Saint Claire Francisca - Galleria Roma Siracusa

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
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Saint Claire Francisca

poeti galleria Roma
ODORE DI VOGLIA ANTICA
Poesie di Francisca Saint Claire, presentate da Francesco D’Isa
Eros si erge immaturo e fanciullesco come Giasone già sul vello, dentro, attorno, fuori e la sua ricerca è già essere: essere nel divenire è muoversi esplicito fra “cosce traboccanti d’ingordigia”. Rose è d’eros “virtuosismo speculare” che lasci incedere la quinaria compresenza dei sensi in questa liricità così plurisensuale e d’incedere in incedere approdare al grido sussurrato “orgasmo multiplo investe la vulva abissale”, che si immagina avvenire proprio nell’istante eterno in cui l’orgasmo multiplo investa la sua vulva abissale: così lei, mentre lui è forse sempre lei che incede a sua volta “come la saliva di Ofelia sulle pudende di Pan”, e ancora lei elogia tale “morbida, audace venatura su muscolo teso, bagnato” (da lei), elogia “odore di sesso virile” (con lei), elogia “la furente sciabola dentro la carne erbosa” (di lei) e possiede “un ritmo folle”, “un vigore tremulo” e “la cadenza di una sbavatura ardente”. Così questa poesia pudica abusa d’impudicizia come l’eterno fanciullo Giasone gode di presocratica esenzione dalla conoscenza, concedendosi col solo ausilio dei sensi, amletico, nemmeno presagendo l’aristotelica intelligenza, la distinzione sessuale, la non-nudità: forse non-nato egli gode della non presunzione della nascita e guarda (ascolta, annusa, tocca, gusta) lei che urla di dolore (“Amleto amami”), di piacere (“nuda professo la vita”), di scetticismo consenziente (“Ti amai come tramonto di gustosa beltà sfiorita”) o dissenziente “calpesta con esasperato esotismo l’etica ambigua del detto in simbiosi” e Dispensatrice “è lei che la notte solca l’asfalto petalo d’incompresa lascivia” e compensatrice è la sensualità “del glande diviso” (“trasumananza sessuata nelle strade del mondo” che “sanguina”). Torna il verso “Mondo” per dirci forse purifico? Torna il verso “Umanità! Cadenza monotona, Plutarco arreso!” per darci forse “delle notti il vampiro del tuo stesso cuore”, poetessa, e dirci forse, ancora, purifico? Torna e ritorna il verso “Francisca Saint Claire”: che “mansueta sogni l’arrivo di Giasone…”? “Suona donna, suona ancora le ampiezze velate d’impeto greve”, venate di parnassiana voracità, “e sii muta nel bacio odoroso che gioiosa darai all’amante sinuoso”, mentre io, sterile postillatore, cerco l’eccesso esangue di Giasone, lo scettro pestifero di Pericle, la remota discendenza di Pan, la blasfema alterità di Amleto, la cortigiana scortesia di Baudelaire e presagisco una nuova voluttà e l’asprezza che dia “odore di voglia antica”, asperrima più che mai, come sui solchi bagnati di “sesso-sentiero esplosivo sensuale slegato oltremodo” e sudore-sesso umido doloroso odoroso represso esploso, mentre inattese, “di erotismo bruciato” intese, “ciglia nere come spighe scuotono i nidi canuti del viandante in essere”, cioè il sudore è il divenire del sesso, il sesso l’essere del sudore, l’anima e l’amore la cornice interna, intima platonica astratta esclusione, il sesso non sudato post mortem?
ODORE DI VOGLIA ANTICA


Voglia antica
Odore di voglia antica
voglia che non tace.
Essa cresce e vivifica
utero e cuore.
Ricompongo
le pagine di un poema
interrotto da mani
aride e sporche di lacrime ingorde.
Scorre un fiume nella Colchide,
un fiume sommerso da nera boscaglia,
umbratile voluttà schiusa al
vello d’oro che portasti in cima al monte
della divina di Pafia,
guerriero acerbo ad amare.
Desiderio ardente di
membro e vulva in una notte
qualunque.



Come schiuma in un oceano di libidine mi lascio sprofondare in un calice colmo d’assenzio. Amleto amami.



Cosce traboccanti d’ingordigia, ecco, il fiore si è schiuso suda orgasmi saporosi e unti di femminilità omicida.



Seni che vibrano al tocco di dita roventi,
corpo che esplode di gaudio,
labbra sanguigne che baciano il fallo e
lo ingoiano per dominarne gesta mai udite.
La clitoride è eretta dominatrice di tempi primitivi e vissuti a metà.
Respiri che fondono come metalli bollenti, bevuti da gole voraginose.
Scivola giù l’elisir degli amanti. Esso mescola gioioso sfumature di verdi e rossi su prati a lungo cavalcati da giumente dispensatrici.
Frustami.
Violami.
Come una Messalina virtuosa ti attendo le notti.



