo bianco ambrato, assume contenuti espressivi di densa notazione creativa. Il modulo sonoro viene innestato, in basso, in posizione obliqua.
I fischietti di Rapino, proprio per l’aggiunta del modulo sonoro, appartengono secondo la teoria della Nixdorf, alla tipologia B.
I fischietti come le statuarie sono tridimensionali e spesso nel fianco hanno il centro del loro maggiore interesse.
Le famiglie di Rapino che sono maggiormente distinte nelle produzione dei fischietti sono: la famiglia Vitacolonna e la famiglia Bontempo.
La famiglia Vitacolonna
Silvio Vitacolonna (1909-1975) è il capostipite della famiglia. Da lui impararono i nipoti Beniamino e Gabriele. Realizzò galletti con stampo a due valve. Nella semplicità plastica il suo modello, dalla superficie levigata e coda piumata a pizzi, presenta inequivocabili valenze di stilizzazione. Il suo gallo si inserisce nel filone tradizionale più per la decorazione che per la fattura del modellato. Della sua produzione, non rimane alcun esemplare, ma solo qualche prototipo. I fischietti di Gabriele Vitacolonna (1927) attualmente con bottega nella vicina Guardiagrele, continua a dedicare un po’ di tempo ai fischietti.
I suoi galletti ripercorrono il filone tradizionale e sono di due tipi: il primo, di stampo, presenta moduli stlistici aderenti alla struttura anatomica del pennuto, a cui fa seguito l’attenta decorazione cromatica, il secondo, modellato a mano con arcaica stilizzazione volumetrica, appare rispetto all’esemplare di stampo, più dozzinale e corrente
.
La famiglia Bontempo
Lorenzo Contempo è il capostipite della famiglia (1837 – 1921). Della sua attività di figulo rimane poco, ma quello che si è salvato è significativo per quanto riguarda la ceramica di Rapino.
Giuseppe Bontempo (1868 – 1942) ereditò la bottega dal padre dove lavorò insieme ai suoi tre figli Lorenzo, Alfredo ed Andrea.
Anche Giuseppe modellò, da figulo autentico, galletti con il fischio. Un suo prototipo, di genuino spirito popolare, presenta il pennuto in posizione accovacciata.
I problemi formali sono risolti a grandi masse, mentre la colorazione non presenta ruoli di rilievo. La smaltatura è piuttosto opaca. Siamo nell’epoca in cui gli smalti erano macinati a mano con dura fatica e poteva capitare che qualche impasto risultasse poco lucido e coprente per l’innesto di un "marzacotto" malriuscito. Lo smalto difettoso veniva quindi usato per i fischietti, le campanelle, le bambole o per vasellame dozzinale.
Nei fischietti di Giuseppe il modulo sonoro non sempre è elemento aggiuntivo. Nei casi in cui è possibile, questo è ricavato dalle cavità della statuetta.
Lorenzo ed Alfredo si dedicarono all’alta decorazione ceramica, mentre subentrò nella conduzione della bottega anche Andrea.
Quest’ultimo,dotato di elevate capacità creative, è stato attivo in tutti i campi connessi alla lavorazione della ceramica. Dei galletti con il fischio, oltre a qualche esemplare modellato a mano e dipinto prevalentemente con una gamma di bluetti, gli altri sono quasi tutti ricavati dagli stampi.
Mastro Andrea, tenne con sé in bottega un giovane di grandi capacità che ha plasmato per lui pezzi di rara bellezza, Renato Federico (1937) oggi abile ceramista che insegna tornio e modellazione di fischietti presso una scuola di Rapino.
La bottega è stata ereditata dal figlio Amato che dopo aver studiato a Faenza, continuò l’attività di famiglia. Oggi la firma Bontempo è la più prestigiosa della scuola di Rapino.
ANVERSA
Anversa è un paese della provincia dell’Aquila, posto che sorge nei pressi delle caratteristiche Gole del Sagittario, dalla natura primitiva e selvaggia. Offre lo spettacolo di una montagna squarciata dall’uomo che ha estratto per secoli la materia prima per la ceramica.
Da qui è facile capire che, la notorietà di questo paese, è legata alla lavorazione della creta.
Ad Anversa è stato però affibbiato l’appellativo poco prestigioso del "paese dei pignatari", dedito quindi ad un’attività artigianale ceramica di basso livello o livello popolare, che non disdegna di creare i cuccù di creta. Tuttavia i pezzi anversani esposti nel 1968 a Castelli hanno smentito questo luogo comune, sbalordendo i conoscitori del settore. Ad Anversa appartiene qualche vecchia fiasca, di cui una molto bella con l’effige di San Rocco, che potrebbe essere uno spunto per riattivare la produzione, allargandola a tutta la ceramica d’uso, mediante il restauro delle vecchie fornaci, con l’auspicio che, il paese possa riattivare la sua economia e conquistare a pieno il titolo di città della ceramica e della maiolica.
Per quanto riguarda la tecnica di colorazione, per lo più non avveniva né a freddo né per seconda cottura; secondo il ricordo dei più anziani pare che una parte dei fischietti venisse immersa sommariamente in uno smalto di scarto e poi chiazzati di verde ramina o manganese Tuttavia sono riscontrabili esemplari colorati a freddo, come nel caso di Govanni Di Falco, con il suo cucù blu, e di Gaudenzio Mocchetti con il suo cucù policromo.
Gli artisti anversani che si sono distinti sono principalmente:
Filomena Marcelli
Filomena Marcelli (1921) ha avuto un alto senso plastico con figure tradizionali di chiaro stampo popolare e genuino.
Oreste Marcelli
Oreste Marcelli (1927), fratello di Filomena, andava a vendere i suoi cucù alla festa di Santa Gemma e di San Domenico Abate. I suoi prodotti sempre molto popolari avevano una struttura robusta con un modellato di grande abilità.
Vittorio Marcelli
Vittorio Marcelli(1916) anche lui abile tornitore, con un modellato robusto ed espressivo.
Poi ancora fra gli artigiani di Anversa spiccano: Pasquale Mininni (1946); Antonio Ricci (1924); Giuseppe Vecchierelli (1945). Come in altre zone la produzione dei cucù veniva effettuata nei tempi morti della produzione principale.
Oggi dopo anni di lungo riposo, i fischietti di Anversa sono ritornati agli onori della cronaca, stimati e collezionati da un folto pubblico.
Molti esemplari sono presenti al Museo Etnografico di Roma e citati sul catalogo "La terra, il fuoco, l’acqua, il soffio
I FISCHIETTI DEL LAZIO
La regione del Lazio per motivi storici, risulta un territorio disomogeneo e variegato sia dal punto di vista etnologico, che culturale, caratteristiche che riscontreremo anche nell’analisi dei fischietti e un po’ di tutti i suoi prodotti artistici.
Nel Lazio, l’origine della lavorazione dei manufatti ceramici si può far risalire all’Alto Medioevo come continuazione delle attività figuline fin dall’età del Bronzo.
Difatti, i reperti archeologici sin qui rinvenuti confermano questa continuità storica.
Una ripresa dell’attività si è avuta nell’800 e fino ai primi del decenni del 900 che fu l’apice ma anche l’inizio della decadenza dell’artigianato autentico popolare.
