nuzzu
Tuccitto perchè si dice
'Nnuzzu
Tratto dal testo di Carmelo Tuccitto "palori a tinchitè" Editore Morrone-Vignette di Francesco Rodante
Sino alla prima metà del secolo scorso il sistema onomastico del popolo siciliano, almeno nella pratica quotidiana, era ufficiosamente a formula unica: s usava soltanto il nome. Il cognome era registrato solo nei documenti ufficiali e all'anagrafe.
C'erano famiglie che vivevano da decenni nella stessa strada o addirittura nello stesso cortile e, pur essendo tra di loro in buoni rapporti, ignoravano reciprocamente l'una il cognome dell'altra.
Ricordo che solamente alle elementari, A Scola nova di via Dei Gracchi, oggi via Dei Mergulensi, alla Spirduta, venni a conoscenza del cognome del bambino che abitava dirimpetto a me in via Gargallo. Eppure ci avevo giocato sin dalla nascita!
Era l'uno di ottobre del 1950, primo giorno di scuola, quando all'appello per ogni scolaro della mia classe fu una scoperta conoscere il cognome dei compagni. Appena il maestro ne pronunciava uno, si alzava quasi tentennando lo scolaro interessato e, subito dopo, seguiva la risatina più o meno velata del resto del classe. Talmente buffo ad ognuno sembrava il cognome dell'altro!
Oltre al nome di battesimo dialettizzato, ognuno di noi dei compagni al massimo poteva conoscere la 'nciuria con cui veniva denominata la sua famiglia.
Se qualche mamma voleva sapere da un compagnetto di classe del figlio il suo cognome, di solito gli faceva questa domanda: Comu 'u sentunu a to 'patri? (Come è denominato tuo padre?) e mai Come ti chiami di cognome?
Ce ne volle di tempo prima che tra i nuovi compagni di classe ci chiamassimo col nome di battesimo, sia pure dialettizzato!
Nei primi mesi invece del nome usavamo il pronome personale ttia in funzione di complemento indiretto (A ttia = Ehi, tu), come nelle espressioni: A ttia, unni stai? (Ehi, tu, dove abiti?), A ttia, jochi uoggi ccu mmia? (Ehi, tu, giochi oggi con me?) e via di seguito.
E questo era già un passo avanti perché nell'ampio e lungo corridoio della Scuola Comunale ci rivolgevamo ai bambini delle altre classi usando la voce Cosa al posto del nome proprio che non conoscevamo:
-Cosa, ma dici 'na cosa?
-Chi cosa?
-Chi cosa vuleva don Mommu di tia?
Don Mommu era il bidello, al secolo Girolamo Stanzione, un personaggio caratteristico che rimane ancora vivo nella memoria di quelli che l'hanno conosciuto per il suo nodoso che incuteva paura a tutta la scolaresca, in realtà gli serviva per camminare meglio in quanto era claudicante.
E non si pensi che questo linguaggio convenzionale avvenisse solo tra noi bambini! Ricordo che alla Giudecca, il tono era volutamente di risentimento e, a volte, anche di minaccia, quando tra birbantelli ci si rivolgeva con l'epiteto Beddu: Beddu, viri ca a mmia, tu nun...
Di solito allora nei cortili e nei ronchi d'Ortigia c'era spesso qualche vecchietta che, o perché non era del tutto autosufficiente o perché non aveva voglia di uscire di casa, chiamava uno di noi bambini che giocavamo vicino alla sua abitazione, per farsi comprare qualcosa al mercatino rionale della Giudecca che, rispetto a quello di via De Benedictis, detto 'u 'Ntrallazzu, era aperto anche di pomeriggio e di sera.
Nessuno di noi si rifiutava perché sapeva bene che la ricompensa non sarebbe mai mancata. Spesso la rimunerazione consisteva in qualche biscotto, in alcune caramelle e, se ci andava bene, nel resto dei soldini che ci erano stati consegnati insieme al pizzino (pezzettino di carta) in cui c'era scritto il nome del bene da comprare. Le donnette anziane non ci chiamavano col nome di battesimo che per loro era difficile conoscere o ricordare in quanto in quel periodo i ragazzi delle strade vicine giocavano numerosi nello stesso cortile. Le vecchiette si rivolgevano ad uno di noi usando sempre lo stesso termine di 'Nnuzzu! a cui facevano seguire il gesto della mano che indicava al loro prescelto di avvicinarsi.
'Nnuzzu significa qualcosa di più di "ragazzino", come è riportato nel Vocabolario Siciliano a cura del Piccitto che, tra l'altro, aggiunge che questo termine si usava a Siracusa.
L'etimologia di questa voce vernacolare ci rivela lo spirito che animava quelle vecchierelle quando la usavano. 'Nnuzzu è forma prima aferesata e poi sincopata di (I)nnu(ccintu)zzu e vuol dire "Piccolo innocente". Deriva dal latino INNOCENTEM, accusativo di INNOCENS, composto da IN con valore negativo e NOCENS = che non nuoce.
La 'nnuccenza, ossia la mancanza di qualsiasi colpa o di malizia, era anche la qualità che di solito gli adulti attribuivano ai bambini di allora. Difatti Arma-nnuccenti (anima innocente) era il termine usato dai siracusani in tono di commiserazione nei confronti di una piccola creatura a cui era capitata una disgrazia, come in: Carìu ró lettu, l'arma-nnuccenti!
Il nipote di don Ferdinando si chiamava proprio 'Nnuzzu, ma era tutt'altro che arma-nnuccenti. Nuoceva a tal punto che il portinaio lo paragonava ad un diavolo: Si cci luvamu 'u bbattisimu 'n diavulu é!
Disperato, l'anziano esclamava: Nun cci pigghiò nenti nenti di so ' nannu! (Non mi assomiglia affatto!).
'Nnuzzu, come nome di battesimo, in Sicilia, può essere vezzeggiativo aferisato sia di Sebastiano {Vastià)nuzzu, sia di Nino {Ni)nuzzu.