Accasciata a un muro di rose marce rodo d’invidia per colei che dorme sul tuo letto e ti pesa dolce sul cuore.
Vivo in un giardino di pietra dove non c’è sole ma l’ombra avida di un idolo che danza sulla ferita tremula di una vergine feconda errante per la selva di Lesbo.
Come la freschezza di una rosa nuova inebria di profumi mistici l’aria così fui io prima di essere carpita da mano vissuta.



Cosa vuoi dirmi giovane amante? Nulla ci è proibito, mi eccita la robustezza taurina del tuo collo sudato.
Cosa chiedono i tuoi capelli tragicamente arruffati degni di un ateniese dopo aver combattuto una modesta battaglia?
A cosa alludono le tue labbra sottili e armoniose? Il tuo petto villoso sprigiona l’erotismo di Balio e dal tuo membro ligneo gocciola la nudità della vita, foglia d’acqua bianca.



Era un pomeriggio di Luglio e lui mi leccava la vulva,
lingua, saliva, piccoli vortici orgasmici turbavano il mio corpo inerme molle scomposto.

Era un pomeriggio di Luglio e lui mi penetrava con il membro,
duro e osceno mi riempiva tremando fra sangue e liquidi,
nella penombra di una stanza di periferia.

Era un pomeriggio di Luglio quando m’innamorai del tuo corpo e ne compresi la decadenza.
Disillusa m’immersi nella sua lordura.
Capii di essere morta mentre tu rinascesti a nuova vita.



Bevi dalla mia fonte vegliardo uomo siculo
Essa sgorga incessante scandita dai miei respiri,
è saporosa e scavata fra due isolotti assolati.
Vi troverai ristoro e gaudio, gonfio d’amplesso e magniloquenza mi penetrerai ieratico, t’immergerai nella foce la cui voglia è infinita. Cosmici rantoli di piacere ci spossano adesso.
La purezza dello specchio è storpia. Spasmi dolciastri mi azzoppano stesa. Le tue mani stringono glutei e cuore, massaggiano di virgulti i miei seni, meandri di femminilità scolpita.



Scorre beffardo Eros, nelle mie vene sapore di vita nuova,
il principio della fine.



Carni battute da ritmici movimenti orgiastici,
lingue che si sfiorano sinuose come serpenti.
Bendata cavalco il tuo membro nudo come terra arata,
scivola lento ed egoista nella voragine setosa.
È notte, fuori tutto tace e dentro qualcosa muore, muore vivendo.



Le tue mani palpavano le natiche e la
vulva,
s’insinuavano sotto la gonna
modellavano l’argilla
informe.
Mi chinavo
E facevo scivolare la mia lingua sul tuo
corpo saporoso e ne raccoglievo il vigore primigenio in bocca.
Mi voltavi
m’inarcavi e ti appropriavi del
piacere.
Eravamo un puzzle fatto di carne e gemiti,
i tuoi colpi decisi m’inchiodavano al muro dell’abbazia
mi graffiavo la faccia e la sporcavo di grida
rosse.
I nostri sessi bruciavano come
lava appena vomitata.
Venivamo insieme,
lacrimavi i diamanti nella cava.
Ero una puttana magnifica, ero amata.



Languo oggi,
nulla ha sapore, solo le mie lacrime acri.
Piccoli aghi punzecchiano la mia pelle,
trapassano la mia anima troppe volte sputata, sgualcita e bucata dalle tue dita bugiarde e rozze, dalla tua bocca ruvida e meschina, dal tuo membro consumato da vagine ispide e sterili come rovi d’inverno. Misera la lascivia con cui ti menasti a costoro.
Non meritasti creatura incline ad amare e largiva in amplessi madidi di premure istintive.
Il calore del letto m’indebolì la mente e il freddo dei tuoi occhi la rinvigorì mordicchiandone feritoie e clitoridi tristi a lungo dormienti.
Ti ho amato, ti ho odiato, ti ho dimenticato.
Francisca Saint Claire.
Se potessi bussare alle porte di un cosmo fatto di orge e teneri baci lo farei, potesse il mio corpo dondolare su piccole onde invisibili,
armoniose come dervisci appagati da melodie straniere.
Qualcuno suona un’aria antica. È Chopin. Mi penetrò con la spada fianchi e cuore. Bruciammo.


Ho inseguito le tue chiome lungo sentieri strappati da farfalle gravide, ho chiesto a genti lontane il tuo nome. Ricordi? I tuoi occhi intonavano piaceri infiniti, le tue mani sudavano fiori d’arancio.
Quando posato su schiuma d’amaranto leggesti pallido il mio organo ti scolpisti il cuore con il dardo infuocato e con steli non più verdi sfiorasti lettere d’amore nascoste. Zitto riempisti di soffi vorticosi il mio mondo.