La produzione laziale si può suddividere in due aree definite: l’area del Nord con la provincia di Viterbo e l’area del Sud con la provincia di Frosinone .
L’area sud del Lazio- Frosinone
Territorio in continuità culturale col sud campano e col confinante Abruzzo, è detto "Ciociaria".
Questa terra di contadini e pastori, è stata per tanto tempo, isolata a causa della mancanza di una rete viaria. Periodicamente, i commerci si svolgevano attraverso le fiere. Durante le festività natalizie, le fiere si arricchivano con i giocattoli in terracotta, fischietti,campanelle, e i presepi di Orpino, prodotti dai "cocciari".
I fischietti venivano venduti in gran quantità anche in occasione della festa del Crocefisso.
I centri di maggiore produzione erano Orpino, Pontecorvo, Veroli, Cepreano, Ferentino, Ceccaro, Gallicano, Sora.
Le tipologie più ricorrenti erano gli uccelli, i galli, i cavallucci, e i cavalieri con il cavallo a tre zampe.
Alcuni fischietti di produzione attuale si ispirano al passato. Osservando la fig.2 si può notare che il cavallo presenta tre zampe. Si tratta di un cavaliere appartenente alla produzione di Pignataro di Broccostella (Sora) attribuibile a Vincenzina Cantucci.
Il fischietto è modellato manualmente con incisioni che fanno emergere i particolari, ed è invetriato. Il modulo sonoro, con foro digitale, ha un’imboccatura svasata ed un’eccezionale potenza. La tradizione popolare colloca questo oggetto fra i doni offerti alle giovani spose con l’augurio fertilità e abbondanza. Infatti la terza zampa del cavallo rappresenta un "lungo fallo" simbolo di fecondità. Talvolta era aggiunto anche un cagnolino a simboleggiare "la fedeltà".
Per quanto riguarda la produzione attuale, a Sora troviamo il laboratorio di Paola D’Orazio e Roberto Tersigli. La loro attività nel campo dell’arte ceramica popolare, è volta al mantenimento delle tradizioni locali e alla loro diffusione anche tramite mostre.
In particolare, per quanto riguarda i fischietti, propongono le tipologie della zona di Sora e dell’area circostante.
Si può concludere dicendo che gli artigiani della terracotta, in questa parte meridionale della regione sono stati autentici portatori delle tradizioni popolari, avulsi da qualsiasi tentazione di tipo speculativo.
Lazio Sud - Sora (FR)
Autori: P. D’Orazio e R. Tersigni
L’Alto Lazio
Il territorio del Lazio Settentrionale, vide sin dall’antichità, il fiorire delle arti ceramiche e di attivi e fecondi centri sin dall’epoca etrusca.
In epoca medievale Viterbo e Orvieto rilanciarono la loro produzione rielaborando motivi ispano – moreschi, ma altresì attingendo alla tradizione e al gusto locale.
Alcuni di questi centri di produzione di terrecotte popolari viterbesi, si sono mantenuti attivi sin quasi ai nostri giorni.
Si ricordano Vetralla,Vasanello,Tuscanica, Acqua pendente, Civitacastellana, Bagnarla, Bagnoregio.
A Vasanello l’anziano Linceo Orlandi realizza ancora boccali, pignatte, salvadanai, servizi da tavola. Egli talvolta si serve delle argille del posto che impasta con le sue stesse mani per trarne coloriture diverse.
Produce anche i richiami da caccia , sia manualmente che a stampo
Altri artigiani di Vasanello sono Felice e Francesco Ricci che raccontavano che fino a cinquanta anni fa, si contavano ben 20 botteghe. (inserire figure)
Francesco, nipote di Felice prosegue la sua attività caparbiamente. E’ l’ultimo dei vecchi artigiani, la sua bottega è una grotta, dove pare che il tempo si sia fermato.
Nei pressi di Vetralle, lavora una giovane artigiana, Vincenzina Benedetti , dove conduce a livello familiare un negozio di terrecotte popolari appartenenti, per lo più, ad una produzione del centro Italia.
L’artigiana si sta orientando ad una produzione di fischietti di sua creazione.
A Sutri si trova la bottega di un altro giovane artigiano, Giovanni Ornoni che realizza fischietti ad acqua e fischietti che rappresentano le maschere della commedia dell’arte, Ornoni proviene dalla scuola della bottega dei fratelli Ricci di Vetralle.
Infine a Roma, lavora un’altra artigiana, Elena Annichiarico. Il padre era maestro ceramista di Grottaglie, trasferitosi nella capitale negli anni 70, produceva terrecotte d’uso e presepi. Egli faceva trasportare l’argilla a cavallo da Monte Mario.
Nei primi anni 80, decise di chiudere la fornace.
Nell’immagine 31 si può notare un fischietto di produzione del padre, si tratta di un quadrato ripiegato in 4 parti con al centro, un foro, che la figlia ha riproposto.
Lazio Nord - Vasanello (VT )
Autore: Linceo Orlandi
Vasanello ( VT ) Francesco Ricci
Vasanello ( VT ) Vincenzina Benedetti
I FISCHIETTI DELLA PUGLIA
La lavorazione della ceramica è sicuramente il comparto artigianale più diffuso della Puglia, favorito nei secoli anche dalla ricchezza di cave di argilla rossa. Il centro di produzione più importante è Grottaglie, in provincia di Taranto che ne ha fatto per secoli la sua principale forma di ricchezza. Qui, molti laboratori ancora oggi seguono i tradizionali sistemi artigianali, ma tra le produzioni popolari più interessanti vi è proprio quella dei fischietti.
I centri in cui la produzione di fischietti è diventata una vera e propria istituzione locale sono Rutigliano in provincia di Bari e Ostini in provincia di Brindisi.
Rutigliano
A Rutigliano tutti gli anni viene allestita la Mostra Concorso del fischietto in coincidenza con la festa e con la fiera di S. Antonio Abate il 16 e il 17 Gennaio, durante la quale ogni fidanzato era solito regalare alla sua amata, un cesto di frutta, simbolo dei prodotti della terra, con dentro un fischietto a forma di gallo simbolo di virilità.
Qui si ha l’opportunità di osservare diverse tipologie di fischietti da quelli tradizionali a quelli estremamente moderni e innovativi.
Tommaso Gara è uno dei figuli più abili di Rutigliano. Le sue opere sono dal modellato fresco, richiamano i valori plastici del passato, ma sanno essere attente al presente. Il fratello di Tommaso Giambattista Gara opera insieme al padre Vito che è autore di splendidi fischietti.
Altri figuli locali sono Filippo Lasorella, il cui particolare consiste nel ricorrere alla colorazione di 2° fuoco; Pino Altieri, che si distingue, all’interno di una infinita varietà iconografica, con una produzione ricca di soluzioni innovative, specie per quanto attiene la colorazione, in cui segue l’antico procedimento nel bagno di cera liquida.
Giuseppe Lombardo, di origine siciliana, costruisce i suoi fischietti usando un misto di argilla e quarzo rosso che conferisce un colore molto intenso.
Teodoro Modolese è un abile modellatore di mini fischietti, e dimostra capacità plastiche di buon livello, soprattutto nei suoi fischietti a carattere religioso, fra cui S. Nicola e S. Antonio Abate, ma anche nelle sue opere a carattere profano come la donna con ombrello e la banda dei carabinieri.
