teniri a cannila - parole siracusane

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Parole siracusane
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teniri a cannila

Tuccitto perchè si dice
Teniri 'a cannila
Tratto dal testo di Carmelo Tuccitto "palori a tinchitè" Editore Morrone-Vignette di Francesco Rodante

Un detto può divenire anacronistico anche perché oggi si usano sempre meno strumenti del passato come la candela di cera che, con l'avvento dell'energia elettrica e delle torce a batteria, è quasi scomparsa dalle nostre case.
Se provate a chiedere ad un giovane del nostro tempo cosa sia una candela, di primo acchito vi dirà che è quel dispositivo metallico che permette al motorino di mettersi in moto. Oggi anche i devoti di un santo, per chiedergli o per ringraziarlo di una grazia ricevuta, accendono una delle tante lampadine elettriche che trovano in chiesa e che della candela di una volta hanno solo la forma.
Tanti e vari sono i modi di dire dialettali che contengono la parola candela, talmente questa era adoperata dai nostri padri; si può dire che si nasceva e si moriva in casa a lume di candela. Essiri rridduttu a li cannili voleva dire "stare per morire", "lottare contro la morte" sia perché l'uomo all'estremo della sua vita si spegne come una candela, sia perché tra i superstiziosi era convinzione che la luce della candela tenesse lontani gli spiriti maligni.
Mia nonna la chiamava sfianca (in francese STEARIQUE, dalla stearina, l'acido grasso usato un tempo per la fabbricazione delle candele).
Un tempo a Feria, a chi si accingeva a comprare uno stacco di stoffa o a scegliersi la fidanzata, si raccomandava, con l'espressione Fimmina e tila taliili có lustru di cannila, di essere prudente e di guardarla bene al fine di scoprirne i difetti occulti. Anche quando al bambino pendeva dalle narici il muco del naso, si diceva che aveva 'a cannila addumata (per sincope dal volgare ALLUM(IN) ARE, AD + LUMEN = dar luce, accendere).
Comu gianciu ca tiegnu 'a cannila? (Come piango se tengo la candela?) era la formula ironica di rimprovero con cui a Canicattini Bagni i genitori, tra il serio e il faceto, riprendevano i propri figli quando costoro, per non eseguire un loro ordine, banalmente si giustificavano asserendo che stavano svolgendo un altro compito.
Per Santo Cugno il detto nasce dall'occasione di un grave lutto familiare: la morte del padre. C'era chi esternava il proprio dolore strillando, chi si dispera¬va, chi tesseva le lodi del genitore. Tutti piangevano tranne il figlio minore, un bambino che, data l'età, non si rendeva conto della tragedia che aveva colpito la sua famiglia. Con la candela in mano cercava continuamente di rivolgere la luce dove riteneva che fosse necessaria. Rimproverato dal fratello maggiore perchè era l'unico della famiglia a non piangere, il bambino, più per il rimprovero che per il dolore, scoppiò in lacrime e, tra un singhiozzo e l'altro, biascicò nel vernacolo canicattinese queste parole: E comu gianciu ca tiegnu 'a cannila?
Fino a tutto l'Ottocento, gli zziti 'n casa si vedevano solo di domenica e in casa della sposa, seduti sotto l'attenta sorveglianza di un parente di lei che, come si soleva dire, cci tineva 'a cannila, faceva cioè da terzo incomodo. Il detto tèniri 'a cannila nacque nel XVII secolo allorquando il signore, dovendosi recare ad un appuntamento amoroso notturno, si faceva accompagnare da un servo discreto e fidato che aveva il compito di reggere la candela per illuminare il luogo in cui si doveva incontrare con l'amante. Il detto, che in un primo tempo voleva dire "favorire una relazione amorosa", ha poi acquistato il significato di "stare in maniera inopportuna tra due innamorati". Ognuno accettava malvolentieri l'imposizione di questo ruolo. Probabilmente in uno di questi incontri clandestini nacque anche il detto A cira squagghia che è un'esortazione a far presto, "Il tempo stringe".
Ai primi del Novecento, la famiglia della sposa permetteva ai fidanzati di uscire da casa a condizione che fossero accompagnati da una sorella o da un fratello minore di lei che, per la funzione che ricopriva, veniva chiamato cannileri (candelabro). La sua presenza, infatti, serviva soltanto ad evitare i pettegolezzi della gente. Sentendosi di troppo, 'u cannileri non prendeva parte alle reciproche confidenze dei due innamorati, come un candelabro, non faceva sole luce, ma reggeva le candele.
Don Ferdinando, quando una coppia di fidanzati del mio condominio passava davanti alla guardiola ed era accompagnata dal terzo incomodo, fingendo di parlare con sua moglie, diceva: Zziti e muli hannu a stari suli! (I fidanzati devono stare soli perché debbono parlare del proprio futuro, i muli perché da un momento all'altro possono tirare calci al malcapitato che si avvicina).




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