Poesia sul tuo corpo, ti amo.
Amo la tua mente suprema e il tuo petto indio.
Amo il tuo calore e la luce dei tuoi occhi castani
Luce che ti scioglie le gote e si diffonde veloce su di me, su carni marchiate dal fuoco del desio a lungo coperto da lenzuola assassine. Come lebbra fusa mi divora.
Immenso atto d’amore cavalcandoti, danza frenetica e umida sulla cima del monte eterno, monte benedetto dalle ali degli amanti.
Frasche odorose solleticano fluttuanti i nostri sessi battuti da orgasmi vincenti mai placati, esse coccolano il seme che iniettasti trionfante. Ci amiamo così, senza proferir parola, tutta la notte. Nasce un nuovo giorno, su di noi la luce.



È inverno e sul tuo sesso nascono primule infuocate,
timide come lune incipriate da incantesimi mai scorti.
Volesti amarla per mezz’ora su lenzuola malate di desiderio mai sopito e traboccante le sue labbra pelose come vino rosso su coppa d’oro. Eccoti moribondo, adorabile cicisbeo.



Distesi su terre desolate ci amiamo, aliti primordiali di legami mai sciolti, odori di eterni su mura rotte da lingue agili mai ferme.
I movimenti del tuo corpo, scudo antico, mordono le onde devastanti, sono un fazzoletto bianco in un oceano di amori impietosi.
Lo scrigno è schiuso.
Gronda tesori e piume nere.
L’ascia è eretta alla distesa infuocata, ci amiamo.



Eros metti fine al mio tormento te ne prego.
Trafiggimi impetuoso con il pugnale che ti fu forgiato da mano veneranda in un antro di Vulcano.
Allaga la cava che mi fu ingiustamente donata.
Creatura silente e melanconica, cuore infranto, non fosti creata per essere amata e posseduta sotto pioggia bagnata, petali su calici a primavera.
Calpesterai pallida prati infecondi e ti nutrirai di poesia, spirito eccelso.



Morbida, audace venatura su muscolo teso, bagnato, come la saliva di Ofelia sulle pudende di Pan.
Un rantolo caldo dalla tua bocca tremula, mandorla sgusciata da lillà fecondo.
Un lago di carne, spirali di burro su tele sudate.
Un delirio muto invade la fossa, odore di sesso virile.
Un grammofono esala musiche antiche.



Ambrosia stilla su languide cascate febbricitanti,
seducente torsione orgiastica su capezzoli irti al chiaro di luna.
Grappoli d’uva succulenti su cesti sfondati echeggiano gioie convulse di amanti in ginocchio.
Un sibilo vermiglio sfiora le labbra, una scia bianca lungo la gola.
La furente sciabola dentro la carne erbosa scava la strada odorosa.



Furia dolciastra su sonetti d’acanto risveglia d’afflato animale
le rosee carni.
Su lembi di pelle incolta la verga imperiale cavalca la chioma corvina di saliva pendula.
Movimento gioioso nella fossa stracciata come la veste di Aspasia.



Fellatio
Molle creazione secerne i marmi di Corinto.
Dalla bocca ansimante respiri scalzi ingoiano il flusso solingo,
scultura antica presago di vita.
Un ritmo folle sveste il membro dell’ultimo fiato,
solenne sfonda la laguna, vi si tuffa avido, anelito senza guscio.
Un vigore tremulo scuote il ventre infecondo, vibra l’ebano morbido.
Zampilla i piaceri potenti.
Gocce bianche sui cuscini femminei,
danze sensuali sui seni turgidi.
Il fiume è rotto,
mi squassa.



Sul campanile ti amo,
tutte le notti ti amo,
prigioniera svelata sull’ultimo gradino di un campanile.



Ti desidero, arde la miccia nel secchio ceruleo,
Dominami!
Strattona la scarlatta pelosa sul materasso bucato.
Sboccata e sudata ti assorbo trionfante,
il tabacco negroide scava la vigna,
figlia inselvatichita della luna.
I tuoi glutei contratti come le lune di Pericle murano la fessura virtuosa.



Piove.
Nell’ostello decentrato ti sciolgo i capelli,
filari nevrotici sul
guanciale sbiadito.
La selva unge la clava di versi
sfuggenti.



Deterge gaia il crinale indomato,
come pozzanghera smossa dalla piuma di
Thanatos.
Svuota la schiusa del cristallo
meticcio,
con alterni ardori sovrumani la cintola spreme il caramello delirante.
Goduria,
eclettica serva svelata d’altra
natura instabile.
Potente langue l’eco pallida
di Sparta.
Sul materasso asessuato l’impeto mellifluo di amanti legati.