Pino Altieri realizza galli impettiti multicolori e personaggi famosi fra cui Totò, aiutato dalla moglie Maria Gallo, abile decoratrice.
GROTTAGLIE
A Grottaglie si trovano diverse botteghe specializzate nella produzione di fischietti, sono le botteghe di Giuseppe De Fazio, Nicola Bonfrate, Matteo Sommavilla
Nicola Bonfrate è figulo esperto e ceramista completo di grande livello tecnico. I suoi fischietti emettono un suono particolare, a dimostrazione della sua bravura.
Realizza anche fischietti ad acqua, fischietti zoomorfi a forma di gallo con sei buchi per l’uscita dell’aria, da cui proviene un suono melodioso ed affascinante.
GRAVINA
E’ un altro paesino dove si trovano alcuni artigiani e fra questi Vincenzo e Beniamino Loglisci che tuttavia da alcuni anni hanno chiuso la bottega. Le loro mensole di casa sono piene di "ColaCola", i fischietti tipici che la città di Gravina ha adottato come emblema o segno di riconoscimento.
Per quanto riguarda la produzione di fischietti tradizionali esistono presso il Museo Etnografico di Roma degli esemplari interessanti.
Una trombetta che per forma assomiglia a quella dei banditori, all’interno non è vuota, come le normali trombe, ma il suono si ottiene da un fischietto situato al posto del beccuccio della tromba. E’ stata acquistata a Cutrofiano (Lecce) dove ancora oggi alcuni artigiani continuano ad operare. Altri soggetti tipici sono: uomini a cavallo, cavalli dalle lunghe zampe, Carabinieri, gattini, diavoli, chiocce, pulcini che beccano il mangime, bambini e infine piccole trombe che non fanno che ripetere le forme delle trombe usate fino a pochi anni fa dai banditori che annunciano l’arrivo del dentista o della lana dei materassai. (Rossi 1960)
Ancora oggi, nella bottega di Vito De Donatis a Cutrofiano, è possibile trovare questi esemplari di trombette rimaste fedeli alla norma estetica attraverso i tempi.
Altro soggetto tipico è il "Vastase barese" o uomo con il fiasco, è uno straccione con gli abiti strappati che campa facendo lavoretti, come scaricare i carretti, trasportare oggetti. Questo fischietto pare sia stato costruito da Giuseppe Galeone di Capurso (Bari), per un noto ristorante: Il Leon d’oro. Per le forme piuttosto stilizzate, per la decorazione a righe e a puntini che rivela un certo gusto per l’asimmetria, per i colori, per i grandi occhi blu a pasticca, sono del tutto simili ad alcuni fischietti della Collezione Perolini che sono stati fabbricati da Vincenzo Loglisci, Gravina di Puglia.
Quest’anno a Lecce, nell’ex Convento dei Teatini si è tenuta la VI edizione della Mostra dei fischietti dedicata ai folletti, in dialetto "Laureddri, Strazzamureddri, Sciaccuddri, Urri". Ci sono innumerevoli nomi per indicare questo burlone folletto che tante volte infesta le case e che un tempo faceva disperare i massari. Si tratta del folletto talentino che infesta con il suo spirito burlone le masserie, ma non disdegna neppure i luoghi abitati, ma chi è riuscito a catturarlo strappandogli il cappello dalla testa è diventato ricco perché il burlone pur di riavere il cappello ha donato una pentola piena di monete d’oro.
I FISCHIETTI DEL VENETO. " I cuchi "
Il Veneto è fra le regioni che producono la maggiore quantità di fischietti o di cuchi. Colui che li fabbricava era un artigiano che in genere foggiava vasi, stoviglie e giocattoli per il popolo, così come abbiamo visto in tutte le altre zone d’Italia
In Sicilia c’era il "pasturaru", nel Lazio "il cocciaro", in Veneto il "Cucaro".
In realtà ancora oggi in Veneto, gli artigiani dei fischietti amano farsi chiamare "cucari".
Per quanto riguarda gli esemplari tradizionali al Museo Etnografico di Roma se ne trovano di alcuni artigiani di Este come Giovanni Veronese che usava una tecnica molto simile a quella di Antonio Papale (Sicilia). Infatti, il retro di questi fischietti in genere è piatto, lo spessore risulta quindi minimo. Queste figure sembrano assomigliare a certi dolci fatti di farina e miele e che ancora in alcune zone d’Italia si producono.
I fischietti dopo il preventivo bagno in acqua e calce vengono dipinti a freddo con delle terre che al tatto lasciano una lieve polvere colorata.
Le tinte maggiormente usate sono: l’arancione, il rosso, il verde, il nero o più raramente il blu. Sui colori è stata applicata una vernice finale lucida che conferisce vivacità e brillantezza.
La base è in genere rettangolare, ornata da piccoli tratti rossi, gialli, e verdi alternati a due aste verticali nere.
Numerosissimi sono i soggetti che ritraggono popolani e popolane: Donna col putin, Cottoletta, la Turca, Moletta, la Fioraia, la Pastora, Tato, Borraccetta.
Altrettanto numerosi fra le produzioni di Este sono gli animali, cavallini bianchi, galletti, cani, pappagalli, scimmia con giacca e cappello, uccelli antropomorfizzati che probabilmente si ispirano a qualche fiaba locale o si riallacciano alla tradizione del grottesco e delle caricature.
In Veneto e in particolare a Bassano di Nove e a Vicenza il fischietto viene chiamato "cuco" traendo la sua etimologia dal cuculo, uccello che non canta, ma emette un caratteristico grido di richiamo.
Il cuco è legato pertanto alla tradizione delle ceramiche vicentine che fra il 700 e l’800 ebbero un posto altissimo, producendo un’infinità di oggetti comuni e di lusso; Vicenza, Bassano di Nove ed altre località della provincia vicentina, si affermarono con fabbriche che seppero conquistare e mantenere una fama durevole.
Tra i soggetti più ricorrenti di cuco, vi è il soldato napoleonico a cavallo di un uccello, forma che si è ancora conservata ai nostri giorni. Spesso si trova il cavaliere a cavallo di un uccello con la testa di cane, di capra o di altro animale. In genere i personaggi sono ricavati dagli stampi, mentre gli animali sono modellati a mano.
Sempre di Giovanni Veronese sono le grandi teste terminanti sul dietro nel beccuccio del fischietto. Il fondo è bianco con i tratti del volto sottolineati da colori sgargianti, la fronte arancione, gli occhi ora rossi ora neri con delle rughe incise sui lati, le folte sopracciglia nere, le gote rosse, la bocca rossa, i menti appuntiti, tutto contribuisce a dare un tocco fortemente grottesco a questi fischietti. In dialetto sono chiamati "Pagiassi"
I cucari che lavorano attivamente sono ancora tanti e fra questi ricordiamo Narciso Battistella, Sergio Bigolin, Luigi Carletto, Aida Crocetta.
Narciso Battistella è nato a Nove il 1° Febbraio 1939. Ceramista dall’età di 13 anni, frequenta la scuola d’arte per la ceramica di Nove, ove apprende anche la popolare arte dei cuchi dal professor Gino Cuman. Riprende l’arte popolare negli anni 80 per hobby, realizzando delle scacchiere con cuchi di forma tradizionale, in occasione delle partite a scacchi.
