pi ummira i cuccu - parole siracusane

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Parole siracusane
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pi ummira i cuccu

Tuccitto perchè si dice
Ppi ummira i cuccu
Tratto dal testo di Carmelo Tuccitto "palori a tinchitè" Editore Morrone-Vignette di Francesco Rodante

Parlare per traslati è segno di cultura oltre che di intelligenza. Quella del popolo siciliano del passato era una cultura prevalentemente rurale nata dalla conoscenza diretta del proprio ambiente e di tutti gli esseri che vi vivevano, animali compresi.
I nostri padri, per rendere più espressivo un loro pensiero, si servivano di immagini reali che con esso avevano relazioni di somiglianza dando così origine a tanti di quei proverbi e modi di dire dialettali che oggi suscitano il nostro apprezzamento.
L'osservazione personale e lo studio consequenziale dei comportamenti di un uccello, il cuculo, hanno fatto nascere il detto Ppi ummira i cuccu che rende chiaramente il pensiero che il popolo voleva esprimere. (Cuccu è voce di origine onomatopeica. Dal suo verso caratteristico in due toni CU-CCÙ, l'uccello prende il nome di cuccu in dialetto e di cuculo in italiano).
Per fare un esempio, oggi chi non ha in tasca il becco di un quattrino potrebbe così rivolgersi agli amici che l'hanno invitato a trascorrere una serata ad un parco di divertimenti: "E che ci vengo a fare, ppi ummira i cuccu? ". (= solo per non fare niente?). solo per fare presenza?, solo per guardare?).
Perché si continua a ricorrere a l'ummira i cuccu (all'ombra del cuculo) per esprimere il concetto del "non fare niente", "dello stare soltanto a guardare" è presto detto. Il cuculo è un uccello che non fa alcunché, neppure ombra perché si vede solo di notte. La sua ignavia trova riscontro nella sua curiosa abitudine di non covare le proprie uova che depone nel nido di altri uccelli, i passeriformi, che oltre all'incubazione pensano anche alla cura della sua prole.
Dall'indolenza del cuculo, la voce cuccu, riferita all'uomo, ha acquisito il significato di "essere inutile, privo di personalità" per cui Essiri 'n 'ummira i cuccu si usa per indicare chi è ritenuto "una nullità, un babbeo". Da qui l'espressione Sirvìri ppi ummira 'i cuccu che significa "servire come comparsa, essere una presenza, se non inutile, secondaria " e Stari comu 'n cuccu che vuol dire "persona chiusa che non si cura di ciò che gli succede intorno". A Noto si dice che Sta comu 'n cuccu chi, come il cuculo, se ne sta accucciato, col dorso ricurvo e la testa infossata tra le spalle.
Gli uccelli, sia per il loro volo, sia per il loro verso, sin da tempo antichissimo sono stati ritenuti portatori di buoni o cattivi presagi. Bona avis e mala avis (= buono uccello e cattivo uccello) per i latini significò lieto e cattivo augurio. Dal comportamento degli uccelli, i greci trassero una scienza, l'ornitomanzia.
Poiché, soprattutto nel territorio siracusano, il cuculo si identifica con il gufo, il cuccu come uccello divenne simbolo di iella e la voce cuccu, riferita all'uomo, assunse anche il significato figurato di iettatore. Contribuì a tale cambiamento semantico il verso monotono e lamentevole di questo uccello notturno ritenuto di sinistro augurio dalla gente superstiziosa Ancora oggi può capitare che chi sta perdendo al gioco delle carte ritenga un cuccu la persona che gli siede accanto. Purtroppo questo tipo di superstizione, ora come ieri, è estesa a gran parte della gente, indipendentemente dalla cultura di ognuno.
Lo stesso barbagianni, per il suo continuo piuliari (pigolare) notturno, a Siracusa è chiamato Piula, di conseguenza è detto Piulu i menzannotti il bambino che di notte col suo pianto infastidisce i vicini di casa.
Da cuccu sono derivati il verbo cucchiari e la locuzione fari 'u cuccu dall'identico significato di "esercitare un influsso malefico", mentre il sostantivo cucchiata è l'atto che si crede che faccia lo iettatore. La jittatura va però distinta dal malocchiu, che è il male che si ritiene prodotto consapevolmente con il suo occhio malevolo da chi invidia un bene altri.
Don Ferdinando, quando passava dalla portineria il rag. Corvino, ritenuto dai suoi vicini di pianerottolo jittaturi cà nnocca (col fiocco), per difendersi dai suoi influssi malefici si dava una toccatina alle parti che l'uom cela mentre, con la lingua tra i denti, mormorava: i cucchi, a casa!


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