Afferra le redini della sbucciata carne, boia imberbe di beltà sfinita, logistica vergine slegata divora la membrana creola.
Viluppo di veemenza poetica sulla ghiandola sepolta,
la cadenza di una sbavatura ardente dilania il faggio saporoso.
Ti possiedo, mi possiedi, viviamo.



Senti l’istinto, il brusio muto della vallata arrossata.
Figlia del melograno incolto, lascia scivolare armoniche le dita lungo le carni, i palpiti di una tribù smussata da consueto rito.
Egli giunge, diafana presenza erotica.
La fronda spettinata sfodera il frutto smielato e la cavità ingoia il fuoco, il sangue, il fallo.
Sui genitali odorosi dell’unisono mi calpesta ed esisto, laconica donna, amante fuggitiva.



Battuta, squassata da un cunnilingus.
Virtuosismo speculare,
svociato in latte sul labbro rosé di Troilo.
Orgasmo multiplo investe la vulva abissale.
I coturni slacciati incontrano i glutei contratti in una danza agreste mentre il cotone è violato dall’erezione impetuosa del pene.
Mi sbatti.



S sentiero
E esplosivo
S sensuale
S slegato
O oltremodo



Donami il lino in modo che possa adagiarlo fra le cosce schiumate e sfregarlo in stupefacente combinazione erotica di peccato e vanità alla vagina pretenziosa.
Donami tre perle in modo da farne lume fra i seni smaniosi.
Infilzami ora.


Ciglia nere come spighe
scuotono i nidi canuti
del viandante in essere.

Polifonico stagno rinverdisce
la quiete affamata della madre
voglia in furore selvatico.

Sulla secrezione fumosa del membro
il sole di Ottobre addormenta il seme.

Terra umida,
pietra molle di poesia spettinata
sul corpo di Zefiro.

Nuda professo la vita.
Mondo.



Senso sul pigmento
Virtù in eloquenza sopita
riaccese di follia incredula la sorretta acacie in Maggio.
Ti amai come tramonto di gustosa beltà sfiorita
al calar del sipario diurno e setoso.
Morsi la polpa di bianco animata amandoti intensa
ed elogiai lo spasmo pel istintivo orgasmo.
Offuscasti al trepido slancio Clitoride nell’amazzone intesa di erotismo bruciato.
L’amasti come vita che chiede e cuore che ha dato.

Atto senza possesso
Inquieto ti appresti alla giuntura di peccato velato sulla
cima glabra del monte pafico.
Concepisti foglia impaurita e vivace come Assenzio dei Verlot.
D’innumerevole virgulto muta l’esistenza dell’amante spremuta in casta ed estrosa sensualità oscura.
Ecco, erotismo tagliato dalla piuma di Airone illumina il fuoco.


Intimo
Piacer dello scambio sottile e raggiante
di nature complementari come di platonico comando.
Sul letto disfatto riposano i corpi agitati nella pocanzi apoteosi
Orgasmica del mondo
Ma le menti coraggiose scavano l’odore dell’intimità feconda in apoftegmi rotti e infiniti.
Sui genitali di entrambe le umanità vibra il vino di Boemia e l’inno del Membro in lacrime
veglia dissimile.


Dispensatrice
È Lei che la notte solca l’asfalto
petalo d’incompresa lascivia,
abbandona rapida l’indole morbida.
Corvi d’insensata beatitudine sulla schiena sudata
scatenano l’immonda euritmia del pasto comune
Incanto turbato da brutalità informe
invade lento la foce di proibita calma
cade la castigata messe del grano spiumato.
Sulla chioma bagnata quartetti di senso
sbagliato schiudono l’uscio alla paura del
delicato amare
sulla pelle il morso.





Frenesia calda
Spaventa la Baccante sulla riva mortifera
calpesta con esasperato esotismo
l’etica ambigua del detto in simbiosi.
La spuma caduca insapora lesta
il lembo eretto di femminea linfa
cresce l’ardore inatteso.
L’artigiano leviga con mano dotta
il legno in umana creazione
consacrandolo alla folle
in posizione canina.
Il movimento irrompe nel fiume straniero
sul meriggiare
gaudente sinfonia senza epoca
ottunde di placido dominio la storia.




Parola
d’amoroso brusio
condita
esaspera fili
d’anonimo
volto.
Incitata
carne
divora incauta
pilastri
di libido
accesa.
Spassosa
maestria.

Seni congiunti
Scivola sul
torso
l’invasa candela
grezza
d’ospitale essenza
incuneata.
Sussulti di arie maestose
cedono
il respiro d’altre
lune.

Urla nella scavatrice la
secrezione
Il branco di
Arie cangianti
musica il
naviglio
usato.