Nel Gennaio 1996 partecipa alla fondazione del "Gruppo Cucari Veneti". E’ un cucaro e figulo molto attivo, spesso presente alle varie rassegne e mostre italiane.
Sergio Bigolin è nato a Galliera Veneta (PD) nel 1954, dove abita, laureato in lingue e letteratura straniera, insegna inglese nelle scuole superiori. Ha iniziato giovanissimo la sua attività artistica, sotto la guida del maestro Giovanni Bennardi ed ha esposto per la 1° volta nel 1971 alla Triveneta d’Arte di Cittadella.
Ha continuato lo studio delle varie tecniche di pittura e incisione frequentando a Venezia la Scuola Libera del Nudo presso l’Accademia di Belle Arti e la Scuola Internazionale di Grafica, dove ora insegna. Ha partecipato a numerose mostre Nazionali a Internazionali fra le quali: Collettiva di Tokio, Mostra Grafica a Berlino, Arte Moderna – Santo Domingo,ecc.
La sua arte è impregnata di una profonda conoscenza tecnica e grafica che rendono le sue figure seppure semplici, plastiche, quasi riuscissero a muoversi nel loro piccolo spazio circostante.
Luigi Carletto, risiede a Nove. Esercita la professione di ceramista. Dagli anni 70, partecipa a concorsi in Italia e all’Estero. Artista versatile, lavora tutte le argille, tramite modellatura, tornio lucignolo, E’ esperto di Raku. La sua manualità articola un linguaggio mosso e pregnante.
I FISCHIETTI DI TERRACOTTA NEL MONDO
La sorpresa più confortante per chi ama questi piccoli manufatti, viene dall’interesse di tutto il mondo per i fischietti, dall’America Latina, con il Perù, il Brasile ed il Messico, all’Asia con la Cina, il Giappone, l’India, la Turchia, all’Europa dove è viva la tradizione in Svezia, Norvegia, Finlandia, Germania, Francia, Svizzera, Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Russia, Portogallo, Spagna, ecc.
I FISCHIETTI EUROPEI
Francia – La Borne – Henrichemont
Ivan Levasseur è un ceramista e musicista eccentrico, vive in una tenda da circo e costruisce strumenti musicali di tutti i tipi in terracotta.
Claude Gaget è specializzato nella produzione di "sifflets" o meglio "appeaux" ovvero uccellini che lui definisce suoi amici.
Racconta la vecchia usanza di festeggiare l’inizio della primavera con "la voce dell’usignolo" con una messa celebrata sin dal 1861, presso la Chiesa di St. Julien du Ath, la prima domenica di Maggio. Durante il Gloria e l’Elevazione un giovane artista suonava un fischietto ad acqua. Tale usanza si riallaccia senz’altro a quando una volta in uso a NôtreDame di Parigi dove, durante la messa di Pentecoste, venivano gettati uccelli, fiori, biscotti e fasci di canapa accesi, dalle volte della Chiesa per ottenere così il riflusso dello Spirito Santo e la Misericordia divina.
Claude precisa che l’esistenza dei sifflets è documentata fin dal 13° secolo, mentre per quelli ad acqua dal 14° secolo, ad Arras.
Alsazia – Soufflenheim
Ignace Friedman produce "siblet" (uccelli) di tutte le forme e dimensioni, ma la loro collocazione su uno scaffale pieno di polvere lascia pensare che non sono oggetti molto venduti.
Germania – Elzach
Adolf e Luise Schultis sono due simpatici vecchietti che si dedicano alla creazione di fischietti fiabeschi, ispirandosi appunto ai racconti per bambini, Cappuccetto rosso e il lupo, St. Nicolaus ed altre figure tipiche delle feste paesane e delle favole dell’infanzia; sono tutte a fondo piatto col piccolo fischietto applicato sul retro, alla base.
Raccontano di un fischietto datato 1300. Si tratta di un gufo ad acqua di Althamburg ritrovato nel 1972. Pare abbia una certa importanza perché prova l’adozione di tale forma per i fischietti ad acqua con un anticipo di due secoli su altri recipienti di diverso uso.
Germania – Eppertshausen
Marianne e Karl Blickhau sono anch’essi una coppia di anziani che si diverte a produrre fischietti antropomorfi dalle forme bizzarre. Alcuni di questi hanno un buco sul fondo che serve per contenere farina o fuliggine, quando si immette l’aria per il fischio, esce fuori un fumo nero che ricopre la fronte.
E’ un fischietto – scherzetto del quale sono particolarmente fieri.
Lussemburgo – Nospelt
E’ un piccolo villaggio con circa 500 abitanti.
La tradizione del fischietto sembra quasi essere scomparsa, salvo il Lunedì di Pasqua, quando tutti abbandonano le attività abituali per riprendere in mano la terra e modellare i Peckvllchen ovvero i fischietti, rigorosamente a forma di uccellino, che una volta venivano regalati ai bambini in cambio di un sorriso.
Ed Kandel racconta che i fischietti di Nospelt hanno addirittura origini, risalenti all’epoca romana. Lui produce uccellini con il metodo tipico del luogo. Con l’aiuto del tornio, si fa un calice, si capovolge unendo le estremità, si modellano la testa e la coda che fungerà da zufolo, e il fischietto è pronto in un attimo.
Belgio – St. Truiden
Loide van Hautte, sembra sapere tutto sui fischietti della zona. Racconta che i cenciaioli usavano fischietti ad acqua come moneta corrente per bambini che gli fornivano piccole quantità di merce.
In Wallonic, il 25 Marzo, nella festa di NôtreDame de Messina, a Mons ed a Lovanio, il giorno di St. Apolline per la sagra dei "piccoli cocci", venivano regalati variopinti usignoli, piccoli fischietti ad acqua sonoramente trillanti.
Spagna
La Spagna è terra ricca di tradizione ceramica dalle molteplici forme e colori. Non potevano certo mancare, naturalmente fra queste, anche i "silbatos" e i "botijos", canarini ad acqua.
Spagna – Andujar
Qui, la ceramica, di origini moresche resiste con buona fortuna, alle difficoltà di quest’epoca di declino.
Juan Muñoz Lara lavora con il figlio e producono ceramiche invetriate a fondo bianco con decorazioni azzurre.
Deliziosi i "pitos del picador" e i "pitos de toro", graziosissime statuette con personaggi a cavallo e tori con la parte fischiante applicata al posto della coda.
Pare che un giudice arabo nel 1223, ne decretò la fine vietandone l’uso, perché considerati giocattoli "Cristiani".
Mallorca
Ancora qualche vecchio artigiano si dedica alla creazione dei "siurell" sono pupazzi e animali di terracotta, dipinti con la calce. I "siurell" sono opere anonime realizzate quasi sempre dalle donne di campagna, di età avanzata, senza preparazione artistica.
Modellano tori dalle corna esagerate come vuole la tradizione, tori alati di origine pagana, l’uomo toro, denominato erroneamente demonio, oppure esseri strani dalla testa zoomorfa, che ci riportano, con i loro occhi pronunciati, le immagini egizie, ed ancora i "nazareni" con i cappucci allungati.