Diaspora nuda affonda il materasso.
Sulle tue dita i soffi di primule
Cangianti.


Danzan odorose le labbra d’Ibisco
sul fogliame interrotto.
Sparsa è diastole di silenzio ingoiato
Sul tappeto stremato
Trema la cascata del fallo.




Cade anello sui seni di Donna
Bevuta su sponde oscene d’altro sentiero.
Geme
Frusta
dilaniatrice
di pelli e ricami
Increduli.
La vera poesia
Disarma il passante d’arma inconscia
Riempito
Graffia di serrata mano l’amplesso egoista
sulla carta sgualcita di una caramella succhiata.
Perdesti calma la folle casa di Anima
Informe fuggisti al grido di Musa per adombrarti
Al fuoco di una chiusa umida.
Potei toccare verso ambiguo e
Riversare l’acre via su cui posai lingua,
salomonica armonia piovuta
senza chiave.
Non chiedo d’amare amandoti gioviale
Amai sparsa in pezzi d’ironia fragile
Pozzi vuoti.


Impasto di sangue in arsura migrata
insapora la terra d’elogio informe
Precipitando in burroni spezzati.
Come giace calendula grata sulla gente dormiente
Rifiorisce il paese nel tramonto vergine.


La tua mano adorna di carezze
Bollenti
Pelle.
Perdo luce
Calata.

Condom
Lattice d’incompiuta mano
Assapora acerbo il sesso.


Umani pensieri lottano armonici
Nella distesa sanguigna,
Contrasti assonnati calcano
Folle appestate.
Un fiore schiude l’ultimo
Capriccio di Iside
Intanto l’Insensata virgola rompe la dicitura
Erotica.




Panna ingurgitata nel fienile arrossato
Spalanca universi nuovi.
Uomo
Empio luccichio di dogma ingolfato
Sorseggia la fama di Donna.
Sul paese l’Ebbrezza del glande diviso
da lunetta bucata
gorgheggia l’infido elisir.
Morirò d’amore
in un bordello lussuoso e
Patirò Pigmalione interrotto.
Non chiedere al dolce serpente il Graal
D’erotico musicato.
Transumanza sessuata nelle strade del mondo
sanguina.



Stringi questo corpo tremulo
Lascia che le cascate del Maghreb
Scavino la fossa pelvica.
Bacia le labbra infuocate come olivo a
Luglio e tendi alla casta europea
La cerniera rotta dalla potenza
di Giano.
Fiocchi di cristalli sulle gote dell’europea.



A Gautier
Sui davanzali dei bordelli di Bordeaux
umane memorie partoriscono
I figli senza nome dell’esistenza
Udita.
Androgino singhiozzo trapana l’artista nel pube
Infecondo
Scatena
Logoro l’escrescenza manierata.
Maschere non versatili invadono la Garonna.




Lo stelo di una rosa ama la terra
come il Creatore ama i suoi frutti.
Le dualità medusee t’indeboliscono,
Uomo
Passione è stupefacente
Calcolo illogico fra corpi che strappano
Libido
Ragione biforca, spassosa, l’eco delle carni
In rigoli acuminati incoraggiando le menti.
Lo stelo trapana la bocca

(Periodare erotico; all’uomo che in assoluto rapì i miei sensi)
Languido mistero cavalcato
dalle corde
dell’attrezzo fuggitivo
accarezza la solitudine.
Mordente poetico nel cuore
di donna fantasiosa
assapora
scalzo.
Guardasti verso di me come
per stillare ebbrezze carpite
in anticipo dal truce
rododendro sfiatato.
Tu
uomo dalle melodie
segrete
sfoderasti il membro d’esotismo tornito
per amarmi ancora.
Tu
svestisti con
fiato violento
la mia manza eloquenza.
Saziasti la fossa pelvica
d’immensa dolcezza
e patii Amore interrotto.
Un’armonia cadente inaugura
i giorni che seguiranno
il nostro
addio.
I Porti dell’Esagono muteranno
rotte e ingoieranno la tua città
nella danza d’Euridice.
Solo allora i nostri corpi allacciati
Incendieranno
il paradiso del
Maghreb.
Passione è stupefacente
Calcolo illogico fra corpi che strappano
Libido
Ragione biforca, spassosa, l’eco delle carni
In rigoli acuminati incoraggiando le menti.


Cogli il crepuscolo di Sesso impaurito sul
capezzolo smarrito nel suo corpo.
Accavalla l’acume dell’altro.
Mordi aprendo lo spazio molle
il disegno congiunto del genitale teso in
Morgana malata.
Smussa con il gambo bagnato l’osceno
dondolio della foce silenziosa.
Il gemito campestre accarezza i corpi
tremuli di uomo e di donna appagati.
Nel maniero della collina vivi placida
D’ardore appena stremata insegui con sguardo
Sciolto granelli di Febo sorridente
Sull’erba munta dall’eterno moto del vento
Scaraventi le giovani viscere
magnete nel crepuscolo infernale.
L’uscio rumoroso ti accoglie
come il ventre ingoi le virtù
Vacanti di un ciclo morto e
Sciogli le briglie
Sul materasso
Slegato.
Mondo
di uomini miliari appaga l’ardore
delle tue notti.
L’amasti nella morsa di un’angoscia
Liquefatta
Ti donasti al trotto andante.
Orgasmo.





Piovono spezie tornite d’amori infedeli
sgranate pallidi sassi di micce spezzate
Sullo schermo erotico senza veli
urlano le prigioni spalancate.

Nelle assi cave un brivido luminescente
come coccio al sole settembrino, ti invoca mio amore
mio unico amore seppellito nel pianeta cocente
e intenerito da un vasto e spesso languore.


Le notti son gravi lungo i rigagnoli salmastri
di pietà mai chiesta, scia grata ai contrasti
e foschi presagi.

Notturno, amichevole gusto di colorito invadente
mani lungo le cosce padrone d’ira accesa
sfruttano saliva ardente.





La calma di girandola neonata
Non ti si addice, donna affamata.
Muovi con astuzia le anche lussuose
Avvolte da autoreggenti tumultuose
Esordisci in tramonti polverosi
Accerchiando uomini chini come
violette marce tranci loro il gambo
Indegno.
Cuspidi aggrottate
Sprofondano in lividi scenari teatrali
Sempreverdi drappeggi ululano cerimonie
Imperfette.
Nelle vene d’anastrofi addobbate
Affondi le carcasse manzoniane,
peste agghindata cova nel meandro infetto
Bocca sgranata.
Ama donna, vergine e troia vincente!
Godi del cazzo prima che Ibisco infernale
Arrostisca con ventole arcigne cuore e pelle.




La cocente verzura strapazza la schiena
bianca di Calliope ebbra e
la mano nera adorna il foulard peloso
prima di accoccolarvi lo sperma africano.
Sul petto di Inkhosi spigoli morbidi
tuffano l’incompiuto computo orgiastico
del villaggio eccitato.
È dentro con l’impeto del guerriero scalzo
È dentro con le prugne gonfie come le notti dello
Zimbabwe
Emana pelle nuova l’interminabile amplesso.


Quel tuo contrasto affrettato sulla lisca
Tumefatta di Ritmo disperso
È contumelia in timore dell’altro.
Quel tuo fazzoletto ingiallito
Che sporge dall’imboccatura
Toccata dei pantaloni è lacrima
Tardiva.
Quel morbidamente indugiare
Sui passi calmi e affondati di lei
È agguato sommesso.
Giammai la credesti grata al tuo amore
Incauto e dannoso,
pio Mefistofele armato
Di indoli oscure e buoni propositi
La consegnasti al morso di
viaggi inospitali e alture gramigne.
La corolla spumeggiante recita il salmo della sua pagina concava,
aedo lontano.
E suda sangue e crepuscoli bianchi nelle vagine palpitanti.

Oh sì cara e maestosa voluttà
Tedio acciuffato nelle strade africane
Palpeggia kaftani amerindi e cosce saporose.
Oh… vapori neri danzano sui pigmenti raccolti
Della cavità allargata
Mmm l’utero cangiante postura accalappia
Sbrinato il pene.
In lontananza l’eco del branco sul
Solco.


Strade

In furia fumosa
esordisce con capitelli giocosi
l’oceano molle.
Giammai spuma violenta
l’amante inesperta
d’amore tardo e
interdetta fugge mura
e il seme caldo del tenero sparviero
insinua ineguali premure.
Lampi lacrimosi nutrono
piatti colmi di stelle come viottoli
in festa esasperano i poeti
eccitati,
antilopi che montano vulve
tornite
con il calamaio nella bocca.




Quando imbocco il tuo membro
stregone insolente
osservo le cagne dei tuoi
quadri spalmati d’olivo meticcio e
Fumo da despota.
Mentre il bavaglio del mio orifizio stimola
l’archimandrita moscio
assorbo il merlo
decrepito godendo del rito
di Chlisty...
Le mie natiche giovani salutano
bavose lo sgabello bluastro
e il tuo medaglione
consuma le mascelle
all’ombra dei lagunari siberiani.




Chi ricorderà la parola adagiata
Sul cigolio bennato delle mie labbra?
Sdrucita in sillabe stolte avanza
Passione
Figlia ineguale d’amore nel meriggiare
Socchiuso.
Sul passo l’odore brioso della disfatta
Incornicia il pendaglio.