Nei laboratori dove si facevano i siurell, gli uomini preparavano l’argilla e il forno per la cottura, mentre le donne li modellavano e li decoravano. I colori erano il verde, il rosso, il giallo e l’azzurro.
Portogallo – Barcellos
E’ un grazioso paesino, noto per le ceramiche e naturalmente per gli "assobisso apitos ". Misterio do Santo Amaro, abita in un capannone all’interno di un cortile squallido dove abita con le figlie che lo aiutano nel suo lavoro.
Produce "rouxinol", usignoli ad acqua che, racconta, venivano venduti la vigilia delle feste di S. Antonio di Lisbona il 12 Giugno, di S. Giovanni il 18 e di S. Pietro il 30, per poi scomparire per tutto il resto dell’anno.
Croazia – Dolenza Vas
E’ un villaggio montano, immerso in boschi secolari, con le case in legno e le palizzate che delimitano graziosi orti pieni, anche di fiori.
Jacob Nosaru, ultra ottantenne, ha deciso di riprendere una tradizione che era di suo padre e di suo nonno.
In Slavia c’erano fischietti a forma di uccello laccato di giallo, d’influenza austriaca, come anche cavalli, cavalieri ed oche prodotte dai ceramisti di Ribrica.
Nella parte centrale della Jugoslavia, invece ci sono ancora variopinti fischietti ad acqua, "pissak", a forma di uccello, sinonimo d’influenza del periodo d’occupazione da parte dei Turchi, oppure anatre e aeroplani dipinti ad olio.
Ungheria - Budapest
Marian Bau produce figure femminili tondeggianti e morbide. Racconta che, in Ucraina, paese d’origine della madre, a Kursk, durante la settimana del burro e dell’Annunciazione, in occasione delle feste in onore della primavera, comparivano sui banchetti, animali fischianti in terracotta dalle forme rigorosamente simboliche. L’uccello è il cielo, il cavallo è il sole, l’orso è la primavera ed il risveglio della natura, la rondine e l’usignolo invece sono messaggeri dell’estate.
Cavalli, tori, montoni, venivano assimilati alla dea Madre venerata col culto delle festività.
A Wiatka, il quarto sabato dopo Pasqua, era dedicato agli avi. La festa era chiamata "svistopljaska" ovvero "ballo del fischietto". Venivano innalzate per l’occasione tende nel cimitero, all’interno delle quali si vendevano dolciumi e piccoli cavallini "svistulki" nonché palline di terracotta appositamente fatte.
La festa dei morti durava fino a tarda sera, gli adulti bevevano vino, accoglievano gli ospiti, cantavano, suonavano i loro strumenti musicali, ballavano, i bambini invece davano fiato ai loro svistulki e si lanciavano addosso le palline di terracotta.
La festa, della durata di 3, 4 giorni, attirò anche i Tartari, i Wotjaken ed i Tscheremissen, tutti non appartenenti alla religione cristiana, perciò su iniziativa della chiesa, a metà del 19° sec. la festa venne proibita.
Oggi si modella e si colora ancora secondo vecchi modelli di costumi e uniformi del periodo dei latifondisti, inoltre si sono conservati ornamenti a cerchio eseguiti a linee o punti, su torace, pancia o schiena dei fischietti zoomorfi. Essi simboleggiano, la ruota solare, riferita al profano dio del Tuono Perun, in veste di cavallo e raffigurava già nella prima età del ferro quale ornamento di sacre figure animali.
Ungheria – Mezotur
Csibi Ferenz, è un anziano signore che abita con la moglie in una casa stracolma di oggetti colorati, tutti rigorosamente fischianti: "i sip" o meglio "cserepsip", fischietto in terracotta, distinguendoli ulteriormente in "kakkuk" fischietto ad acqua e "kakas-sip" gallo fischiante, oppure ancora "radar-sip" uccello fischiante.
Tra questi, una bottiglia in terracotta con il collo chiuso. Per bere bisogna individuare quale delle quattro anse laterali ha il condotto aperto, se si sbaglia ci si bagna. E’ una bottiglia scherzo.
Polonia – Cracovia
La Polonia vanta una solida e ricca tradizione di fischietti – esordisce, categorico ed austero. Tuttora nelle zone centro – orientale, ne vengono prodotti in una grandissima varietà di forme: cavalieri, cervi, variopinti uccelli, oche, pecore e cani. Essi nella decorazione riflettono la vita della Polonia e ciò li rende facilmente riconoscibili fra tutti. Molti sono i centri dove ancora oggi se ne producono.
A Zywie c’è Andrea Stankiewicz con i suoi cagnolini e cavalli con l’imboccatura nella coda, coperti di smalto incolore o verde, o cavalieri dai lunghi capelli e dal cappello piegato secondo la moda svedese del XVII secolo.
Nei giocattoli di Rzeszow, le antiche tradizioni si intrecciano con le trasformazioni più recenti sia nel contenuto che nella forma.
Caratteristici sono i galletti di Jarina Matuszynska di Lezajk, spesso con cavaliere sulla groppa. Usa argilla del posto, poco raffinata e stampi di gomma per le figure dei suoi giocattoli primitivi. Inizialmente seguendo la tradizione locale, li dipingeva con gesso bianco. Successivamente è passata alla tecnica di ricoprire le sue creazioni di vernice gialla, rossa e azzurra.
Alla tradizione dei vasai di Ilza si è ispirato Stanislao Kosiarski, considerato il più importante ceramista popolare del periodo post – bellico.
I suoi galletti, tacchini e pavoni, sono noti in tutta la Polonia, il suo continuatore è Vincenza Kitowski, creatrice di scene realistiche di vita rurale.
A Falesie si producono fischietti rappresentanti ulani a cavallo e vasetti ad acqua.
I FISCHIETTI IN TERRACOTTA DELL’EX UNIONE SOVIETICA
Una produzione popolare degli oggetti in ceramica, i giocattoli di Dyrukovs, modellati in argilla decorata da vivaci colori, hanno da sempre occupato uno spazio particolare. Essi prendono il nome dal sobborgo di Dyrukovs presso Kirov da cui il loro appellativo di "giocattoli di Viatka".
Vi si producono fischietti dai tempi più antichi, di forma arcaica: qui il loro fascino.
I giocattoli di Dyrukovs raffigurano, nella maggior parte dei casi, personaggi di città in costume d’epoca (meta del secolo scorso): i loro tratti caratteristici colpiscono l’immaginario degli artigiani di città e dei villaggi.
Sono "dandies" donne affascinanti, imponenti "tate" con bambini, "nurses" nel tradizionale costume russo "sarafane e kokochoik" (una specie di diadema).
Molto interessante è la serie di figure animali: uccelli, galli,tacchini, renne e cavalli.
Tutti i giocattoli, sia che si tratti di "dandies" o di nutrici o delle portatrici d’acqua con i secchi appesi o del tacchino con la coda a raggiera, sono modellati esclusivamente a mano.
I procedimenti elaborati dagli artigiani si distinguono per unità di interpretazione.
Prima di essere colorati a tempera diluita con il tuorlo d’uovo, gli oggetti vengono smaltati con un prodotto con un prodotto speciale composto da gesso e latte.