La fatina verde

Giacché sazia calai del mutato
Stipo l’antro brumoso in incubo sgattaiolato,
scalpello odoroso mosse l’intelletto danzante
come cagna di benzoino mesce nel boccale, calante.

Speranzosa vana, m’è dolce l’affogar nel ricordo
pel immensi miasmi l’Eccelso dell’ingordo
ebbro avviluppa dal piede all’ostello ardente
la gemma sempiterna e le conficca il tridente.

Marmi putridi al concilio poetico
omaggeranno le muse estive con vini ribollenti,
pensiero in brenna dallo zoccolo profetico.

Francisca, mortali infedeli non oseranno
toccar il gorgo infinito, poiché pallidi incespicheranno
e con le bocche avvizzite moriranno esordienti.


A Baudelaire

Umanità! Cadenza monotona, Plutarco arreso!
Umanità, fosti e sei nella bocca illune della
fiera caustica, oh principe leonino! Adottasti vilipeso
Infinito, figlio pedante e fosco di madre empia e
contrita come ratto nel gorgo.

Umanità! Cadenza monotona, Plutarco arreso!

Delle tenebre lucenti sei il reietto eremo,
delle puttane il redentore puro,
dei poeti il martire martoriato ,
dei vecchi il cantore oscuro,
del fango la rosa,
dei vili il menarca,
delle notti il vampiro del tuo stesso cuore,
dei sogni l’alcova socchiusa, benzoino, incenso assenzio muschi lebbra e licantropi.

Umanità! Cadenza monotona, Plutarco arreso!

Sovrano di isole su cui raggio muore indefesso,
Sovrano di assiti fioriti e donne spalancate che gemono con il
membro nella gola.
Sovrano di giovinetti unti e eretti nel deserto delle città.
Ti canto, vetro infranto da scarpini vuoti,
petto che gronda terrore e inferno,
lacuna avida d’amore immondo e mefistofelico,
spettro che dei vini fosti l’intenditore e del Male
occluso alchimista diafano.

Orsù poeti autentici dell’imago registro
adombrate il maestro che benedetto svestì Anima.


Sul prepuzio della penna
il petto della brenna
luce incanala come
canto verde della cicala
e sulle molte libagioni
l’ammucchiata dei beoni.
In siffatta sera le nari
del miele gli alveari
anfratti calvi sul cuscino
e acquerello luciferino.
Piove e dal sole
pure le parole
del cuor mio tenebra
avvinta.


È ametista meditabonda sulla riva
sinistra di ecchimosi disumana, l’altra gioiva
inquieto pensier sì forte dipana
l’animo mio che alito non trapana.

È largo un lago infuocato e gelido
saltimbanco felice sulla terra arte regali
e pazzo sempre carezzi spassoso tegola trepido
e nelle mani, buche di scorpione agli eguali.

La donna che al cuor tuo gioiosa stende
il sesso di tesori empio il fuoco apprende
e colorito impaziente scandaglia cieco

orgasmo e morte, Infinito urlo bieco
nei piatti carne disciolta e ossa festose
dilettano l’impeto di lingue smaniose.
Aspetto il tuo abbraccio anima ardente,
prona all’inquieto amar
di carne addobbata come i vizi di uno zar
sul dorso di fumi freddi, Lorenzaccio

nel fosso saporoso ti trovo, encantado
maschia forma m’inghiotte,
fallo di vita ricolmo, latte d’Eldorado
della camusa e fruttuosa botte

Pelle matura di semi che ribollono
nella cavità sbattuta i domatori i
leoni odono

e il siero pastoso scorre nelle membra
corallo tenue nella sponda barbuta
di donna imbevuta…




Lacrimosa nel funesto vicolo
attardi mano d’intonaco graffio sui


Palpiti, palpiti ineguali acerbi e noti
invecchiano l’indole del poeta eccitato
come della sera i cantici dei Visigoti
lungo il lagunare dalla luna svelato
Racimoli respiri, autentico pendio
eletto in trionfo dal membro del dio
come mistero del mancato coito
divenuto ricco fiume, odi l’oboe?
Odi donna incandescente i vermigli germogli
sul rigo odoroso del dorso ardito?
Eros insinua il fallo nella sacca pastosa
Delle mogli
mesce accecato
il sidro e vi deposita con impeto sguainato
granelli di libido informe.
Ti amo animo inquieto, giungla
malsana di tedi smisurati,
ali di farfalle nel castagno costeggiano
vittorie amerinde
granduca di paesaggi acciuffati
nel gran cuore della vulva padrona del
Sole…
Gemono i sassi e lo scalpiccio della pelle
srotola gli ameni boschi.
contratto bacio abbevera Clitoride,
viso aperto di sapori rubicondi
nel concavo strepito delle gole
Pupille, bocche e fiati ornano
Vita.


Suona donna suona ancora le ampiezze velate d’impeto
greve e sii muta nel bacio odoroso che gioiosa darai
all’amante sinuoso, custode rigido del dolce empito
vena maiuscola che il sesso d’Eva non scorderà giammai!

Maestosa in cima alla veste, nuda e guarnita d’ormone
inneggerai al fallo il morso sanguinolente come del leone
la preda languente e sarai regina ignota
di una madre remota.

Ebano forte profuma i venti notturni
accennano note voraci i diurni
distrutto lo stacco, scaldato l’ottone

mansueta sogni l’arrivo di Giasone…



Ci hanno fatto credere che la poesia fosse morta, ma non ci hanno dissuaso dal credere che la morte potesse essere riscattata, resuscitata, dalla poesia. La vita che esala dai versi di Francisca Saint Claire sembra avere versato in gole voraci l’amaro sapore della morte dei sensi e nel farlo avveniva la riesplorazione (scannerizzava nella mente un proposito masturbatorio, lo realizzava altrove, forse nel corpo, rivisitava le origini della cultura, mitologica e contadina, aulica e feudale, postmoderna e incline alla demonizzazione della plastica usata), riespropriava gli stessi sensi e la riesplosione di essi ci è sembrata ovidianamente dolce e vitalissima: era la metamorphosis, Francisca, e ci era venuta altresì parallela la voglia di renderti la pariglia, risputarteli in gola i tuoi versi e fartene sentire l’acre sapore tanto simile a una vita non vissuta (quindi neanche spenta e rivissuta). Abbiamo provato l’esperimento della vendetta (avremmo venduto l’anima e, ciò che è peggio, il corpo per farlo), intorbidendo la tua cristallina scrittura (perché è di quello che si parla), in una sospensione temporale e spaziale che ci spegnesse in gola (che tentava penosa di esentarsi dalla voracità, di cui sopra) l’invidiante invidiato sussurrato grido per l’inclito verso… Ma tu eri già volta altrove, volata in dimensioni siderali (e nel tuo volo attraversasti inferni, aprendo nuovi varchi a clitoridee attese, forse, o, forse, a pensieri di pensieri) e assidua centellinavi nuovi afrori (per noi così incapaci di amare?).



Chi ti cinse fianco e labbro con talco
d’Ermes smise di emettere rosa bianca
e dal rivolo maestoso dalla bocca leccò calco
e amò supina bislacca corteccia china.

Paga d’amor fedele e nutriente
come del corpetto fata consenziente
ormeggia la peluria del fallo
piumaggio del ricco pappagallo.

Anima bendata e vagina osannata
nudi e lontani fuochi protetta luce
al cuor tuo amorevole e truce

prisma di vino, mousse consacrata
al dio bambino nelle vene
di Egisto.


Amore, stretta bollente di un
sillogismo sgradito e
il settimo dito nel pizzo
pennello pel triangolo
ritto al guinzaglio nella perla…
e
dalla bocca
un
fiore
femmina di
Pirandello nel
bordello
delle parole svendute.


Leccornia, arciere di frasche gravide,
spiovente labbro delle zone avide
con il caos, caotico e convulso freme
e ampio spiraglio con brivido geme

sul davanzale ti scopo acquaforte
nota dal sole nella pioggia solinga
del venerando mondo meringa
d’orgasmo e mistero la cassaforte.

Monta manza la mite potenza
Scaglia benedetta la sentenza!
Frisone impennato sfonda le mura

E ingoia Falloppio nella
tenebra bianca…
Guepière

Nella tua fredda stanza
vive la speranza
nella tua fredda stanza
accogli la baldanza.
Lustri e nastri sfiorano
il sesso
desideroso
d’amplesso
uomo
ossesso
dalla cerbiatta
è compatta
nel dislivello
del tuo
uccello.
Freddo.





Ho voglia della luna amore.
Lascia che io mi vesta di lei e con lei,
lascia che io odori di cime boscose
di canditi e di sperma.
Ho voglia della luna amore.
Lascia cadere il grido nella cava e
lascia beare le mie cosce ingorde
del pianto austero custode sarò
e nelle mani i diamanti i rubini
e le sguattere di Erode
e le vergini e le puttane
e la chiusa fragranza dei preti
e dei nottambuli le maschere strapperò.


Ti amò per poco.
Solcò il tuo petto di baci
Ora taci?
D’ulivo e rugiada
la pelle guarnita
la stringeva tra le dita
e vi scriveva romanzi
fragili
e i tagli nella bocca
capienza augusta
di un ricco sepolcro
vuoto.


O osmosi
R rabbiosa
G girovaga
A arroga
S sesso
M mulino
O ormeggiato

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