La decorazione si distingue per il colore vivo, i toni puri e durevoli. I creatori di giocattoli decorano i personaggi "eleganti" con molta immaginazione, gli uccelli in modo bizzarro, così i cavalli con i loro cavalieri.
I dettagli modellati sono molto gradevoli ed espressivi: così ad esempio la dentellatura delle ali e la coda a forma di ventaglio della gallina, la barbetta del tacchino, ecc.
L’ornamentazione si compone principalmente di rosette di colore vivo, blu o lampone, losanghe, striature e bordature dorate.
Esistono attualmente ancora vecchi centri ceramici dove gli artigiani producono giocattoli tradizionali.
I fischietti di Filmavo, regione di Tula, si distinguono per le forme e i modelli tradizionali di cui i più tipici sono i puledri dal lungo collo, alcune figure di personaggi e di uccelli le cui forme allungate non mancano di sorprendere per lo stile personale.
Esso si compone generalmente di sottili linee orizzontali rosse e verdi su un fondo chiaro di argilla biancastra. Gli oggetti non sono smaltati in quanto l’argilla è chiara, di un colore rosa tenue. Per il decoro si utilizzava una pittura all’anilina.
L’interesse suscitato in questi ultimi anni dall’arte popolare ha rianimato la produzione di giocattoli di terracotta di Kargapol, piccola città a nord di Arkhangelsk.
Le creazioni di O. Babkinc sono molto ricercate per le combinazioni di elementi artistici della ceramica locale e della creatività popolare che rappresentano.
Ucraina
La ceramica è una delle arti più antiche dell’Ucraina. Giacimenti ricchissimi di argilla di alta qualità hanno sicuramente favorito le arti ceramiche. In Ucraina la produzione consiste in recipienti per bevande a forma di leoni, montoni e galli.
Nel passato l’uso di molti recipienti era legato a precisi riti. Attualmente il loro uso è soltanto decorativo.
Il loro creatore ineguagliabile è D. Golovko.
Ai nostri giorni si fabbricano giocattoli che non sono destinati a essere riempiti di liquidi. Si tratta di un’arte minore che tende a produrre "souvenirs".
Da molti secoli si conoscono in Ucraina i giocattoli di terracotta: i fischietti "svistontsy" nonché stoviglie per bimbe: "monetki" dai colori vivacissimi e dalle svariate forme.
Occorre sottolineare l’interesse che presenta la ceramica in miniatura.
Troviamo i leoni e gli ovini tradizionali, ma anche una varietà di cavalieri, capre, galli, anatre, galline con pulcini, ecc. Il decoro, geometrico e floreale, sottolinea il movimento di questi animali rendendoli ancora più dinamici.
Il decoratore di questo genere ai nostri giorni è Ivan Gontchar, maestrodell’arte popolare ucraina.
Usbekistan
Presso Guijdouvan/ Gizhduvan, nel villaggio di Uba, Khamro Rakhirnova, con i suoi allievi, da 45 anni produce i giocattoli in terracotta "ouchpuliak/ushpulyak che dipinge con i colori diluiti nelle chiare d’uovo.
I soggetti ouchpuliak, sono tradizionali e raffigurano sempre animali: uccelli, leoni, montoni, cavalli, upupe, galline, passeri.
Pertanto, tali oggetti, sono infinitamente vari, alcuni dei quali portano sul dorso un fiore o un uccello, altri un cavaliere. Vi si fanno altresì dei fischietti molto sonori.
Queste figure semplici e originali, piene di umore popolare naïf e di fantasia, riscuotono un grande successo.
Concepito per il divertimento dei bambini, l’ouchpulick è divenuto col tempo, un oggetto folklorico.
Altri centri di produzione ceramica in Usbekistan sono: Samarcanda, dove, di Omar Djourakoulov sono interessanti le suo brocche a forma di cavalli bicefali o mostri fantastici e una serie di giocattoli, figure di cammelli, montoni, draghi e caprette che rievocano il mondo dei racconti di fiabe e del folklore.
Tadjkistan
Da tempo immemorabile gli artigiani di Karatof preparano per la festa primaverile "Navrouz" dei giocattoli di terracotta fischiante, a imitazione del verso di certi animali.
Il "Touti"(l’uccello), "l’Asp" (il cavallo), e gli "Shers" (animali fantastici) dalle code massicce drizzate verso l’alto e che portano i loro piccoli tra le fauci.
Alcuni recipienti per la loro forma ricordano un’anatra: l’acqua passando per il becco – versatoio del recipiente, produce il caratteristico suono di questo animale.
Moldavia
I ceramisti moldavi producono brocche decorative miniaturizzate, replica esatta di quelle grandi.
I fischietti, che rappresentano cavalli o galli, sono molto buffi ed espressivi.
Con alcuni tratti di colore, l’artigiano coglie le caratteristiche salienti dell’animale o dell’uccello, stilizza la forma con sicurezza: ottiene così una figurina semplice e parlante che rallegra grandi e piccoli.
I FISCHIETTI DI TERRACOTTA DELL’AMERICA LATINA
La produzione proveniente dall’America Latina appartiene all’artigianato povero, legato ancora
Alle tradizioni " Indios".
Reperti museali, attestano l’esistenza e la produzione di fischietti in terracotta d’epoca pre – colombiana.
L’attuale artigianato ricalca vecchi motivi e stili Maya o Inca continuando ad essere presente nelle povere economie sudamericane, anche se gli originali e dimenticati nomi dei fischietti indios, oggi sono stati sostituiti da quelli moderni di "silboitos" ed "apitos" nelle lingue dei nuovi dominatori: i colonizzatori spagnoli e portoghesi.
Gli indios attribuivano al fischietto una funzione magico – rituale capace di allontanare gli spiriti maligni. A questo proposito si racconta che Colombo, al suo primo sbarco in America Latina, venne accolto da una marea di fischietti perché ritenuto "un ignoto avventuriero, piombato da chissà dove nelle loro terre", e quindi con il fischio si voleva allontanare il male, l’ignoto.
Pertanto, si pensa che i destinatari dei fischietti, in America Latina fossero gli adulti e non i bambini, contrariamente a quanto succedeva in Europa.
Inoltre, dal punto di vista del suono i fischietti europei sono quasi tutti monotonali, mentre quelli del Cile e del Perù si rivelano perfezionati strumenti musicali simili alle ocarine italiane ed a quelle prodotte nell’Europa dell’Est.
Quindi, fischietto come strumento musicale e non solo come giocattolo per i bambini, come comunemente lo intende la nostra tradizione, ancora oggi utilizzato dagli adulti nei canti e nelle danze popolari, del Centro America.
Basta ascoltare un brano degli Inti Illimani o di qualche altro gruppo folk andino, per riuscire a cogliere il suono inconfondibile di strumenti a fiato in terracotta creano armonia con chitarre e flauti in legno, come ad esempio nelle colonne sonore del film Mission.
Alcuni fischietti americani rivelano un’ulteriore particolarità nella piccolezza delle forme, da due a quattro centimetri circa, alquanto "mini" rispetto alla nostra più ridotta produzione, che trova accostamenti satirici nel gruppo delle "6 comari" ciarliere che arriva dal Cile.
L’universalità delle forme e dei riferimenti del fischietto in generale, trova spazi numerosi nella rappresentazione – anche nei paesi centro americani – di volatili e soggetti zoomorfi quali l’iguana o l’armadillo (Colombia e Messico), ancora una volta per festeggiare, come dalle nostre parti, il risveglio della natura ed il perpetuarsi della vita in tutte le sue manifestazioni.
Il soprannaturale dei nostri fischietti a carattere religioso, trova un qualche accostamento nei vari totem, idoli vari e sconosciute divinità azteche, ancora oggi realizzati in creta.
Manufatti, questi ultimi, di difficile lettura perché non è facile comprendere se erano prodotti per antico spirito religioso o quale rappresentazione non nascosta di superate culture.
Terrecotte, utilizzate anche dalla "medicina popolare" delle antiche popolazioni Inca per guarire quelle malattie o quelle inspiegabili deviazioni originate da influssi negativi.
Ad esse, infatti, si faceva ricorso nei rituali magici che riguardavano il tentativo di sanare uomini o bestiame e perfino, di ridare produttività a terreni poco fertili.
"El curandero", o guaritore, durante i suoi riti propiziatori, oltre che di certe erbe ed impasti di semi vari, facevano uso di ceramiche chiamate "huacos" che servivano a guarire le malattie allontanando il male.
C’erano huacos a forma di animale per guarire le piaghe o sconfiggere le epidemie che colpivano il bestiame ed huacos a forma di palla con incisioni simboliche geometriche per allontanare disturbi di carattere psichico ed altri ancora per aiutare le gestanti durante le doglie di parti difficili. Il rituale di guarigione degli uomini, che doveva ripetersi in diverse sedute, stabiliva che il curandero dovesse soffiare il "fischietto huacos", descrivendo una spirale dall’alto verso il basso intorno al petto del paziente e mettendo una particolare enfasi nello sfioramento della parete addominale dell’ammalato. Attualmente e a distanza di centinaia di anni, nei paesi interni delle Ande, esiste ancora questo tipo di "medicina folklorica" nella quale gli huacos si sono confusi con altre rappresentazioni sacre di importanza coloniale e dove la tradizione e l’innovazione religiosa si combinano dando origine al misticismo "incaico – cattolico".
In Messico è stato avvistato uno strano fischietto che simbolicamente unisce tutti i paesi del mondo, si tratta della figura di Garibaldi, l’eroe dei due mondi, prodotto anche a Montefalco (Perugia) e a Rutigliano (Bari) in Italia.
MUSEI ETNOANTROPOLOGICI IN ITALIA
Nei primi anni del 900, in Italia, grazie alla sensibilità di alcuni antropologi di nuova fama come il Loria, il Pitrè e Uccello è iniziata una laboriosa ricerca nelle campagne, nelle case dei contadini e del popolo, di tutti quei manufatti destinati a scomparire, sostituiti dall’avvento dei prodotti tecnologici, e in particolare della plastica. Con perizia e ricerca analitica hanno documentato usi, costumi e quant’altro facesse parte del mondo popolare coscienti del profondo cambiamento che stava travolgendo la società italiana in generale. Antonio Uccello ebbe però un’intuizione geniale, capì che tutti questi oggetti raccolti dovevano avere la giusta collocazione, ovvero bisognava ricreare l’ambientazione originaria, così che la camera da letto doveva avere i suoi mobili i suoi soprammobili, i suoi santuzzi, la sua "conca" per riscaldarsi, ecc. il frantoio doveva avere il suo torchio, le sue vasche, ecc. Da qui la necessità di trovare il luogo adatto a raccogliere "la cultura del passato".
Il Loria prima di Uccello collaborò alla nascita di un museo di entità nazionale, dove appunto vennero raccolti oggetti di cultura popolare provenienti da tutte le regioni d’Italia. Si tratta del Museo Etnoantropologico di Roma.
A Palermo grazie al Pitrè ne è stato istituito un altro, ma quello più vicino a noi ,e alla cultura della Sicilia Orientale è il Museo Etnoantropologico A. Uccello di Palazzolo Acreide
Per quanto riguarda l’esclusiva raccolta di fischietti in terracotta, recentemente il Veneto, precisamente Cesuna ha visto la nascita del Museo dei Cuchi; anche la Puglia con Rutigliano ha il suo museo di fischietti; anche la città di Caltagirone che vanta un’antica tradizione nella costruzione di fischietti ne ha chiesto uno che tarda ad arrivare.
SICILIA
Casa Museo A. Uccello - Palazzolo Acreide
Il Museo era l’abitazione privata di Antonio Uccello, un’ala del Palazzo Ferla che egli acquistò nel 1960,con il preciso intento di collezionare al suo interno tutti gli oggetti, testimonianza di un mondo in declino, di un passato neanche tanto lontano, bistrattato dalla voglia di modernizzazione.
Antonio Uccello poeta e antropologo, nacque a Canicattini Bagni (Sr) nel 1922. Appena ventenne, maestro di scuola, emigrò in Brianza e forse lì senti forte il richiamo delle sue radici. Il forte interesse per le tradizioni popolari e la constatazione della rapidità con cui tutto diventava superato, inservibile e conseguentemente dimenticato e distrutto, lo portava a ricercare con la moglie Anna Caglione durante le vacanze trascorse in paese, tutto quanto fosse legato alla cultura popolare: usi, tradizioni, oggetti. In un trentennio, dall’ultimo dopoguerra in poi, Uccello, in parallelo alla sua attività letteraria, organizza fra la Sicilia e Milano, numerose mostre su temi popolari, spesso accompagnate dalla produzione di cataloghi. Il bisogno di " salvare la memoria delle arti e tradizioni popolari siciliane" per Uccello era diventata una preoccupazione giornaliera.
Il genere umano, da millenni aveva usato per la creazione di utensili, materiali provenienti dal mondo vegetale e animale. La scoperta dell’elettricità, l’invenzione di materiali sintetici e di sofisticati macchinari, rompono drasticamente una consuetudine millenaria. Entra in crisi con essa una cultura tradizionale che fonda le sue radici nella vita di antiche aggregazioni umane. La vita economica esige rapporti produttivi non più legati a naturali avvicendamenti temporali, tipici ad esempio, dei lavori agro – pastorali. Ritmi diversi irrompono nelle comunità, minano consuetudini sociali, economiche, affettive e religiose da tempo radicate. Subentrano tempi legati alla competitività ed alle ricchezze prodotte dalle innovazioni tecnologiche.
I nuclei familiari e gli individui rimangono isolati, solitari, privi di comunicazione viva e reale.
Sono costretti ad emigrare. Le massaie tessitrici e i loro telai tradizionali da cui producevano preziosi corredi, i contadini fabbricanti dei loro attrezzi, i pastori produttori di formaggi, i cestai, i calzolai produttori di scarpe, i carbonai, i carradori abili costruttori di carretti, le ricamatrici, i sarti, i cerai, i ferrai, i sellai, e tanti altri lavori artigianali che aggregavano nelle case piccole comunità, spariscono.
Un "Museo vivo" per Antonino Uccello significava una casa per ricreare, con l’ausilio di oggetti – memoria l’antico gusto di queste aggregazioni perdute. Inaugurato ed aperto al pubblico nel 1971, il Museo è stato, dopo la morte di Antonino Uccello, acquistato nel 1983 dalla Regione Siciliana e oggi diretto dal dott. Gaetano Pennino.
La sede museale
E’ un’ala di Palazzo Ferla, edificio realizzato, su fabbriche preesistenti, dopo il terremoto del 1693 nel quartiere dei Mannarazzi dove esistevano le mannare, ovvero i recinti per gli ovini.
Al piano terra vi sono gli ambienti del massaro, l’uomo di fiducia del proprietario che si occupava dell’amministrazione delle proprietà, della custodia dei raccolti e degli animali e dei rapporti con gli affittuari.
Stalla, frantoio, cucina, camera da letto, casa del massaro sono alcune delle stanze ricreate con meticolosa cura. Gli oggetti sono infatti disposti in maniera simbolica e c’è proprio tutto: teatro dei pupi, giocattoli, carretti, pitture su vetro, presepi, ceramiche fischietti.
In alcune occasioni, si svolgevano all’interno della casa, rappresentazioni di scene di vita del passato.
Antonino Uccello metteva dentro la casa persone che sapevano svolgere mestieri antichi, per animare il ricordo di queste attività. Così per le feste patronali, c’era chi preparava dolci tradizionali, chi filava e chi tesseva.
Lo studioso era anche affascinato dalle festività legate alle feste patronali. Amava la festa di San Paolo protettore dei contadini.
L’attuale direttore della Casa Museo, Gaetano Pennino, durante un seminario alla Facoltà di Lettere e Filosofia, racconta Antonio Uccello poeta, e soprattutto l’interpretazione poetica che dava agli oggetti considerati non solo parte integrante di una cultura, ma soprattutto messaggi poetici.
VENETO
Museo dei Cuchi di Cesuna
Spostandosi dal Sud al Nord, l’appassionato del fischietto non può fare a meno di visitare il Museo dei Cuchi di Cesura, nato nei primi del 900 per la passione profonda di un privato. La collezione comprende oltre 10000 pezzi provenienti da tutto il mondo e molti esemplari antichi.
La maggior parte dei suoi pezzi proviene dalle botteghe artigiane e dalle sagre popolari della Romania, dell’Andalusia, della Russia, del Lussemburgo (dove la tradizione è talmente viva da avere scelto un fischietto come emblema del paese per la serie di carte dedicate alle capitali dell’Euro) o per restare in Italia, dal Veneto, Piemonte, Puglia, Sicilia e Sardegna (Assemini e Cabras).
Ancora oggi nel vicino paese Canove di Roana, il 25 Aprile si tiene la "Sagra del fischietto" che ripete antichi riti legati alla festività e al risveglio della natura. Offrire il fischietto ad una ragazza in quel giorno equivale ad una dichiarazione d’amore e accettarlo è una risposta altrettanto eloquente.
Cuchi esposti al Museo di Cesuna
Nove
Museo Civico della Ceramica
Il patrimonio artistico conservato presso il Museo Civico della Ceramica di Nove –Veneto, viene impreziosito dalla interessantissima collezione di fischietti generosamente donata da Nino Athos Cassanelli.
Sono soggetti provenienti da tutto il mondo che permettono di creare una prima sezione di arte popolare specifica su questi manufatti.
La preziosa raccolta Cassanelli offre l’opportunità di esporre per temi e per soggetti e quant’altro si possa stabilire come motivo di confronto, oggetti di varia provenienza, a testimonianza di realtà etniche diverse.
Sono esposti 1300 pezzi provenienti da tutta l’Italia, dall’Europa e da paesi dell’Est Europeo.
Lo sguardo di Cassanelli si è proiettato anche verso l’Oriente dove ha acquisito otto cuchi dell’Afganistan, sei della Cina, uno dell’India e tre dell’Indonesia.
Ci sono ancora esemplari del Sud America, Argentina, Brasile, Cile, Ecuador, Guatemala, Messico, Perù. Dal Kenia, provengono due fischietti, includendo così anche il continente africano.
Nino Athos Cassanelli (1929 - !999).
Principali Manifestazioni e Mostre
Moncalieri (To) - si tiene in piazza la Mostra de fischietti nel mese di Ottobre.
Rutigliano (Ba) - 17 Gennaio in occasione della festa di S. Antonio Abate, si tiene la Mostra Concorso. Ogni fidanzato è solito regalare alla sua amata un cesto di frutta, simbolo dei frutti della terra, con dentro un fischietto a forma di gallo, simbolo di virilità.
Ostuni – Dall’1 al 31 Agosto si tiene la Rassegna Nazionale del Fischietto.
Vicenza – Canove di Roana – si è tenuta la 7° Biennale Internazionale del Fischietto con Concorso per il miglior fischietto. Hanno partecipato 200 artisti provenienti da tutto il mondo.
Treviso – Asolo – si tiene la Sagra dei Cuchi nel mese di Maggio.
Caltagirone – dal 1988 fino al 2003 ha organizzato annualmente le sue rassegne sui fischietti di terracotta.
CALTAGIRONE
Rassegna dei Fischietti
· Le prime due edizioni del 1988 e del 1989 sono state dedicate ai Santi con il fischio.
La terza edizione aveva come tema la satira contro il potere ed i potenti, e furono presi di mira gli allora ministri Andreotti e Spadolini scelti per le locandine.
L’edizione del 91 affonda la sua ispirazione nelle favole dell’infanzia e Riccardo Biavati affida al nasone del suo Pinocchio in gres, la locandina pubblicitaria.
L’edizione del 92 è stata dedicata ai Paesi dell’Est con la tanto desiderata " libertà". Nella locandina è raffigurata una deliziosa bambolina in porcellana fischiante dell’ungherese Marian Ben ed in lontananza le moscovite cupole di San Basilio proiettate in un augurante alone di azzurro.
Il 93 vede protagonisti i paesi del "Nuevo Mundo" a cui si fa riferimento con l’immagine di una variopinta foresta amazzonica.
L’edizione del 94 è dedicata ai personaggi del circo. La locandina raffigura un solitario ed elegante chapiteau da circo equestre, che volutamente nasconde i protagonisti del più grande spettacolo del mondo.
Nell’edizione del 97, Rino Ansaldi, s’ispira a Rosseau nell’immaginare un suo particolare Eden per rendere omaggio alle donne con un’estetica figura femminile che suona il flauto al centro di un’incontaminata foresta tropicale.
Nel 98 si trae ispirazione dal mondo musicale al quale è dedicata la rassegna per rappresentare un angolo rinascimentale di musici alle prese con trombe, viole, cembali e flauti.
Il 99 vede protagoniste le maschere, viene rappresentato un trittico di maschere, blu, bianca e gialla nelle varie espressioni istrionesche.
L’edizione del 2000 è dedicata all’Anno Santo. Viene usata come immagine una simbolica processione medievale di ispirazione raffaellesca.
La tredicesima edizione del 2001, inaugura il nuovo millennio con l’immagine surrealista di - Renè Magritte – di un ciclista volante appeso alla mongolfiera, che in un cielo stellato saluta l’arrivo del nuovo secolo.
L’edizione del 2003 è dedicata alle favole, all’insegna del binomio "Fischietti e Burattini"
Locandine Manifestazioni di Caltagirone
Riferimenti bibliografici
Biagio Scrimizzi, " Da manu cu manu ", Ed. La Palma.
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suono del galletto